Quando io andavo a scuola – negli anni 60/70 del secolo scorso – i
professori ci davano da studiare a memoria le poesie. Era un’imposizione che
accettavo di malavoglia e quegli esercizi mnemonici rappresentavano per me una dura fatica. Devo
dire che sono rimaste piccole tracce di quelle reminiscenze scolastiche. Quei
pochi versi che si sono salvati dall’oblio e che hanno attraversato con me il
tempo e lo spazio stanno nascosti, come reperti archeologici, in qualche angolo
remoto della mia mente. E’ come se la mia memoria, allora, si rifiutasse di prendere
in carico le poesie e, di proposito, le relegasse immediatamente nel cassetto
della dimenticanza.
“O
cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna”…: a
distanza di tanti anni, di quella famosa poesia di Giovanni Pascoli riecheggia
nella mia mente solo questo malinconico ritornello. Non ricordo altro. E poi
c’è l’altro cavallo di battaglia, “San Martino” di Giosuè Carducci: mi è
rimasto impresso soltanto l’inizio, come un mantra: “la nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar…”. Senza parlare, poi, di Giacomo Leopardi, il
mio poeta preferito: il suo “Sabato del villaggio” è ridotto a poche parole: “La donzelletta vien dalla campagna in sul
calar del sole, col suo fascio dell’erba; e reca in mano un mazzolin di rose e
viole…”. Povero me! E miglior fortuna non poteva avere il Sommo poeta con
la “Divina Commedia”. Mi resta quell’incipit indimenticabile del primo canto
dell’Inferno, da tutti conosciuto: “nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura,
chè la diritta via era smarrita”. Potrei continuare ma mi fermo qui,
sarebbe come roteare il coltello nella piaga. Invece non facevo fatica a
memorizzare le formazioni di molte squadre di calcio (memoria che ho
conservato), come per esempio quella della grande Inter di Herrera, all’epoca
la mia squadra del cuore: Sarti, Burgnich,
Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi…o addirittura quella del grande Torino…Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar,
Rigamonti, Castigliano...(me la ricordo tutta, ma ve la risparmio).
Se oggi mi ritrovo una cattiva
memoria, se interi periodi della mia vita sono spariti, se non ricordo più
nulla di un libro letto solo qualche mese fa, se a volte dimentico perfino dove
ho parcheggiato la macchina, ebbene io credo che ciò sia anche la conseguenza
di quell’ostilità che nutrivo nei confronti delle poesie da imparare a memoria.
Osteggiando quell’esercizio letterario, apparentemente noioso, finivo per
indebolire giorno dopo giorno la mia capacità di memorizzare. E così, ricordi
lontani ma anche vicini, avvenimenti belli e brutti, momenti di felicità e
momenti di tristezza, inezie ma anche cose rilevanti: tutto sembra cancellato
per sempre, avvolto in una nebbia fittissima che non mi permette più di ricordare
né le cose che avrei dovuto conservare per sempre, perché importanti, né quelle da buttare via perché inutili.
Purtroppo viviamo un presente
che non ci viene incontro, in quanto ci schiaccia con la sua mole di
informazioni che ci piovono addosso e si affollano dentro di noi, tanto che
nessuna mente umana potrebbe contenerle. Così, anziché ricordare,
dimentichiamo. E buttiamo via notizie, letture, fatti, sensazioni, sentimenti,
senza poter scegliere e conservare il buono dal cattivo. La memoria, per
mantenerla in perfetta salute, va esercitata quotidianamente come un qualsiasi
muscolo e non va ingolfata di cose inutili e insignificanti. E quindi per rinvigorirla,
bisogna foraggiarla con continui esercizi giornalieri. Purtroppo, tutto intorno
a noi sembra remare contro, tutto ci spinge a dimenticare e ci ammonisce che la
memoria (soprattutto quella storica, che riguarda i fatti accaduti nel passato)
non serve più a nulla, non è necessaria: ci sono i computer, c’è internet con
le sue innumerevoli applicazioni, ci sono i telefonini, le agende elettroniche,
gli archivi informatici che ci assistono, rimpiazzando quella parte di cervello
a cui gli uomini, nel corso dei secoli, si sono affidati per ricordare. E’ la
tecnica che ormai pensa e ricorda per noi. Nei secoli passati non era così. La
memoria era la madre di tutte le scienze e le arti e veniva raffinata, coltivata,
pungolata come la più rara delle capacità umane. Si insegnava addirittura
l’arte della memoria. Monaci, scrittori, poeti, artisti, viaggiatori portavano
e custodivano - racchiusi negli edifici della propria memoria - fatti e ricordi
da tramandare oralmente alle generazioni future. Oggi la memoria dei padri non
viene più trasmessa ai figli perché i primi sono vissuti in un mondo reale e i
secondi, vivendo in un mondo virtuale, non hanno né orecchi per ascoltare né
occhi per guardare.
Qualche anno fa, in una
lettera a un suo nipote, Umberto Eco ebbe a scrivere: “Coltiva la memoria, dunque, e da domani impara a memoria “la vispa
Teresa”. Lo confesso: da un po’ di tempo a questa parte ho ripreso
quell’esercizio che odiavo fare durante gli anni scolastici: imparare a memoria
delle poesie. Voi direte che è troppo tardi e che la mia memoria è già avvizzita
ed ha perso tono e vivacità: sarà, ma io ci provo lo stesso. Certo, ho iniziato
con le poesie di pochi versi: indebolita com’è - la mia memoria – di sicuro non
potrebbe sostenere il primo canto dell’Inferno. Tuttavia, conto di avventurarmi
in imprese più significative. L’altra sera mi sono addormentato con questi
versi di Franco Marcoaldi: non li dimenticherò mai più.
Un tempo di notte
cantavo
a voce alta per farmi coraggio
–
abitudine persa da
quando mi è chiaro
che sono qui di
passaggio.
Coltivo poco la memoria eppure ne sono attarversato. Stravolto a volte. Inchiodato a lampi improvvisi e definitivi che mi lasciano sbigottito a chiedermi da dove sono usciti?
RispondiEliminaSilvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare 5
Di gioventù salivi?
La conobbi e infine se ne andò ma non per sempre: qualcuno ne ha scritto e io ricordo. Nonostante tutto.
E chi non ha una Silvia da ricordare? Solo uno, però, ne ha saputo scrivere: e noi lo leggiamo e lo ricordiamo. Sempre! Devo dire che tu ricordi più di me...
RispondiEliminaSempre avuto un'ostilità feroce verso le poesie a memoria, neanche le mie ricordo, e le canzoni poi.. in compagnia si cantava tutti e io nulla, neanche un ciufolo di rima... quindi puoi immaginare quando, a quarant'anni suonati, si è prefigurata all'orizzonte la possibilità di fare teatro. Ero terrorizzato. Entusiasta e terrificato: con la mia memoria inesistente.. come avrei potuto sostenere due ore su un palco, mandare a memoria dialoghi e battute.. invece accadde il miracolo, quell'esperienza che mi stava appassionando mi regalò il dono del rammentare, collegandolo anche a sistemi di tecnica mnemonica attoriale, trucchi più o meno leciti (anche il cambio di parola o battuta se proprio il buio in testa diveniva pesto), insomma una nuova alba e nuove prospettive...ma di poesie a memorie, nisba.. che poi a me di Leopardi piacciono soprattutto le Operette ..vattele a studia'!
RispondiEliminaEvidentemente la memoria ha le sue preferenze: la tua, alle poesie e alle canzoni, preferisce "dialoghi e battute" teatrali. Ciao Franco
Eliminafarci studiare le poesie a quel modo, memorizzarne le parole più che comprenderne il contenuto era un farci restare in superficie come imparare il testo di una canzone senza apprezzarne la musica.
RispondiEliminaml
E' vero, però in qualche maniera si esercitava la memoria, la ti teneva in allenamento :) Un saluto
EliminaEro anche io un po restia ad imparare le poesie ,mi piaceva scriverle ma quelle studiate a scuola bastava leggerle diverse volte la sera e la mattina a mente fresca ti sorprendevi di saperle ripetere a memoria ...riscoprendo nel sonno la conciliazione con l'arte di imparare.
RispondiEliminaHai citato Leopardi evocando il ricordo del suo infinito... e poco fa a proposito di questo bel post ho letto questa citazione di Paul Auster
"La memoria: lo spazio in cui le cose accadono per la seconda volta"
Buona serata
L.
Ognuno aveva la sua tecnica per imparare le poesie a memoria: tu ti affidavi al sonno. Molto appropriata la citazione di Auster. Ciao L. E buona giornata
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