Ci sono dei luoghi che sanno di
eterno e nessuna riproduzione, fotografica o descrittiva, può mai rendere
l’idea della loro bellezza che solo la presenza sul posto può trasmettere. Sono
luoghi come sospesi nel tempo, che in qualche maniera ci riportano alle nostre
origini, di fronte ai quali si rimane incantati, soggiogati dalla grandiosità delle
immagini e dalle sensazioni che suscitano. Uno di questi luoghi è certamente
Paestum, patrimonio dell’umanità. Dicevo che nessuna descrizione può mai sostituirsi
allo sguardo, eppure resto sempre affascinato dalle parole dei grandi personaggi
della cultura (poeti, scrittori, artisti…) che - trovandosi al cospetto dei
templi di Paestum – hanno saputo celebrarli con parole che posseggono una
straordinaria capacità evocativa, prima ancora che godere della loro maestosità
architettonica. Un atto d’amore nei confronti della bellezza, un invito ad
osservare con occhi estasiati la magnificenza del passato. E a volte queste belle
descrizioni le trovi dove meno te le aspetti, come nelle pagine di un romanzo
di Michele Prisco “Lo specchio cieco” di cui ho parlato nel post precedente:
“A Paestum ogni volta ritrovo, e
rinnovo, un coagulo di emozioni, il rigurgito come di ancestrali allarmi: per
quanto anche lì intorno la speculazione edilizia abbia cercato di deturpare il
paesaggio, resta ancora uno dei pochi luoghi in cui il Sud mi parla più che con
la sua storia o la sua civiltà con la forza oscura e inalterabile dei suoi
richiami. Già ci si arriva intimiditi, attraversando una campagna bassa e
squadrata (le bufale che vi si attardano impigrite sono grasse, lucide, sazie),
e quando si è di fronte ai templi s’entra come in un sortilegio di cui non si
riesce mai a spiegare la natura e forse il loro fascino sul visitatore consiste
proprio in questa silenziosa arcana impenetrabilità. Perché qui siamo soli, noi
uomini d’oggi più o meno malati di nevrosi, e i blocchi di pietra millenari, ma
ci separa più che la distanza temporale l’ineffabilità del mistero, del rito,
del recinto sacro, che si respira in tutta la sua chiusa solennità e che niente
può aiutarci a sciogliere in un incontro più diretto o in una più umana misura:
la pietra resta muta e gelosa, lo stesso mare che traluce di là dai colonnati
(e quel giorno era livido, fermo e senza confini) diventa un altro elemento di
questa suggestione così intensa e struggente”.
Insieme alle splendide descrizioni di Prisco, mi avete riportato a sensazioni simili, provate al cospetto del tempio della Concordia, ad Agrigento, come anche nell'Acropoli di Atene. Quel sentirsi piccoli e persi al cospetto di antiche ed imperiture magnificenze. Quello stesso riempire di bellezza cuore ed occhi di fronte quella "pietra muta e gelosa". Dici bene: possiamo solo tributare atti d'amore, e goderne appieno.
RispondiEliminaE' proprio così: "sentirsi piccoli e persi al cospetto di antiche ed imperiture magnificenze". Ciao Franco
Eliminanon sono mai stato a Paestum e mi piace questa mia mancanza che mi permette di condividere "sulla fiducia" il tuo entusiasmo (come capita a te quando leggi da me di luoghi dove non sei stato!)
RispondiEliminamassimolegnani
Ti ringrazio per la "fiducia". A volte certe parole, che nascono dal cuore e dalla passione, bastano da sole ad evocare la bellezza di un luogo. Un caro saluto.
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