Raramente leggo un libro che occupa i primi
posti nelle classifiche di vendita. Comprare quel determinato libro solo perché
risulta il più venduto, non sembra altro che ubbidire ad una sorta di
imposizione dettata, non tanto dalla qualità dell’opera, quanto da una scelta
pubblicitaria e di mercato. Chi segue quelle classifiche, secondo me, non è un
lettore ma un consumatore e quei prodotti cartacei, spesso, durano qualche mese
e poi spariscono dalla circolazione, come un qualsiasi prodotto industriale
scaduto. La lettura implica una continua ricerca, una continua scoperta. Chi l’ha
detto che il libro più venduto sia anche il più bello? Dirò di più: io non
seguo neanche il consiglio dell’amico chi mi suggerisce di leggere il libro che
lui ha già letto, soprattutto se quell’amico ha gusti letterari diversi dai
miei. Certo, può anche capitare che mi ricorderò del suo libro dopo qualche
anno, quando nessuno più ne parlerà e tutti l’avranno dimenticato, magari scovandolo
un po' ingiallito sul banchetto di un mercatino dell’usato. Ma è tutt’altro
piacere! Diciamolo: ognuno ha le sue perversioni. Tuttavia, sapere che oggi c’è qualcuno che spende 18 euro
per immergersi nella lettura di “Un amore chiamato politica” con
sottotitolo “La mia storia e tutto quello che ancora non sapete”, esordio
narrativo di Luigi Di Maio, in qualche maniera mi consola e mi fa pensare che,
tutto sommato, esistono perversioni peggiori delle mie. Diceva Goethe che “all’uomo, nella sua fragile barchetta, è dato
il remo in mano proprio perché segua non il capriccio delle onde ma la volontà
della sua intelligenza”.
Ho appena finito di leggere un libro che non
sta in nessuna classifica, credo che non si trovi neanche in libreria in quanto
fuori catalogo. Si intitola “La cosa buffa” pubblicato oltre mezzo
secolo fa da Giuseppe Berto, lo scrittore veneto ricordato soprattutto per “Il
male oscuro” con cui si aggiudicò, nel 1964, due premi letterari, il
Campiello e il Viareggio. La cosa buffa è che probabilmente il libro del
Ministro Di Maio venderà molte più copie di quante ne abbia vendute, in circa
sessant’anni, “La cosa buffa” di Berto. La
cosa buffa è che gli editori, che dovrebbero trasmettere cultura attraverso i
libri che pubblicano, non provano alcun imbarazzo di fronte a questa realtà. Qualcuno
potrebbe rinfacciarmi: ma tu l’hai letto il libro dell’enfant prodige della
politica italiana (lo avevo pure votato…ahimé!), nonché scrittore emergente di
belle speranze, il Giggino nazionale, già Vice Presidente della Camera e Vice
Presidente del Consiglio, già Ministro dello Sviluppo Economico e ora Ministro
degli Esteri? Gli risponderei con le parole di Giorgio Manganelli, il quale
interpellato da uno scribacchino per sapere se avesse letto il suo libro appena
uscito, gli rispose: “no, non l’ho letto e non mi piace”.
Mi è piaciuto, invece – ed è stata una deliziosa
scoperta - “La cosa buffa”: un romanzo poco conosciuto che ti conquista e ti stupisce,
non tanto per la trama - scarna ed essenziale, come peraltro piace a me -
quanto per la tecnica narrativa adottata dall’autore, fatta di lunghi periodi
inarrestabili, direi torrenziali, privi di punteggiatura, che a volte occupano
anche due/tre pagine. Eppure, nonostante questa singolarità stilistica, la
lettura scorre limpida e leggera, senza affanni, senza quell’effetto apnea che
un lungo periodo potrebbe causare al lettore. E’ un libro che, nel suo genere, costituisce
un piccolo capolavoro che si esplica attraverso il monologo interiore del suo
protagonista, Antonio “un giovane pessimista sul fiore degli anni (…) il
maggiore e pressoché unico artefice delle proprie disgrazie” il quale,
trovandosi sulla terrazza del Caffè alle Zattere, a Venezia, dove si recava
ogni pomeriggio di sole, vide per la prima volta Maria e “fu immediatamente
preso dalla tumultuosa certezza ch’era lei che cercava, e altrettanto
immediatamente sentì che quella ragazza escludeva qualsiasi possibilità di
avere un’altra ragazza diversa da lei almeno nello stesso tempo, e insomma
venne a trovarsi nella condizione più propizia per un’esplosione amorosa ancor
più grossa di quella ch’egli stesso potesse desiderare e prevedere”.
L’autore segue passo dopo passo il
personaggio che esce dalla sua penna; registra, attraverso uno scavo analitico
profondo, le sue incessanti fantasticherie in un susseguirsi di ipotesi,
calcoli, dubbi, paure, valutazioni, desideri, imprudenze, che riflettono la sua
inadeguatezza, la sua timidezza, la sua inesperienza, la difficoltà di vivere la
sua storia d’amore, con risvolti ora comici e ora drammatici, ora malinconici e
ora felici. E noi lettori, con divertimento e tenerezza, lo scrutiamo, lo comprendiamo
– questo candido e disincantato antieroe – facciamo il tifo per lui in questa
sua difficile e a volte buffa educazione sentimentale e finiamo per volergli
bene, come fosse un fratello o un amico. E perché no: come se fosse il nostro
alter ego. Con questa narrazione dolceamara, Berto forse vuole raccontare la
nostra stessa giovinezza costellata di entusiasmi e delusioni, di gioie e dispiaceri.
D'altronde, come diceva il nostro protagonista, “le gioie di questo
mondo vanno sempre meritate per mezzo di una buona dose di sofferenze”.
Mi piace questo tuo modo di raccontare un libro. E anche le frecciatine che lanci :))
RispondiEliminaFrancesco
Grazie per l'apprezzamento. Le frecciatine sono senza punta: non fanno male :-)
Eliminala risposta lapidaria di Manganelli (che ti si adatta come un vestito di sartoria) è sferzante e divertente, ma trovo che mostri anche il preconcetto che si nasconde dietro l'intransigenza. Voglio dire che se per il libro di Giggino il pregiudizio è d'obbligo, ci sono opere (magari rare) in classifica che meriterebbero la lettura, lettura che ti è preclusa dal preconcetto.
RispondiEliminanaturalmente vale anche la considerazione opposta: per esempio, so di aver letto La cosa buffa quando aveva vinto il Campiello ma ora non ne ricordo nulla, come non l'avessi letto. Al contrario tu che allora lo avevi evitato come la peste, ora ne godi la lettura. Insomma è una cosa buffa!
ml
Più che una questione di pregiudizi è una questione di buon senso. Anche se il buon senso – come diceva Einstein – è una collezione di pregiudizi acquisiti a partire dai diciotto anni. Per ritornare a Manganelli, lui sosteneva che un buon lettore è in primo luogo chi sa quali libri non leggere. Insomma – caro Massimo - non è sempre necessario comprare un libro e leggerlo per emettere un giudizio negativo e dire: non mi piace. Per chi sa dirlo prima, per chi ha un po' di dimestichezza con la letteratura, è un grande risparmio di tempo e di soldi. E poi – diciamolo - il piacere è immediato. Certo, scartare il libro di Giggino o l’immancabile strenna natalizia di Bruno Vespa è un gioco da ragazzi, basta aver letto qualche favola da bambino per avere la forza e la competenza necessarie per poterli stroncare senza se e senza ma: non li leggo e non mi piacciono. Li evito come la peste, oggi e per sempre. 😊 Un caro saluto.
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