«O Ozio, abbi pietà della nostra lunga miseria!
O Ozio, padre delle arti e delle nobili virtù, sii il balsamo delle angosce
umane!
Paul Lafargue
Quelli che appartengono alla mia generazione sono stati educati – diciamo pure così - secondo l’avvertimento di quell’antico proverbio che recita: “l’ozio è il padre di tutti i vizi”. In più, ci è stato inculcato quell’altro pensiero, ancora più sibillino, vale a dire: “il tempo è denaro”. Insomma, in questi ultimi anni hanno cercato (forse riuscendoci) di far passare il messaggio secondo cui il lavoro è l’unica virtù in cui credere, e che il tempo a nostra disposizione va utilizzato nel migliore dei modi possibili: produrre e consumare. O meglio, consumare avidamente per continuare a produrre in un circolo vizioso senza fine.
Ora io non voglio assolutamente mettere
in discussione l’attuale organizzazione del lavoro: non ne ho le competenze. Né
saprei concepire una società che lo abolisca: è comunque la nostra risorsa
economica che ci permette di vivere e avere un futuro. E poi sarebbe davvero un
grave atto d’accusa contro la civiltà moderna che ci offre tanti benefici. Tuttavia
mi piace fare una breve considerazione su questo antico modo di ragionare,
generato esclusivamente dalla logica mercantile e produttivistica della società
dei consumi, che sta cancellando (o ha già cancellato?) il tempo della pausa e
della lentezza. Basta osservare un qualsiasi locale pubblico (bar, pizzeria,
ristorante…) di una grande città nell’ora di pranzo, tanto per fare un esempio.
Ebbene, i commensali - lavoratori e impiegati in pausa pranzo che siedono a
quei tavoli - continuano a lavorare imperterriti al cellulare…mentre il piatto
piange. Una volta esisteva quel momento di piacevole interruzione durante il
quale ci si poteva estraniare e pensare ad altro, senza essere connessi:
sparito. Quelli che hanno la mia età
ricorderanno certamente “l’intervallo” televisivo che veniva mandato in onda
tra un programma e l’altro senza messaggi pubblicitari, fatto solo di paesaggi
in bianco e nero, di vecchi borghi o di greggi di pecore che pascolavano, il
tutto accompagnato da un dolce sottofondo musicale. Erano sprazzi di autentico
rilassamento che rimandavano ai ritmi lenti dell’esistenza. Oggi tali immagini
sarebbero inconcepibili e antieconomiche, divorate da una pubblicità falsa e
immorale.
C’è qualcuno che sta tentando di
impossessarsi del nostro tempo e della nostra libertà e annullare quello spazio
interiore che potremmo dedicare alla riflessione, all’ozio, alla convivialità. Questa
filosofia di vita legata all’efficientismo economico a tutti i costi, questi
ritmi frenetici e questi tempi del vivere dettati solo dall’economia e dalla
tecnologia, dalla fretta e dalla velocità, dalle macchine e dal “sempre
connesso” non mi hanno mai entusiasmato. Lo confesso. Ho sempre rivendicato
ritmi più lenti e a misura d’uomo; ho sempre guardato all’ozio quale
espressione di un modo diverso di stare nel mondo e nella vita; e cerco di
vivere il tempo senza affanni e di rapportarmi con consapevolezza alle cose e
ai luoghi senza rincorrere le mode del momento, respingendo le lusinghe di chi
vuole controllare e veicolare le mie scelte. E, naturalmente, da sempre rivendico
un approccio al lavoro meno pregnante e onnivoro, meno competitivo e più umano,
che non decida il ruolo degli individui nella società a seconda del lavoro che
svolgono. Qualcuno ha detto che il lavoro nobilita l’uomo e lo rende più felice
(sarà poi vero?); per me rappresenta solo un’attività necessaria per vivere, e
non un mezzo di affermazione sociale o di rivalsa che genera, spesso,
ingiustizie e prevaricazioni.
Gli antichi Greci – da cui
abbiamo ereditato il senso della bellezza artistica nella vita dell’uomo -
disprezzavano il lavoro, riservato solo agli schiavi. E infatti ogni cittadino
ateniese ne aveva diversi a sua disposizione: ciò gli consentiva di dedicare
tutto il suo tempo ai giochi, allo studio, alla ginnastica, all’arte, tant’è
che furono capaci di creare quelle opere artistiche e architettoniche
straordinarie che ancora oggi ammiriamo. Anche nelle società delle epoche
successive - almeno fino all’avvento della rivoluzione industriale – il lavoro
non era considerato un valore essenziale in cui credere e in cui riconoscersi. Lavoravano
solo le persone più umili, i contadini e gli artigiani, i quali dovevano
provvedere non solo alle proprie esigenze vitali ma anche a quelle dei nobili,
la classe sociale dominante che non svolgeva alcuna attività lavorativa. E se
noi oggi possiamo ancora contemplare tutte le bellezze artistiche e
architettoniche che ci hanno tramandato, dobbiamo ringraziare proprio loro, i
principi e i signori delle corti rinascimentali che vivevano nell’ozio creativo
e furono i mecenati dei più grandi artisti. Ci voleva il grande filosofo Bertrand
Russell, che all’ozio dedicò un suo famoso libretto, per dire che l’ozio “è
essenziale per la civiltà”. E che fu proprio questa classe di persone oziose
che “contribuì in modo quasi esclusivo a creare quella che noi chiamiamo
civiltà. Fu questa classe che coltivò le arti e scoprì le scienze, che scrisse
libri, inventò sistemi filosofici e raffinò i rapporti sociali. Persino la
campagna per la liberazione degli oppressi partì generalmente dall’alto. Senza
una classe oziosa, l’umanità non si sarebbe mai sollevata dalla barbarie”.
Noi oggi non abbiamo schiavi che
possano lavorare per noi, offrendoci così più tempo libero. E poi non esiste
più una “classe oziosa” come quella del passato, capace di lasciare al mondo
tracce eterne del loro passaggio. A nostra disposizione abbiamo, però, la
tecnologia con le sue macchine potentissime ed intelligentissime che ci
consentono di produrre beni e servizi in tempi brevi, con sempre meno rapporto
di lavoro umano. Secondo il sociologo Domenico De Masi “tutte queste
macchine equivalgono ad almeno 33 schiavi. Eppure – scrive De Masi - la
sensazione è che ci sia meno tempo di una volta per coltivare la propensione
all’arte, la vocazione civile, la riflessione filosofica, i rapporti
conviviali”. Invece di liberarci dagli affanni e restituirci il tempo da
dedicare alle cose belle e alla riflessione interiore, la tecnologia ci illude
e ci rende sempre più occupati, cosicché il tempo libero diventa solo
un’opportunità di consumo, utile alla produzione e all’economia ma non alla
crescita civile, culturale e spirituale, la sola che possa anche educare e
raffinare il gusto di una persona. In un momento considerato di decadenza
culturale, si è perso il senso dell’ozio – direi il buon uso del tempo - che
permetteva di dare anche un senso all’esistenza. Siamo diventati noi gli
schiavi, succubi delle macchine, che ci rubano la cosa più preziosa che
abbiamo: il tempo.
Ora, non posso sfuggire a questa
conclusione: la bellezza, in tutte le sue innumerevoli espressioni, nasce
sempre dall’ozio creativo di qualcuno e non dal lavoro. E mi viene allora da
pensare a un antico proverbio spagnolo che così ammonisce: “l’uomo che lavora,
perde il suo tempo”. Beh…come se non bastasse questo anacronistico elogio dell’ozio
nell’era della modernità e della velocità!
Siamo succubi della frenesia, del fare comunque, e a tutti i costi, lo "slow" è una sensazione malvista, legata a pregiudizi di inefficienza. E ci bruciamo il tempo anziché servircene, lo iper utilizziamo invece di passionalizzarlo. Siamo comunque noi al suo servizio anziché il contrario. Solo il fatto di ragionare sempre più in funzione dell'aumento di tempo e spazio lavoro, fa capire come il progresso sembri non lavorare per l'uomo, ma contro. Sembra aver individuato altre priorità rispetto a quelle del quieto vivere e del creare arte. Forse anche per questo non ho disdegnato i rallentamenti imposti dal periodo di pandemia. C'è chi è andato in depressione, e chi ha potuto dedicarsi a se stesso, in maniera estrosa e soprattutto feconda.
RispondiEliminaGrazie, Franco, per questa tua analisi che, naturalmente, io non posso che condividere. E quando scrivi che il progresso sembra "non lavorare per l'uomo, ma contro" affermi una santa verità. Il progresso ha migliorato senz'altro la vita materiale e ci fornisce macchine sempre più sofisticate per risparmiare tempo, ma non riesce a risolvere i nostri problemi interiori. Stiamo diventando unità produttive, non pensiamo più, non riusciamo più a vivere secondo la natura e i suoi cicli e la velocità, il vero nemico dei nostri tempi, non ci permette di riflettere e di trovare risposte alle tante domande sul senso vero della vita. I rallentamenti imposti dalla pandemia non sono stati un problema, neanche per me: la mia vita è rallentata comunque, mi piace vivere in maniera oziosa e non consumistica. Pascal, il grande pensatore, sosteneva che tutta l'infelicità degli uomini deriva dalla loro incapacità di stare da soli in una stanza. Non ci riusciamo, neanche per un breve periodo...e la depressione avanza.
EliminaBuona serata
quello che descrivi è un ozio nobile, impegnativo che presuppone una struttura sociale alternativa a quella attuale.
RispondiEliminama è anche un grido di allarme contro la china inarrestabile che preso il nostro mondo.
massimolegnani
Si è vero, è un ozio creativo che richiede una buona preparazione culturale. E' un ozio che rifugge dal consumismo e dalla fruizione passiva e manipolata del tempo libero.
EliminaMi sento premiata dai lunghi anni che ho sostato in rete quando mi immergo in questo genere di letture con significati immensi e inequivocabili ...quasi un grido di soccorso a quella nostra parte spirituale che l'avanzamento tecnologico ed economico ha in gran parte assorbito ,spingendoci in una direzione quasi di schianto dopo un deragliamento senza uso di freni e rallentamento!
RispondiEliminaNonostante tutto cerco di essere positiva e fiduciosa verso la nostra umanità,anche se l 'umanita che intendo io è unicamente quel "sentimento di solidarietà e comprensione verso l'altro "...quell'altro ,che ancora si fatica a comprendere ,purtroppo.Ma questo è un altro discorso ...
Tra tempo e ozio creativo ,il tuo post mi ha portato ad un dolce ricordo del passato ,quando mio padre era solito dire " bisogna ammazzare il tempo..." mentre si accingeva seduto a preparare quei fascetti di verdura ,da vendere l'indomani, legandoli con fili di gramigna.Ecco per lui "ammazzare il tempo" era proprio un piacevole rito serale che oggi io lo rivivo attraverso i ricordi di un ozio rigenerante.
Se solo riuscissimo a collocare al tempo il giusto senso ...quell'ozio creativo di cui parli diventerebbe dimostrazione tangibile di bellezza ,di collegamenti e di verità riscontrabili ...
continua.........
Tratto da :
Il tempo ci divora - pagine ingiallite.
"...La nostra società, per effetto di un progresso tecnologico ormai incontrollabile, va sempre più veloce e il tempo reale è ormai al di sotto delle nostre effettive possibilità percettive. Non possiamo più competere con i tempi di un computer; non abbiamo più coscienza di come possa essere il tempo nel prossimo futuro. Verrebbe da dire che l’unico tempo certo è quello del passato, legato appunto al ricordo di un luogo o di un momento vissuto. Anche nella comunicazione il tempo è diventato talmente veloce che un avvenimento qualsiasi, nel momento stesso in cui accade, diventa già superato da un altro ancora, in un continuo frenetico rincorrersi senza fine. Il tempo è diventato un valore economico, una merce che ha un prezzo altissimo: chi arriva prima vince, gli altri soccombono. E’ cambiato anche il rapporto tra spazio e tempo, si sono accorciate le distanze tra paesi e mondi diversi. Arriviamo prima, facciamo prima, concludiamo prima. Eppure non abbiamo mai tempo. Sembra un paradosso: la tecnologia doveva farci guadagnare tempo, abbiamo inventato strumenti che velocizzano al massimo il tempo, eppure questa velocità non ci basta. Basta vedere come diventiamo impazienti se per un attimo il computer si blocca, come diventiamo isterici se ad un nostro messaggio non segue una immediata risposta"
Grazie e buonaserata
L.
Grazie davvero, per aver riportato lo stralcio di un mio post precedente che si lega molto bene al tema qui trattato. E' proprio così - mia cara L. - l'ozio è quell'antica maniera di "ammazzare il tempo", è quel "piacevole rito serale" di tuo padre, è quella piccola nicchia di vita quotidiana riservata al nostro ascolto interiore, alla nostra comprensione spirituale, di cui ci stiamo liberando un poco alla volta. L’ozio è un modo diverso di percepire il tempo, che passa e se ne va e nessuno ce lo può restituire. Oggi, ci siamo lasciati conquistare dalla velocità, dalla frenesia di fare mille cose programmando ogni istante della nostra esistenza, e poi ci capita di sentire sempre più spesso, da persone anche di nostra conoscenza, "non ho tempo": per leggere un libro, per coltivare un fiore, per stare seduti ad ammirare un panorama (senza smanettare su un cellulare), per godere di quel dolce far niente che non necessita segnarlo sull’agenda degli appuntamenti. E sono proprio queste persone, che dicono di non avere tempo, quelle che più perdono tempo, perchè non sanno sottrarsi alla perfida seduzione delle “sirene” della tecnologia e del consumismo. Ricordo che mio padre, probabilmente coetaneo di tuo padre, trascorreva molte ore - dopo il lavoro in campagna - solo in compagnia di se stesso e della sua serenità, scambiando qualche parola con il suo vicino di casa o dedicandosi a piccole faccende domestiche, il suo “ozio rigenerante”. Non l’ho mai sentito dire: non ho tempo. E non aveva bisogno di viverlo “intensamente”, il tempo – come ci viene consigliato proprio da quelli che ce lo vogliono rubare - ma secondo la natura e i suoi cicli, in maniera quasi umana, coltivandolo come una pianta. Ecco, non sappiamo più coltivare il tempo. E l’ozio altro non è che un concime naturale per la nostra esistenza.
EliminaUn caro saluto
Bello e interessante questo tuo post. Si vede che ci hai "perso" del tempo per scriverlo. E ti sei anche documentato. Sono d'accordo con te, e io penso che se i popoli dedicassero più tempo all'ozio anzichè pensare ai soldi, agli interessi economici e al potere si vivrebbe tutti meglio e non ci sarebbero guerre in giro, l'ultima delle quali è quella tra israeliani e palestinesi. Ciao. Sandro
RispondiEliminaGrazie, Sandro, per le parole di apprezzamento. E' proprio vero: i soldi ed in particolare il potere in tutte le sue declinazioni, che genera sempre sopraffazione, sono la vera rovina degli uomini.
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