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venerdì 9 dicembre 2022

La mercificazione del Natale

 




Si avvicina il Natale, la festa più importante della liturgia cristiana. E’ una ricorrenza che risveglia in me teneri ricordi legati al periodo della mia infanzia e della mia adolescenza. Ricordo quel piccolo e povero presepe che vegliava in un angolo della casa del paese rischiarato dalla fiamma vacillante del focolare: era l'espressione della dignitosa povertà di quei tempi. Ogni volta che lo osservavo, quel presepe, mi divertivo a cambiare la collocazione delle statuine di terracotta, quasi a voler dare loro una sorta di movimento. Ricordo, poi, l’arrivo degli zampognari, che sostavano per pochi minuti davanti alla porta di casa suonando “tu scendi dalle stelle”: ero affascinato dai loro tipici strumenti musicali, così diversi da quelli della banda musicale del paese. Ricordo il pranzo di Natale con le persone care che non ci sono più, il più abbondante e il più buono dell’anno: “perché era Natale”, come diceva mio padre. E poi i dolcetti tipici della tradizione che annunciavano la festa e rendevano più dolce l’attesa. Era una ricorrenza di sobria e moderata felicità, fatta di gesti semplici e di piccole cose, non ancora offuscata dalla sagra dell’abbondanza, dagli sprechi, dalla frenesia dei regali e dall’esasperata baldoria pubblicitaria sui mezzi di informazione. Ho come l’impressione che con la giovinezza sia finita non solo una stagione della vita ma anche la sacralità del Natale, quel Natale cristiano che mal si concilia con l’opulenza che ci viene offerta dalla nostra società. Un Natale che – dal punto di vista degli acquisti e della pubblicità – tende ad iniziare sempre prima come se la vigilia, di anno in anno, si spostasse all’indietro, tant’è che ho visto i primi alberi di Natale e relativi panettoni già a fine ottobre.

Ora, nonostante i miei contrastanti sentimenti intorno al Natale, devo dire che è davvero difficile sottrarsi a questo rito orgiastico di fine anno abusando del nome di Gesù Bambino. Ne prendo atto mentre giro per un centro commerciale della Capitale, sforzandomi di capire quali effetti possano produrre in me le tante vetrine addobbate a festa, stracolme di prodotti di ogni genere, e quali oggetti siano in grado di stimolare i miei desideri più reconditi. Prima di recarmi nel mio paese nativo, dove trascorro da sempre il Natale, mi sono concesso un bagno di folla per rendere più desiderabile il silenzio e la quiete che lì mi aspettano. E quale poteva essere il luogo migliore se non il centro commerciale: l’emblema del luogo-non-luogo della nostra epoca, dove l’anonimato ti protegge e ti isola, pur stando a stretto contatto con una moltitudine di persone. Il luogo della solitudine di gruppo, identico e indistinguibile l’uno dall’altro, in qualsiasi punto del pianeta lo si osservi. E durante le feste di fine anno – con il carico di luminarie, decorazioni, alberi di natale di plastica, cataste di panettoni e torroni e spumanti – il centro commerciale diventa la rappresentazione tragica di un presepe vivente laico e consumistico, dove i frequentatori assurgono al ruolo di re magi che, anziché portare doni al bambin Gesù, sono lì a caccia di doni.  

Mentre mi aggiro alquanto frastornato tra quella eccessiva offerta di mercanzia, mi viene in mente la scritta che sovrasta un famigerato “Centro”, simbolo del potere economico nell’età della globalizzazione, immaginato dallo scrittore portoghese Josè Saramago nel suo romanzo “La caverna”: “Ti venderemmo tutto quello di cui tu hai bisogno – dice la scritta - se non preferissimo che tu abbia bisogno di ciò che vendiamo”. La finzione letteraria diventa realtà. Come a dire che sono le scelte commerciali dei produttori a determinare i gusti della gente e a creare nuovi bisogni. Un potere, quello economico e produttivo, che ci vuole sempre insoddisfatti e dipendenti alla continua ricerca di novità. E noi, come schiavi, obbediamo. E compriamo. E, lo possiamo ben dire, ormai viviamo perennemente in un centro commerciale.

Intanto, come annullato e assorbito da quel traffico natalizio di cose e persone che mi circondano, e da quella forzata atmosfera festaiola che mi esonera dal pensare, passeggio in quegli spazi che man mano diventano sempre più affollati. E più che guardare le vetrine e comprare, osservo le tante persone cariche di pacchi e pacchetti e bustoni infiocchettati, come se avessero appena svaligiato delle botteghe; e vedo enormi carrelli che escono da un supermercato stracarichi di generi alimentari, come stesse per arrivare una terribile carestia. Mi accorgo che molti si assiepano - curiosi, avidi ed estasiati – davanti a un mega negozio che espone gli ultimi ritrovati della tecnologia, ed in particolare le novità della telefonia mobile. Sembra il punto vendita più ambito, più ricercato davanti al quale resto freddo e indifferente. I telefonini proprio non mi interessano: sono troppo legato al mio apparecchio fisso di casa, con tastiera a disco rotante. Amo quell’oggetto demodé che mi permette, ancora, di fare le mie poche telefonate lontano da occhi e orecchie indiscrete. E penso che se tutti fossero come il sottoscritto, il cellulare sarebbe l’invenzione più fallimentare della storia dell’umanità. Ma - per fortuna – non siamo tutti uguali e le cose sono andate diversamente: l’iPhone è diventato l’oggetto più desiderato. Mi viene da pensare che mentre la tecnologia avanza l’homo sapiens regredisce sempre di più.

Mi attardo per alcuni minuti in una libreria dove anche i libri sono infiocchettati con nastrini colorati come un qualsiasi prodotto industriale. Leggo i titoli delle copertine più in vista: vedo solo novità editoriali che non conosco, tranne i soliti personaggi noti che stanno sempre in televisione a promuovere le loro opere letterarie. Dei grandi del passato non c’è traccia. Va bene l’ennesima strenna natalizia di Vespa o di Carofiglio o di Cazzullo, ma perché dimentichiamo sempre gli autori che hanno fatto la storia della nostra letteratura? Mi piacerebbe che, ogni tanto, si vedesse in vetrina - che so - un Pavese o un Italo Svevo, tanto per fare qualche nome. Un modo, questo, per far conoscere anche alle giovani generazioni autori che non rientrano nel calderone pubblicitario e consumistico. Nel frattempo mi giungono alle orecchie le parole di una signora che all’interno della libreria chiede al commesso: “scusi…vorrei regalare un libro a un mio nipote che legge poco…mi può consigliare qualcosa?”

Davanti a un negozio di giocattoli provo una sorta di ammirazione puerile mista a stupore: non ricordo i miei trastulli infantili, ma certamente erano primitivi se li confronto con questi moderni ritrovati della tecnologia e della psicologia infantile, in bella mostra sugli scaffali. Guardo, poi, delle ragazze che hanno appena comprato jeans strappati, simili a quelli indossati dai due manichini nella vetrina di abbigliamento. Mia nonna, che ci teneva molto al decoro del vestiario e rammendava qualsiasi buco, avrebbe faticato a capire la ragione di questa moda così bizzarra. Più in là mi cattura una enoteca: è un luogo magico dove ogni bottiglia esposta racconta una storia e identifica un territorio. Quando mi capita di entrare in questi negozi – che restano i miei preferiti assieme alle librerie e alle ferramenta - resto affascinato da quella esposizione di bottiglie schierate apposta per sedurti, così diverse l’una dall’altra anche se apparentemente sembrano tutte uguali. Le osservo, leggo le etichette, ne prendo qualcuna tra le mani e avverto un desiderio fortissimo di piacere e di possesso: sarebbe bello avere una cantina con tante bottiglie di vini pregiati. Ne compro una: è un morellino di Scansano del 2018. Che dire: ogni tanto mi piace “tradire” il buon vinello del contadino del mio paese da cui mi fornisco, un vinello che io trovo genuino e delizioso.  E con questo prezioso bottino natalizio esco dal centro commerciale. Fuori sono accolto da uno strombazzare di Suv che tentano di farsi strada nel traffico impazzito. E’ Natale! Lo confesso: mi viene voglia di fuggire… ma dove? “Adda passà ‘a nuttata”, direbbe il grande Eduardo.


14 commenti:

  1. Ormai il "centro commerciale" entra nelle case, tra TV e smartphone, e invade tutto, specie sotto le feste..invidio la tua oasi di paesello, la tua festa in intimità..io Roma non la sopporto più nella sua dimensione di folla e festa utilitaria, commerciale, di esclusivo marketing..mi salva la quiete della scrittura, della lettura e passeggiare dove non arrivano le sirene incantatrici e le luminarie.. 😁

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    1. Sapere che un romano doc come te non sopporta più la sua Roma “nella sua dimensione di folla e festa utilitaria, commerciale, di esclusivo marketing” mi consola tantissimo. Mi sento meno isolato. Purtroppo, caro Franco, questa dimensione mercantile sta invadendo qualsiasi settore ed ha già invaso la nostra stessa esistenza. E’ una dimensione strisciante, subdola che si insinua dentro di noi e a volte nemmeno ce ne accorgiamo.

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    2. Romano doc dici.. ma ogni volta non vedo l'ora di vagare altrove, provincia o metropoli anche, comunque altro da Roma, dove ci sarà pure bellezza "eterna" ma così fagocitata dalle brutture e i disagi quotidiani da sparire agli occhi di chi ha la sfortuna di abitarci, e non poter trasferirsi altrove, non fosse altro che per i legami familiari.

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    3. E' proprio così: a Roma ce n'è talmente tanta di "bellezza eterna" che spesso viene nascosta dalla spazzatura. Pure questa abbonda nella Capitale...ma per fortuna abbiamo un sindaco come Gualtieri :)

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  2. Sono d’accordo con la tua analisi, bella e spietata. Viviamo nella società dell’eccesso, di consumi e di sprechi. Un eccesso elevato a regola di vita. E questo sistema si esaspera durante le feste di fine anno. Non mi meraviglierei se un giorno facessero nascere Gesù anziché in una mangiatoia, come avviene da oltre duemila anni, in un centro commerciale. Gio.

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    1. E' proprio così: viviamo nel troppo, anche se esiste ancora una parte dell'umanità che non ha niente. E i messaggi che arrivano a questa umanità dalla rete e dalla pubblicità, sono messaggi devastanti, falsi e fuorvianti. Il Gesù che nasce in un centro commerciale? Tutto è possibile: nel presepe già mettono personaggi improbabili che non hanno nulla da spartire con la natività. :)

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  3. Grazie a te per l’attenzione dimostrata. Esiste senz’altro un “vuoto spirituale” che alimenta, come dici tu, questa catena consumistica. Ma è un vuoto che non può essere mai colmato dalla festività del Natale, dal presepe o dalla messa di mezzanotte, perché è proprio questa ricorrenza - così come l'abbiamo costruita in questi ultimi anni - che, più di tutte, alimenta la corsa ai consumi. A volte dovremmo chiederci se ciò che facciamo abbia un senso, abbia una convenienza economica, comporti dei reali vantaggi. E, soprattutto, se tutto ciò produca su di noi un maggiore benessere psico-fisico. Ma ormai non sappiamo più pensare. Abbiamo delegato alla tecnologia e alla produzione di oggetti effimeri la nostra capacità di distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è
    Buona domenica a te

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  4. "Ma è un vuoto che non può essere mai colmato dalla festività del Natale, dal presepe o dalla messa di mezzanotte, perché è proprio questa ricorrenza - così come l'abbiamo costruita in questi ultimi anni - che, più di tutte, alimenta la corsa ai consumi"
    Già lo scrive anche lui ,Arminio nella parte finale di una lettera...

    "Nella giostra orrenda delle merci ci siamo dimenticati che in fondo Natale è la festa dei miracoli, come se ci fosse un giorno in cui possiamo festeggiare i miracoli che avvengono tutto l’anno".

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  5. Grazie davvero per le parole di Arminio. Sono andato a cercarla quella "lettera di Natale" di Franco Arminio, perchè non la conoscevo. Ne approfitto anch'io..."Una festa così - scrive ancora il nostro amato poeta - dovrebbe essere una grande occasione di federare le nostre ferite, dovrebbe essere la festa della verità su chi siamo e su chi vorremmo diventare, da soli e assieme agli altri. E invece abbiamo delegato il nostro dolore ai dolciumi, come se un torrone potesse essere l’avvocato della nostra ansia, un panettone il muro contro l’angoscia..."
    Ciao L. :)

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  6. Beh tu si che sei un maestro nei collegamenti tra i tuoi scritti e quelli dei grandi autori .Se vogliamo anche in questo post ve ne sono e credo che vengano scelti ,o chissà se non ti abbiano scelto loro :), per valorizzare e tenere in vita il senso piu profondo della nostra esistenza.Ma dobbiamo perfino essere cauti nello svelare ciò ,non è qualcosa che possa essere compreso o venduto sugli scaffali delle librerie odierne,dove la Littizzetto e altri da te menzionati strizzano l'occhio ai passanti ...che poi senza tanto elemosinare un acquisto, sono già li a farne tanti ormai sedotti.

    Però bisognerebbe accostarsi anche a tutto ciò che non rientra nelle nostre o le altrui corde,come dice Enzo Rasi,per poter valutare a 360' e avere un pensiero critico oggettivo più che soggettivo.Che dici caro Pino come coloro che non si avvicinano ad uno Svevo o Pavese facciamo il tentativo noi di approcciarci alla nuova uscita del libro di Francesco Totti?Ma dobbiamo essere dei tifosi anche di calcio senza avere pregiudizi su un campo accessibile alla corruzione.

    Grazie infinite a te :)

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  7. Più che “maestro nei collegamenti” tra i miei post e il pensiero dei grandi autori, diciamo – come direbbe Montaigne – che io faccio dire a loro “quello che non posso dire altrettanto bene, sia per insufficienza del mio linguaggio sia per insufficienza del mio sentimento”. Se poi qualcuno non è d’accordo con quello che scrivo, deve avere il coraggio di prendersela con loro e non con me. 😊 E la cosa mi piace assai. Riguardo poi alle letture da fare, io raramente consiglio gli autori che rientrano tra i miei preferiti: mi limito solo a parlarne con la mia solita passione. Non ho né la presunzione né l’interesse di convincere qualcuno a leggere un libro di Svevo (che piace a me) anziché l’ultimo libro di Carofiglio, che strizza l’occhio dalle vetrine delle librerie. Se tu mi chiedi perché non leggi anche Carofiglio, o peggio ancora Vespa, o dio ce ne scampi Littizzetto, “per poter valutare a 360’ “, io ti rispondo con le parole di Giorgio Manganelli che, a un tizio che gli chiedeva se avesse letto un libro di non so quale autore, disse: “non l’ho letto e non mi piace”. E poi aggiunse che un buon lettore non è chi legge tutto ma chi “sa quali libri non leggere”. 😊 Un caro saluto

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  8. pensa che autentici zampognari comparivano per natale anche per le strade della mia cittadina del profondo Nord. Era un evento atteso che seguivo dai vetri di cucina che a un certo punto aprivo per gettare in strada qualche monetina. L'episodio mi colloca in un'epoca e in un'atmosfera ormai lontana anni luce da quelle attuali.
    massimolegnani

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    1. Mi viene da pensare - caro Carlo - che tutto il mondo è paese, come si dice. Con la differenza che allora - ai nostri tempi - i paesi avevano comunque una propria identità, mentre oggi, con la globalizzazione, con internet e con l'omologazione degli usi e dei costumi il "profondo Nord" non si distingue più dal profondo Sud. :)
      Un saluto

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  9. A Carrara hanno messo come luci natalizie : Pinocchio, un galeone dei pirati, la carrozza di Cenerentola. Un prete del posto ha fatto delle osservazioni a mio giudizio dovute, è intervenuto il vescovo a dire di non fare polemiche, praticamente ha avallato quella sorta di luna park che celebra il Vitello d'oro.

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