venerdì 1 aprile 2022

Scrivere, parlare...e leggere

 


Scrivere non è come parlare. Parlare non richiede tempo. Non richiede fatica. Non richiede impegno. Basta aprire la bocca e, anche se non è collegata al cervello, le parole defluiscono, volano, si perdono, fanno rumore. Basta sintonizzarsi su uno dei tanti talk show  televisivi (sono tutti uguali, cambia solo il nome), per rendersene conto. Scrivere richiede tempo, fatica, abilità. Le parole scritte hanno maggiore responsabilità. E poi restano, perché chi le scrive vuole restare a lungo nella mente di chi legge. Il desiderio segreto di chi scrive è quello di restare “per sempre”. “Scrivere è anche non parlare – diceva Marguerite Duras – E’ tacere. E’ urlare in silenzio”. Parlare e scrivere hanno distinte proprietà e richiedono differenti capacità: non è detto che chi scrive bene sappia essere altrettanto convincente nel parlare e viceversa. Certi scrittori, per esempio, io preferisco ascoltarli mentre parlano, piuttosto che leggerli: Andrea Camilleri, tanto per fare un nome, era uno di questi. Fino ad ora non ho mai letto un suo libro (e me ne rammarico), però pendevo dalle sue labbra quando mi capitava di vederlo in televisione. Quel suo modo di parlare, di gesticolare e di raccontare mi stregava. Naturalmente, me ne guardo bene dal dire che non sapesse scrivere! Ci sono poi altri scrittori che, in qualche maniera, scrivono così come parlano e si possono leggere o ascoltare con lo stesso entusiasmo. Con lo stesso piacere. Erri De Luca è uno di questi: quando comunica verbalmente sembra stia leggendo un suo libro. E poi esiste un’altra categoria di scrittori, senz’altro la più scadente, ed è quella rappresentata dai volti noti dello spettacolo, dello sport e della politica: straparlano su tutto in TV e, non contenti, si sentono pure autorizzati a scrivere libri per diffondere il loro verbo.

Non credo che oggi ci sia la impellente necessità di nuovi scrittori: basta entrare in una qualsiasi grande libreria per capirlo. Esistono già, per nostra fortuna, le fonti autorevoli da cui attingere il nostro nutrimento spirituale. E - se proprio lo vogliamo dire - non abbiamo alcun bisogno di “novità editoriali”. Certo, l’uomo non può smettere di scrivere, né si può impedirlo, sarebbe la fine della letteratura. Peccato, però, che certe opere scadenti a volte prendano il sopravvento, complice anche l’operato di certi editori che preferiscono gli affari alla cultura. E poi, viviamo in un tempo in cui la rincorsa alle novità è perenne, come se le novità fossero tutto. Ma un libro non è come l’ultimo modello di un telefonino. Un buon libro non invecchia mai, e per nostra fortuna ne sono stati già scritti tanti. Se rileggessimo, senza comprarne altri, quei nostri cento libri più importanti allineati sui ripiani della nostra libreria - aggiungendo magari all’elenco qualche classico che ci manca - io credo che faremmo una scelta culturale davvero meritoria. Più che di nuovi scrittori, abbiamo bisogno di nuovi lettori. Ho come l’impressione che tutto quello che c’era da scrivere, in qualche maniera, sia stato già scritto dai grandi della letteratura di ogni epoca. E in giro non ne vedo altri in grado di eguagliarli. Chi decide di scrivere un libro – che sia un autore affermato o un esordiente – credo che non abbia davanti a sé niente di nuovo da raccontare. Le solite storie fritte e rifritte. Oggi uno scrittore deve stare in sintonia col gusto corrente, che è il gusto della massa. E, infatti, quando un libro incontra il favore della maggioranza, si afferma come best-seller. Diventa il libro più venduto. Un libro che spesso nuota nel mare magnum dell’attualità, e fa sentire solo quel “brusio fuori dalla finestra – come diceva Calvino - che ci avverte degli ingorghi del traffico e degli sbalzi meteorologici”. E dopo un breve periodo di notorietà, quel libro cade nel dimenticatoio. Un fuoco di paglia, senza alcuna rilevanza letteraria. 

C’è da dire che i grandi scrittori del passato, all’inizio della loro carriera, raramente venivano compresi. Spesso infrangevano gli equilibri preesistenti, andavano contro il pensiero dominante, comunicavano una nuova etica, una nuova estetica. Insomma, sapevano guardare lontano creando un nuovo bisogno culturale che, raccolto dalle generazioni future, conferiva loro quell’aura di grandezza. Ecco, secondo me, oggi mancano questi autori non allineati, e se ci sono vengono ostacolati ed emarginati e, forse, verranno compresi e apprezzati solo in un prossimo futuro. Chi scrive oggi, preferisce adeguarsi alla logica narrativa dei tempi e vendersi al migliore offerente: è la strada più facile per trovare un briciolo di successo e vendere qualche libro.


13 commenti:

  1. Personalmente non sarei così manicheo nella distinzione tra classici e best sellers, dove coi primi si intende generalmente letteratura "alta" e coi secondi letteratura di scarsa qualità. Umberto Eco, in una sua bellissima lezione in cui parlava appunto della distinzione tra classici e best sellers (qui), sottolineava come quelli che noi oggi consideriamo classici, ai loro tempi fossero anch'essi dei best sellers, e anzi è proprio il fatto che ai loro tempi siano stati anch'essi best sellers che li ha poi trasformati in classici.
    Tra l'altro, aggiunge sempre Eco, molto spesso quelli che oggi consideriamo classici non sempre lo sono diventati per la loro qualità, ma spesso semplicemente per motivi fortuiti.
    Insomma, a me questa rigorosa distinzione pare avere poco senso. Io leggo abitualmente sia i grandi classici che letteratura contemporanea e mi pare che anche oggi ci siano scrittori le cui opere non sfigurano minimamente di fronte ai più blasonati classici.
    Ciao Pino.

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    1. Lo ammetto: a volte ho una visione manichea delle cose che mi circondano e mi succedono intorno. Ma quando, per esempio, vedo la vetrina di una grande libreria (quella che si trova dalle parti di casa mia, a Roma) addobbata a mò di albero di Natale, nonostante ci troviamo sotto Pasqua, con una trentina di copie dell’ultimo romanzo di Walter Veltroni “La scelta”, ebbene – caro Andrea – io assumo una posizione alquanto rigida perchè non riesco più a trovare una via di mezzo tra il bianco e il nero, tra il prodotto commerciale e l’opera letteraria. Il tempo ci dirà se l’ultima fatica di Veltroni passerà da best-seller a classico della letteratura italiana. Intanto le cose vanno così, e tu puoi essere anche un grande scrittore, ma nessuno ti leggerà perché non hai la visibilità mediatica dell’ex segretario del fu partico comunista.
      Ora io non posso competere con il grande Umberto Eco: ci mancherebbe! E' vero quello che tu scrivi: anche alcuni libri che noi oggi consideriamo dei classici, al loro tempo probabilmente furono i libri più letti, quelli che noi oggi consideriamo dei bestseller. E’ pur vero, però, che non tutti i bestseller di ieri, così come quelli di oggi, sono diventati o diventeranno dei classici. Proust era un autore che al suo tempo nessuno voleva pubblicare: poi sappiamo tutti come sono andate a finire le cose. La maggior parte dei romanzi di Follett (se non sbaglio è un autore che ti piace…a me no) spesso sono dei bestseller. Non posso pensare, però, che le generazioni future se li ritroveranno tutti come classici della letteratura. Io raramente leggo un bestseller: preferisco che un romanzo invecchi come un buon vino, aspetto che si liberi dal bla bla mediatico e pubblicitario. E quando, poi, me lo ritrovo tra le mani dopo molti anni dalla sua pubblicazione, magari scovandolo in un mercatino dell’usato, ti assicuro che il piacere di leggerlo è davvero grande, per due motivi: il libro non lo legge più nessuno e, nel frattempo, è pure diventato un classico della letteratura. Io, però, l’ho letto come tale, mentre tu – avendolo comprato appena pubblicato - hai letto solo un bestseller… un libro per la massa. Sorridiamo insieme 😊 e grazie per il tuo commento. Ciao Andrea

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    2. Io credo che ognuno i propri classici se li crei da sé. Follett non è tra i miei autori preferiti, nonostante qualche suo romanzo l'abbia letto e mi sia pure piaciuto. Quello che, in sintesi, voglio dire è che un classico non è automaticamente un libro di qualità, così come un best sellers di oggi non è automaticamente un libro di scarsa qualità, anche perché poi qui si entra nel campo della soggettività e ciò che può essere considerato per qualcuno un libro di qualità può non esserlo per qualcun altro e viceversa.
      Prendi ad esempio Il conte di Montecristo, di Dumas. È indubbiamente un capolavoro, nessuno lo mette in discussione, ma è un capolavoro che, a voler essere obiettivi, ha anche un sacco di difetti: in moltissime parti è prolisso, ridondante, pieno di ripetizioni, tutti "difetti" che agli scrittori di oggi non verrebbero perdonati.
      Per quanto riguarda la letteratura contemporanea, poi, è ovvio che un minimo di discrimine bisogna attuarlo. Lasciamo stare Veltroni, ma scrittori come Philip Roth o, che ne so, David Grossman hanno scritto libri che non sfigurerebbero di fronte ai maggiori capolavori di un Flaubert o di un Thomas Mann. È per questo che mi lascia un po' perplesso questo tuo distinguere nettamente tra classici e narrativa contemporanea. Se hai tempo, prova ad ascoltare l'intervento di Eco che ti ho linkato, dura appena una quindicina di minuti e secondo me merita.
      Ciao Pino :-)

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    3. In parte concordo con te: è indubbio che non tutti i best sellers, così come non tutti i classici, sono automaticamente grandi capolavori, libri di qualità. In queste preferenze subentra sempre il nostro gusto personale, che a volte è determinante. Anch’io leggo letteratura contemporanea, non pensare che la escluda a priori dai miei interessi letterari. Hai fatto due nomi di scrittori, Roth e Grossman, che io conosco molto bene: del primo ho letto un paio di libri, in particolare mi impressionò “L’animale morente”, mentre di Grossman ricordo con piacere “Che tu sia per me il coltello”, un libro molto profondo sull’importanza dell’immaginazione nei rapporti umani, incentrato su una relazione epistolare tra un uomo e una donna che non si conoscono. Il problema comunque resta: c’è troppa monnezza in giro che viene purtroppo pubblicata e data in pasto ai più sprovveduti. E questo non fa che disorientare il lettore. E il lettore meno preparato finisce nelle grinfie di questi tentacoli che non lo aiutano certo a migliorare. Umberto Eco era uno di quegli scrittori che non mi stancavo mai di ascoltare, anche se – devo dire - l’ho letto poco. Naturalmente “Il nome della rosa” non potevo non leggerlo. E l’ho letto due volte.
      Ciao, Andrea, stammi bene

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  2. Concordo in parte, nel senso che prima di rileggere anche classici che mi hanno stupito - cosa avvenuta comunque - avrei da leggerne un'altra infinità, riservandomi anche la facoltà di lasciar perdere se la lettura risultasse ostica, come con Joyce ma anche con Marquez o altri più universalmente conosciuti. Nel frattempo non disdegno affatto la scrittura d'avanguardia, molta della quale magari, come sottolinea Andrea, diverrà la letteratura classica del futuro (sempre che l'umanità ne sappia preservare, di futuro..).
    Scrivere, comunque, rimane almeno per me necessità impellente e necessaria, una sorta di respirare che tiene a galla passione curiosità permettendo una delle bellezze del vivere.

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    1. Naturalmente non si può leggere tutto: abbiamo una sola vita. E il tempo a nostra disposizione si va sempre di più assottigliando. E poi dobbiamo fare tante altre belle cose, come visitare nuovi paesi e piccoli borghi dove la vita è meno stressante e dove il tempo sembra scorrere più lento. D’altra parte, come giustamente fai tu, caro Franco. E poi dobbiamo anche scrivere, questi nostri poveri, ma appassionati pensieri. Diceva il mio consigliere spirituale Seneca: “Troppi libri producono dissipazione: perciò, se non ti è possibile leggere tutti i libri che potresti avere, basta che tu abbia i libri che puoi leggere. Ma tu dici “a me piace sfogliare ora questo volume, ora quello”. Assaggiare qua e là è proprio di uno stomaco viziato e troppi cibi diversi non nutrono, ma rovinano l’organismo. Perciò leggi sempre i migliori autori e, se talvolta vuoi passare ad altri, torna poi ai primi…”
      Un caro saluto 😊

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    2. "Esistono già, per nostra fortuna, le fonti autorevoli da cui attingere il nostro nutrimento spirituale"

      Concordo con te e su questa tua riflessione ne sopraggiunge un'altra ,attraverso una domanda semplicissima.Che tipo di nutrimento scegliamo come lettori ,in alternativa a quello spirituale, se non attingiamo da quelle fonti autorevoli?

      Oh ...pare che tu mi abbia fornito anche la risposta :-):"... esiste un’altra categoria di scrittori, senz’altro la più scadente, ed è quella rappresentata dai volti noti dello spettacolo, dello sport e della politica straparlano su tutto in TV e, non contenti, si sentono pure autorizzati a scrivere libri per diffondere il loro verbo".
      Sarebbe interessante non farsi deviare dalla lettura di questa tua reale sottolineatura...


      Come darti torto quindi su questa presa di coscienza di editoria ,che mira più agli affari che alla cultura!

      Conoscendoti almeno un po e leggendo i tuoi post,si comprende che non porti su una generalizzazione contestabile tutti gli scrittori odierni,citandoti primo tra tutti Franco Arminio ,scrittore,poeta a cui sono stati dedicati diversi tuoi post.Diciamo che uno scrittore come lui avvalora ciò che scrivi a proposito di quegli "autori non allineati" che magari e purtroppo verranno compresi e apprezzati solo in un prossimo futuro...ma che comunque possiamo benissimo definire anche classici nel periodo socio culturale che stiamo vivendo .

      Buona serata


      L.

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    3. E’ noto a tutti: gli Italiani leggono poco, però in compenso scrivono molto. Sono scrittori, prima ancora che lettori. Invece dovrebbe succedere il contrario. E poi non è detto che per scrivere bene basta solo leggere tanto. Occorrono altre qualità che solo i grandi posseggono. E allora uno potrebbe domandarsi: chi sono i grandi scrittori? E qui nasce il problema. Italo Calvino potrebbe darci qualche suggerimento. Nel suo libro "Perchè leggere i classici" scrisse una sorta di lettera d’amore ai suoi preferiti:
      “Amo soprattutto Stendhal perché solo in lui tensione morale individuale, tensione storica, slancio della vita sono una cosa sola, lineare tensione romanzesca. Amo Puskin perché è limpidezza, ironia e serietà. Amo Hemingway, perché è matter of fact, understatement, volontà di felicità, tristezza. Amo Stevenson, perché pare che voli. Amo Cechov perché non va più in là di dove va. Amo Conrad perché naviga l’abisso e non ci affonda. Amo Tolstoj perché alle volte mi pare d’essere lì lì per capire come fa e invece niente. Amo Manzoni perché fino a poco fa l’odiavo. Amo Chesterton perché voleva essere il Voltaire cattolico e io volevo essere il Chesterton comunista. Amo Flaubert perché dopo di lui non si può più pensare di fare come lui. Amo Poe dello Scarabeo D’Oro. Amo Twain di Huckleberry Finn. Amo Kipling dei Libri della Giungla. Amo Nievo perché l’ho riletto tante volte divertendomi come la prima. Amo Jane Austen perché non la leggo mai ma sono contento che ci sia. Amo Gogol perché deforma con nettezza, cattiveria, misura. Amo Balzac, perché è visionario. Amo Kafka, perché è realista. Amo Maupassant perché è superficiale. Amo la Mansfiled perché è intelligente. Amo Fitzgerald perché è insoddisfatto. Amo Radiguet perché la giovinezza non torna più. Amo Svevo perché bisognerà pur invecchiare. Amo…“.
      Buona serata a te 😊

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  3. "Più che di nuovi scrittori, abbiamo bisogno di nuovi lettori."
    Vero. Grazie anche della condivisione della predilezione di Calvino per i classici. E, in generale, di queste riflessioni su lettura e scrittura, commenti inclusi. Buona serata e buon tutto.
    P.s. Apprezzavo assai Camilleri come affabulatore e, in ritardo, l'ho apprezzato anche come autore.

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    1. Grazie Maria per l'apprezzamento. Buona giornata a te.

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  4. concordo con certe tue affermazioni e aggiungo che la rincorsa al best seller è la maledizione della letteratura (soprattutto) americana.
    Però ci sono autori contemporanei che antepongono il proprio stile alle esigenze di marketing e per questa loro originalità meritano di essere letti.
    ml

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    1. Che un libro possa vendere più di un altro, in un particolare momento storico, io non ci vedo nulla di male. L’attualità, ma anche le circostanze favorevoli, a volte possono incidere sulle scelte dei lettori e quindi premiare il libro A anziché il libro B. Bisogna però riflettere e porsi qualche domanda critica quando il best seller – il libro più venduto, o forse quello che si vende meglio - viene preparato, diciamo così, a tavolino come genere pertinente da imporre al consumo immediato di un vasto pubblico. E’ pur vero che se non esistessero certi libri, molte persone non leggerebbero niente. Mi viene in mente quel cartello che campeggia nel famigerato “Centro” di un famoso libro di Saramago che dice: "Ti venderemmo tutto quello di cui tu hai bisogno se non preferissimo che tu abbia bisogno di ciò che vendiamo". Ecco, non fare letteratura ma creare un bisogno. E la letteratura americana – dici proprio bene – è imbattibile nell’adottare queste scelte commerciali. Grazie Carlo

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  5. Sono d'accordo con te, ciao Valeria

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