La nostalgia è un sentimento che
mi appartiene; è quasi un mio tratto distintivo reso ancora più evidente dall’insopportabile
pesantezza del presente. Mi rifugio nella nostalgia per non soccombere alle
pericolose fantasticherie tecnologiche dei nostri tempi. Sia ben chiaro: non ho
nessun desiderio di ritornare al passato, che certamente non è stato l’Eden
sognato. Tuttavia - come scrive l’antropologo Vito Teti in un suo
interessantissimo saggio che sto leggendo, dal titolo “Nostalgia”
(con sottotitolo) “Antropologia di un sentimento del presente” – ogni
nuova narrazione diventa più convincente e più sostenibile se non trascura e
non svilisce quelle di epoche precedenti.
Con questo bel libro – che si
colloca tra il saggio antropologico e il diario intimistico - Vito Teti prova a
raccontare un’altra nostalgia, “altra” rispetto a quel confuso stato d’animo che
lacera e imprigiona l’individuo, frenando e ostacolando ogni suo cambiamento. E lo
fa attraverso riferimenti letterari, filosofici e psicoanalitici che identificano
la nostalgia quale sentimento creativo e irrinunciabile dell’uomo. “Nata
all’inizio come patologia delle persone che restano indietro – scrive Teti
– la nostalgia mostra che forse la salvezza sarà possibile proprio
guardandoci indietro, ascoltando quelli che sembravano essere rimasti indietro
e che invece erano più avanti di altri per una possibile salvezza del pianeta.
“Il peggio è indietro”, si dice nel mio mondo di origine, e ho sempre pensato
che si intendesse nel passato; invece, quell’indietro significava avanti, e
forse il peggio non sta dietro di noi, ma di fronte, in quel futuro che non
sappiamo riconoscere e immaginare e che magari vorremmo evitare che accadesse”.
Si, sono un nostalgico, lo
confesso: ma non tanto del tempo che fu o del luogo dell’infanzia perduto,
quanto di un altro tempo che poteva essere e non è stato, o di un’altra età, di
un’altra giovinezza, di un’altra vita forse mai vissute. Il mio modo di pensare
e di guardare è nostalgico: mi rapporto sempre con un altrove indefinito o con il
passato (la sacralità di certi valori…la spiritualità di un’esistenza a misura
d’uomo), e vivo la modernità con una coscienza quasi sempre conflittuale; una modernità,
questa, che suscita spaesamento e in cui non mi riconosco - almeno per come è
diventata in alcuni contesti - che parla un altro linguaggio, che mi appare
distante, dove le cose sembrano avere un ordine di importanza rivoltato. Insomma,
la nostalgia come critica del presente. Anche se, passato e presente, modernità
e tradizione dovrebbero essere legate da una stretta relazione “che non
implica il desiderio di restaurare il passato – scrive Teti - ma che
vale, invece, ad affermare un nuovo umanesimo, a impedire che l’uomo smarrisca
la dimensione religiosa, la sacralità della vita, i legami inscindibili tra
natura, terra, vita”.
Sono nostalgico, forse perché “ho
perduto la vista familiare del campanile” del mio borgo natio – come ebbe a
scrivere Ernesto De Martino – punto di riferimento che accomunava quelli della
mia generazione, testimoni di un mondo che non c’è più, soppiantato da una
realtà senza luoghi, senza memoria, uniforme e globalizzata. E mi riconosco
nella nostalgia dell’antropologo Vito Teti: si, perché anche lui è un
nostalgico. E vive questo suo sentimento con particolare orgoglio, prova anzi
un certo piacere nell’essere percepito come tale. La nostalgia – egli dice –
non è il sentimento degli anziani ma comincia da bambino, appartiene al suo
vissuto fin da piccolo. Lui aveva nostalgia del padre emigrato in Canada, aveva
nostalgia della casa dei nonni, dei suoi amici, degli odori, dei suoni, delle
atmosfere del suo paese in Calabria, che si abituava a riconoscere fin
dall’infanzia. E avrebbe voluto “prolungare all’infinito quello stato di
benessere che giungeva da una confusa, misteriosa lontananza”. Era
nostalgico di ciò che era stato e di ciò che doveva ancora venire, verso cui si
distendeva con l’immaginazione. Esiste un modo diverso di guardare al passato:
non per ricostituirlo ma per cercare di coglierne i saperi, le memorie e gli
aspetti più autentici che potrebbero contribuire a generare nuove
consapevolezze.
La nostalgia non è soltanto il
sentimento di chi parte, ma anche di chi resta e assiste al crepuscolo del luogo
in cui è nato ed alle sue inderogabili trasformazioni. “Beato te che sei andato
via da qui”, mi diceva tempo fa un amico incontrato al paese. Lui, invece, era
rimasto, non si era mai allontanato da quel posto, come quel personaggio di
Pavese che incontriamo ne “La luna e i falò”. Però aveva nostalgia di un
altrove mai visto – quel vecchio amico d’infanzia che invidiava la mia partenza
dal paese – aveva nostalgia pur non essendo mai partito, pur non avendo mai
perduto “la vista familiare del campanile”. L’ho ritrovato tra le righe
di questo libro: “Egli è il melanconico abitatore di un mondo da cui
non si è mosso, e il nostalgico sognatore di un mondo che non conosce”…Non si
ceda alla retorica o all’enfasi, ma restare è la forma estrema del viaggiare…Restare
è una diversa pratica dei luoghi e una diversa esperienza del tempo, una
riconsiderazione dei ritmi e delle stagioni della vita…Restare significa
mantenere il sentimento dei luoghi e camminare per costruire qui e ora un mondo
nuovo anche a partire dalle rovine del vecchio… Restare significa vedere quanto
è ancora vivo quello che abbiamo creduto morto e quanto sia essenziale quello
che è stato scartato dalla modernità”.
Hai dedicato diversi post all'antropologo Vito Teti,ed è grazie a questo tuo descriverne che l'ho un po conosciuto .
RispondiEliminaDevo ammettere che questa sua forma di "coerenza interiore " si lascia cogliere proprio attraverso questo senso di nostalgia che vi accomuna anche ,dove i luoghi dello scrittore vengono vissuti allo stesso tuo modo ,testimonianza di un post
del 21 settembre 2018
"Un paese e le sue rovine"
L'etimologia stessa della parola " "nostalgia" ha un fascino e una risposta chiara... il nostos, il ritorno a casa, e l’algia, il dolore.Quante volte proprio attraverso l'immaginazione viaggiamo con nostalgia in quei luoghi dove ci sentivamo a casa e ne soffriamo quasi in maniera dolce e sottile...
Ma poi tu ci ricordi altro nel dire che "La nostalgia non è soltanto il sentimento di chi parte, ma anche di chi resta e assiste al crepuscolo del luogo in cui è nato ed alle sue inderogabili trasformazioni"
Buona giornata
L.
Si, Vito Teti è il mio antropologo di riferimento: mi piace molto come scrive e poi mi ritrovo tra le sue pagine. Ha ragione quando scrive che la nostalgia non è soltanto il sentimento di chi parte, ma anche di chi resta. Ho portato l'esempio di quel mio amico d'infanzia che è rimasto al paese: egli assiste in maniera malinconica alla fine del mondo in cui è nato, dove ormai si percepisce come una sorta di straniero in patria. E quando mi vede (ai suoi occhi io sono un migrante, perchè ho lasciato il paese natio), è come se rivedesse l'antico paese, mi parla del tempo che fu, della nostra infanzia. Coloro che restano, dice Teti, diventano approdo per quanti ritornano.
EliminaCiao L., stammi bene.