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sabato 4 marzo 2023

Come Proust può cambiarvi la vita

 


Il valore di un grande romanzo non sta tanto nel raccontare storie, sentimenti e personaggi simili a quelli che incontriamo tutti i giorni nella nostra vita reale, ma nella capacità di descriverli molto meglio di quanto saremmo in grado di fare noi, e di aiutarci a scoprire certe relazioni che ci appartengono, ma che tuttavia non avremmo saputo cogliere da soli. E allora l’incontro ravvicinato e prolungato con un grande autore della letteratura - che avviene durante la lettura di un suo libro - è un percorso che ci permette di innalzarci verso una dimensione spirituale, dove “mondi che ci erano sembrati minacciosamente estranei si scoprono invece fondamentalmente vicini al nostro mondo, ampliando così la gamma dei luoghi in cui ci sentiamo come a casa”.

Alain de Botton - un brillante scrittore e filosofo britannico di origine svizzera - con il libro “Come Proust può cambiarvi la vita” pubblicato nel 1997, ci invita a non avere timore reverenziale per il grande scrittore francese, autore della monumentale opera “Alla ricerca del tempo perduto”, forse tra i testi più idolatrati e meno letti della letteratura di tutti i tempi. Anzi, ci consiglia fortemente di leggerlo e di trarre profitto dalla sua sofferta esperienza di vita, perché, come scrive lo stesso Proust, leggendo le parole “di un uomo di genio, vi troviamo con piacere tutte le nostre riflessioni che avevamo disprezzate, le allegrie, le tristezze che avevamo contenute, tutto un mondo di sentimenti da noi disdegnati e di cui il libro dove le ravvisiamo ci rivela istantaneamente il valore”. E, naturalmente, non possiamo che riceverne giovamento. D’altra parte, il legame tra la nostra vita e i romanzi che leggiamo – scrive de Botton – è davvero molto stretto. E’ difficile, infatti, non collegare la descrizione di certi personaggi che incontriamo tra le righe di un libro a persone reali di nostra conoscenza. O addirittura non rivedere noi stessi, là dove non ce lo saremmo mai aspettato. E Proust ce lo conferma quando dice “…ogni lettore quando legge, è il lettore di se stesso. L’opera è solo una sorta di strumento ottico che lo scrittore offre al lettore per consentirgli di scoprire ciò che forse, senza il libro, non avrebbe visto in se stesso”.

Certo è che la vita, per Proust, fu una continua e difficile lotta con se stesso e l’ambiente borghese in cui viveva, aggravata ancor di più dai suoi problemi psico-fisici assai complessi. La madre, nei cui confronti Marcel provava un amore smisurato, contribuì drammaticamente a rendere sempre più debole e insicuro il suo carattere. Lo considerava un eterno bambino da curare e proteggere in ogni occasione; e ciò che più l’angosciava era che il figlio riuscisse a sopravvivere nel mondo, una volta che lei se ne fosse andata. I suoi quotidiani attacchi asmatici lo costringevano a dormire di giorno (dalle sette del mattino alle cinque del pomeriggio) e a scrivere di notte, sempre a letto, che usava come scrivania. Aveva una pelle ipersensibile e soffriva sempre il freddo, tant’è che anche in estate indossava il cappotto. E poi era ossessionato dai rumori e per potersi meglio isolare e proteggere, fece foderare di sughero la stanza da letto in cui trascorreva la maggior parte del tempo a leggere e a scrivere, senza mai uscire, con le finestre perennemente chiuse. Nonostante tutto, quel ragazzo malinconico e fragile che ben si camuffava dietro l’apparenza dello snob pallido e sognante, condusse una vita da privilegiato negli anni giovanili, frequentando i salotti più ricercati della Parigi aristocratica, organizzando cene e ricevimenti mondani, sperperando il denaro che non gli mancava e sperimentando, disperatamente, l’impossibilità di trovare la felicità nell’appagamento amoroso. Ma aveva capito quanto amaro lasciasse in bocca quell’esistenza effimera, quanta vanità e miseria ci fosse nella società raffinata ed elegante che frequentava e quanto fugaci fossero i piaceri che provava. E allora gli restava aperta soltanto la via della fuga in un altro mondo possibile, quello interiore, il mondo della scrittura e della creazione artistica, con i suoi sogni e con i suoi ricordi, per difendersi dalle sirene del mondo esterno ma, forse, anche per poterlo meglio comprendere, quel mondo. Chiuso per dodici anni in quella stanza foderata di sughero - dal 1910 fino al momento della sua morte avvenuta nel 1922 - Proust visse l’ultimo periodo della sua vita in una massacrante dolorosa solitudine, interamente orientato alla creazione della Recherche, il suo romanzo capolavoro di 3.724 pagine. Un libro che non ti lascia indifferente, che ti sovrasta per la sua perfezione, per la sua grandezza e impone il silenzio, un libro che ti fa capire quanto Proust sia grande e quanto piccoli siano tutti gli altri autori che hanno scritto dopo di lui. Leggere certi libri, come la Recherche, serve a scoprire – scrive De Botton – cosa proviamo noi, a sviluppare i nostri stessi pensieri, anche se sono i pensieri di uno scrittore che ci aiuta a farlo. Tuttavia, ci sarà sempre un momento in cui capiremo che in ogni libro – fosse anche il più grande - c’è qualcosa che non ci convince, di ignorato o di limitato che ci darà il permesso di abbandonarlo e continuare, da soli, il nostro percorso esistenziale e spirituale. “Tale è il valore della lettura – diceva Proust – e tale è anche la sua insufficienza. Farne una disciplina significa attribuire una funzione troppo importante a quel che ne è solo un’iniziazione. La lettura si arresta alle soglie della vita spirituale; può introdurci in essa, ma non la costituisce”. E’ come dire che anche i grandi capolavori della letteratura “meritano di essere messi da parte”.



6 commenti:

  1. Io quello che posso fare è leggere il libro di De Botton, ma affrontare Proust mi sembra un'impresa titanica. Francesco

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    1. Mai dire mai! Premetto che quando parlo di un libro - qualunque esso sia - la mia intenzione non è mai quella di convincere qualcuno a leggerlo: ognuno è padrone di leggere ciò che gli è più congeniale. Chi legge Proust non è migliore di chi, invece, legge Gamberale: sia chiaro. Sono due persone diverse che hanno una diversa visione della vita. E i libri, anche se uno ne legge dieci al mese, non possono mai sostituire la vita, anche se qualche volta te la possono indirizzare in una maniera anzichè in un'altra. Direi che il libro di De Botton, in in una certa misura, è propedeutico alla Recherche, ed è scritto così bene con i suoi continui riferimenti al capolavoro di Proust che ti invoglia a saperne di più. Tutto qui. Senza dimenticare che "la lettura si arresta alle soglie della vita spirituale; può introdurci in essa, ma non la costituisce”. Parola di Proust :)

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  2. Ho in casa tutta la Recherche ma ne ho letto solo i primi 2 libri. La riprendo in mano di tanto ma non riesco ad avanzare se non di poco. Credo che dipenda dalla sintassi di questo scrittore: periodi lunghissimi inframezzati da una ricca punteggiatura. Tuttavia concordo co De Botton ma penso che l'aiuto che deriva dalla letteratura valga in generale per un buon numero di opere; il vero problema è che il numero di lettori va diminuendo a vista d'occhio, non dobbiamo credere che fuori da qui ci sia una sorta di Eden in cui milioni di esseri umani tengono un libro tra le mani. E' vero semmai il contrario purtroppo. Con Proust ci riproverò.

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    1. Io sono al 5° volume (anche se il primo l’ho letto due volte): ma con Proust non bisogna avere fretta. La sfida è rappresentata proprio dalla lunghezza e dalla complessità delle singole frasi, una tecnica narrativa che fu utilizzata anche da Giuseppe Berto ne “Il male oscuro”, con periodi lunghissimi che corrono per pagine e pagine, senza punteggiatura. La Recherche è uno di quei libri che te lo porti dietro per tutta la vita e se non riesci a raggiungere la fine, significa che ti ha sconfitto. Ma è una sconfitta che non brucia, che accetti senza discutere, che ti obbliga al silenzio e al rispetto: è come perdere i “cento metri piani” gareggiando con Jacobs. Io penso che leggendo Proust si provi una sorta di piacere misto a sofferenza, che dovrebbe essere l’essenza stessa della lettura di qualsiasi libro importante. Ciao Enzo

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  3. In genere ho un po' difficoltà nel leggere libri ponderosi.Un po' per stanchezza accumulata nella giornata lavorativa e un po' per la mia vista che a volte si appanna. Credo però che non bisogna arrendersi. Almeno andare avanti sin dove si può. Nel leggere il tuo post ho trovato forti motivazioni per gettarmi in un'impresa che, son sicuro , è una grande occasione di crescita spirituale. Buona serata a te.

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    1. E' proprio questa la prima difficoltà: la lunghezza. Però è un libro che deve stare comunque sul ripiano della nostra libreria, non come soprammobile, ma come spinta motivazionale a tentare l'impossibile. Perchè la "crescita spirituale" di una persona non avviene mai attraverso le cose semplici e facili. Grazie Fabio per essere passato da queste parti. Buona serata a te

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