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lunedì 3 giugno 2019

Succubi dei social network



“La reazione dei social” … ”cosa dicono i social” … “come si comportano i social”: è il ricorrente e quotidiano ritornello, espressione dei tempi che viviamo. Non c’è giorno che non si faccia riferimento alla violenza verbale dei social, alla loro aggressività e volgarità. Questi moderni mezzi di comunicazione (Facebook, YouTube, Instagram, WhatsApp, Twitter…) hanno radicalmente cambiato le nostre relazioni sociali, dando voce e visibilità soprattutto a coloro che, fino a poco tempo fa, erano gli esclusi dal bla bla mediatico. La forza della parola, e non solo quella educata ed erudita – prima appannaggio delle persone più acculturate – è diventata l’energia dirompente della stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Tre, o forse quattro miliardi di utenti (pare che questi siano i numeri), appartenenti a tutte le età e a tutte le condizioni sociali, in poco tempo hanno fatto irruzione sulla scena pubblica, inserendosi, a volte in maniera inadeguata, nei dibattiti politici, sociali e culturali. E consegnando, nel contempo, esistenze, affetti, immagini riservate - in altre parole – la propria vita intima e familiare, ad un gestore che coordina e manipola quei dati e quelle immagini vendendo, poi, il tutto ad altri soggetti - quest’ultimi veri persuasori occulti - che condizionano scelte di vita e comportamenti sociali.

Siamo arrivati al punto che se non sei sui social network non conti nulla. Non esisti. Se non hai almeno qualche migliaio di follower, sei un fallito della comunicazione. E allora assistiamo ad un continuo e spasmodico raccontarsi, esibirsi, mostrarsi su Facebook, su Instagram, su WhatsApp a caccia di “amicizie” virtuali, alla ricerca di video e stranezze su  YouTube da girare, poi, agli amici, in una sorta di circolo vizioso, di catena di sant’Antonio senza fine e senza senso. Tutti a scrutare, a spiare in maniera compulsiva la vita degli altri, gli interessi degli altri, gli amori degli altri, le abitudini degli altri. Ma anche a promuovere attività, far valere diritti, far sentire la propria voce, non sempre autorevole.

Trascorriamo ore ed ore dinanzi ad uno schermo estraniandoci dal contesto in cui viviamo e rinchiudendoci in un mondo virtuale che appare parallelo a quello reale, fatto di like e condivisioni. Ed è proprio attraverso le condivisioni che si cercano consensi sulla propria simpatia, sulla propria bravura, sull’opportunità di piacere e di sentirsi desiderati, gratificati e, ancora meglio, invidiati, al fine di soddisfare quel bisogno narcisistico che è presente in ognuno di noi. Si condivide qualsiasi cosa: luoghi e fotografie, sensazioni ed emozioni, sia di persone che si conoscono che di persone sconosciute. Si condividono particolari, anche intimi, della propria vita privata, pur di accalappiare qualche like, pur di apparire sul palcoscenico mediatico. E non importa se poi svendiamo la nostra dignità indossando, ogni volta, una maschera che è sempre migliore della nostra vera identità. I social illudono i propri adepti, fanno credere loro di appartenere ad una grande comunità e di avere tanti amici, li lusingano, li fanno apparire importanti, potenti e liberi di dire quel che vogliono. Ma la libertà di pensiero trae forza ed ha una sua ragione di esistere solo se c’è rispetto per le opinioni degli altri. Siamo liberi di esprimere le nostre opinioni, ma non possiamo offendere il nome e le ragioni altrui, istigare alla violenza e fomentare l’odio. In altre parole, il diritto di espressione non può diventare un abuso. Ho l’impressione che l’uso di questi mezzi tecnologici, di cui oramai siamo succubi, ci stia sfuggendo di mano: crediamo di poterli controllare, ma sono loro che controllano noi; non li possediamo, ma ne siamo posseduti.

18 commenti:

  1. Più che succubi dei social network, siamo succubi del voler apparire. Negli ultimi anni sto notando che questa deriva appartiene anche a molti blogger, purtroppo e non solo ai social. Occorre a tornare a privilegiare i contenuti e allora anche la rete riavrà un suo rinascimento

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    1. Benvenuto qui, Ferruccio.
      Sono d'accordo con te: in rete bisognerebbe prima di tutto sostenere i contenuti. Purtroppo noi viviamo nella società dell'immagine che ha un impatto totalizzante soprattutto sulle nuove generazioni; una società che genera miti e modelli da seguire e conquista i suoi seguaci soprattutto tra i social.
      Grazie per il tuo commento, Un saluto

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  2. Concordo con Ferruccio ma direi anche che l'essere succube dei social ha accentuato questa smania di esibizionismo mediatico con i risultati che abbiamo tutti sotto gli occhi
    Vero solo tornando a privilegiare i contenuti la rete tornerà ad essere c'è era anche solo dieci anni fa

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    1. Il bisogno di visibilità è aumentato di pari passo con la diffusione delle reti sociali. Si cerca sempre, in maniera direi spasmodica, di mettere al centro dell'universo la propria persona. La pagina Facebook, o quella di Instagram non sono altro che specchi in cui riflettiamo il nostro inguaribile narcisismo. Sono palcoscenici mediatici su cui esibirsi, mettendo al centro dell'attenzione la propria infinita vanità

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  3. Apprezzo questa tua riflessione. Uso i social, in particolare facebook, ma con estrema moderazione. E tu, come li usi? Dal post non trapela nulla. G.

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    1. Grazie per l'apprezzamento. Nel mio post ho scritto che "se non sei sui social network non conti nulla". Ebbene - caro G. - io non conto niente, non esisto, perché non faccio parte della grande famiglia dei social. Pensa che non ho neanche il cellulare, con mia grande gioia (invece mia moglie ancora non si capacita...) :-) Ho un vecchio computer, e sto in rete con questo blog, su cui mi diverto a scrivere qualcosa. Finché dura...

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  4. però che bello stare lontani dalla pazza folla, non seguire l'onda della ipercomunicazione fine a stessa, coltivare ambiti più ristretti, avere un pubblico sparuto rispetto alle platee dei social e sentirsi gratificati da ogni lettura :)
    massimolegnani

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    1. E' proprio così: la gioia di appartenere ad una minoranza :-). Ciao Carlo e buona giornata.

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  5. È quando leggo post simili che mi accorgo di esistere ancora...di esistere la dove non esisto ,tra i pensieri e le osservazioni di qualche anima come te...che a sua volta esiste tra i contenuti del suo sentire ma non nella realtà dei social network...esiste tra queste parole:Siamo liberi di esprimere le nostre opinioni, ma non possiamo offendere il nome e le ragioni altrui, istigare alla violenza e fomentare l’odio. In altre parole, il diritto di espressione,non può diventare un abuso".

    Esiste in ogni parola dell'intero post...ma non nella realtà che descrive,ne è un osservatore attento e consapevole che questa attenzione mira alla "disattenzione" verso se stessi pur di apparire oltre se stessi!
    Il problema è che spesso si parla di mondo reale e mondo virtuale,quando invece i due si stanno fondendo sempre di più sotto i nostri occhi,se non che è gia'questo il
    Mondo Reale!

    Alcuni giorni fa ho conosciuto in un centro una nonnina in fin di vita... che lottava in una fase terminale del suo male,quando mi sono avvicinata, notavo il desiderio di comunicarmi in breve tempo il suo vissuto,la campagna e i lavori che faceva con passione,la felicità di una vita piena a *contatto con la natura...Ecco il "contatto" con lei e la natura,il contatto tra me e lei, nononstante la certezza amara di non rivederla più!

    Quello che posso dire è che sento spegnersi esattamente quel CONTATTO in buona parte dell'umanità ,verso se stessi e verso il mondo circostante ...trasformandosi nel male più profondo di tutti i tempi!

    L.

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    1. Sono un "osservatore attento" perchè non ho tra le mani uno smartphone che possa distrarmi dalla realtà che mi circonda.

      Dici bene: i due mondi, quello reale e quello virtuale, si stanno fondendo sempre di più, tant’è che facciamo fatica a distinguere l’uno dall’altro. I tempi che viviamo sono questi, purtroppo, e dobbiamo farcene una ragione. Si stanno perdendo quei contatti diretti, umani e genuini, sostituiti da fantomatiche e bizzarre “richieste di amicizie” avanzate attraverso i social network, mezzi tecnologici che ormai gestiscono tutte le nostre relazioni sociali e governano la nostra esistenza. Io sono lontano dalla "pazza folla", come ha scritto qui sopra il nostro Carlo, e questo sinceramente non mi dispiace. E se poi c'è qualcuno che condivide il mio pensiero, non posso che esserne felice. Ti ingrazio di cuore per l'attenzione che dedichi ai miei post e per le tue sempre interessanti osservazioni.
      Un caro saluto

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  6. Avendo io uno smartphone che tu non hai...e non avendo un blog che tu invece hai ... ci permette comunque di essere sulla stessa linea di pensiero.

    Allora mi/ti chiedo cosa fa la differenza,in cosa sbagliamo?


    L.

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    1. Bella domanda: cercherò di rispondere. Vedi, se io avessi avuto uno smartphone e tu mi avessi fatto la stessa domanda mandandomi un sms con il tuo telefonino, io probabilmente ti avrei risposto immediatamente e non dopo un giorno, come avviene ora che interloquiamo attraverso un blog. Perché il cellulare o smartphone - come dir si voglia - impone una risposta immediata, non prevede l’attesa… la riflessione…la lentezza. Perciò non fa per me. Se non rispondi subito, ti devi giustificare in qualche modo con l’interlocutore del momento. Quindi, per sottostare a questa sorta di tacita imposizione, bisogna sempre stare con gli occhi incollati sul suo schermo. Da qui, nasce la dipendenza da telefono cellulare e da social. Il blog, invece, è uno strumento di riflessione, ti dà la possibilità di pensare e di elaborare una risposta. Ma la cosa più importante è che il blog è frequentato, soprattutto, da persone che, pur possedendo un cellulare, non ne sono posseduti. I cellulardipendenti stanno lontani dai blog, per loro sono troppo complicati, con tutte quelle parole, senza foto e video da condividere con i propri “amici”. Quindi, se noi due ci troviamo “sulla stessa linea di pensiero” – io con il mio blog senza smartphone e tu con il tuo smartphone senza blog – è perché riusciamo a trovare, sebbene con strumenti tecnologici diversi, quell’equilibrio emotivo che altri hanno perduto. Siamo ancora capaci di guardare dentro noi stessi e di osservare, con i nostri occhi, la realtà che ci circonda. Un caro saluto

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  7. Se ci riferiamo ad un fenomeno di dipendenza credo che possa verificarsi anche in chi possiede un blog perché esiste anche la dipendenza all'abitudine di saper attendere:-)...dipendenza istantanea e dipendenza a lungo termine.


    Poi -l'immediatezza -converrai con me che spesso è segno di libertà d'istinto,cosa fondamentale che mostra la parte di noi più spontanea e naturale prima che venga inibita o modificata da processi legati al timore del giudizio altrui,al non sentirsi all'altezza di....quella sorta di scala sociale immaginaria di cui spesso disponiamo ed in cui più che ingabbiare ci ingabbiamo!

    So che ho allargato un po il concetto del tuo commento in risposta ,molto più diretto e mirato e che ho anche molto apprezzato!

    Mi piace molto il tuo modo di scrivere,sa attraversare lo schermo,sa farsi leggere e mi invita a rispondere e ad ascoltarmi...in poche parole sa (di ) essere umano...ed esserlo attraverso questi collegamenti tecnici(a prescindere dai sociali network),non prevede nessuno snaturamento ,si scrive per ciò che si sente e si è !

    Perché:
    *Siamo ancora capaci di guardare dentro noi stessi e di osservare, con i nostri occhi, la realtà che ci circonda.

    Buonaserata

    L.

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    1. E' chiaro che in ogni affermazione ci sono sfumature diverse. Sono d'accordo con te quando affermi che la manifestazione immediata e veloce di un pensiero scaturisce sempre dall'istinto e, quindi, tale comportamento mostra "la parte di noi più spontanea"; è pur vero, però, che le reazioni istintuali sono legate quasi sempre ad un fattore emotivo e non sempre ci aiutano a risolvere un problema. Ma con questi concetti ci allontaniamo dalla nostra riflessione. Potrei riprenderli come spunto per un mio prossimo post :-)
      Buona serata a te e grazie per le tue parole, sempre gradite.

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  8. "Ma con questi concetti ci allontaniamo dalla nostra riflessione"

    In parte comprendo cosa voglia dire quel l'allontanarsi dalla nostra riflessione... ma in gran parte se ti soffermi un attimo comprendi che ciò che sembra allontanarsi è ciò da dove tutto parte...ha un inizio.

    Il rapporto con se stessi viene penalizzato dalla ricerca di interazione/approvazione dal mondo esterno a noi...perché solo penalizzando l'unicità ci si sente salvi nella collettività!

    In pratica per sentire di esistere si necessita di essere visibili agli altri...da qui l'ossessione verso i canali tecnologici e social.Il postare perfino la giornata di lutto verso il caro parente defunto a cui magari non abbiamo mai dato il giusto contatto umano e quel momento del distacco non risulta più intimo e privato ma divulgativo del nostro esistere : "Io esisto" e sto soffrendo sappiatelo tutti!!Spesso mi sono chiesta davvero chi è il defunto!L'Io soppresso o il parente mancato!?


    Spesso leggo la solita retorica che non è sbagliata la tecnologia ma il modo in cui la si usa...la si usa ...o se ne "abusa"?

    Eppure siamo evoluti così tanto a livello tecnologico che adesso bisogna ricorrere un po ai ripari ...quindi occorre davvero uno studio per comprendere come uscirne fuori(? ),un po come le nuove malattie dove possono esistere le cause e non le cure ...allora si studia per i nuovi metodi di trattamento...e così la ruota non smette di girare ma si " alimenta" a nostro piacimento!

    Ma tra causa e cure esiste un legame!?

    Proprio l'altro giorno facevo accenno a quanto faccia audience la cultura della visibilità,basta parlare di pettegolezzi ,di guerre e fenomeni negativi che tutto cresce a dismisura ...se parli di amore noti il silenzio...tutto si ammutolisce ...sembra quasi di percepire più la paura verso il bene che non il male ...oppure non saprei il senso di incredulità che la nobiltà di animo e di cultura sia legata all'amore ...spaventa.

    Da questo concludo sperando che venga colta la mia riflessione che non vuole dare "voce" a ciò che è il male ma a ciò che può salvarci da esso ...attraverso il bene...l'amore e la passione per il bello,*cercando sempre...anche in un blog come il suo che parla e descrive attraverso il suo vissuto e il suo vivere e quello di molti scrittori che hanno lasciato a noi un eredità straordinaria...un percorso a ritroso dove esistono risposte che magari oggi dovremmo porci come domande!

    Grazie e buona continuazione!


    L.

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    1. “siamo evoluti così tanto a livello tecnologico che adesso bisogna ricorrere un pò ai ripari”…e qui nasce il problema, perché nessuno sa cosa fare per portare l’uomo verso un nuovo umanesimo. La tecnologia ha sollevato l’uomo dalla fatica, ma non l’ha migliorato dal punto di vista socio-culturale e umano; ne ha modificato in maniera radicale il modo di agire ma non lo ha arricchito negli affetti (la famiglia, per esempio, è diventata molto più fragile). Ho l’impressione che questa società non si domandi più nulla, ma chieda sempre e solo tecnologia, che possa liberarlo da quei compiti, anche manuali, che prima svolgeva direttamente (da qui la corsa a comprare l’ultimo modello di qualsiasi strumento tecnologico). Per capire come siamo ridotti bisogna salire su un treno della metropolitana all’ora di punta: è impressionante vedere tutte quelle persone che contemporaneamente fanno una sola cosa: digitano, fanno andare su e giù uno schermo, piegate su se stesse. Non hanno più la testa per pensare, tanto c’è la tecnologia che pensa per loro; non parlano più con il vicino; non guardano chi gli sta intorno; non leggono più.
      La tecnologia sforna di continuo protesi per “l’uomo digitale” che, tra l’altro, lo stanno rendendo anche più cattivo: basta vedere le reazioni violente sui social. E il rapporto con se stessi, come tu giustamente scrivi “viene penalizzato dalla ricerca di interazione/approvazione dal mondo esterno a noi...perché solo penalizzando l'unicità ci si sente salvi nella collettività”. E per esistere ed essere visibili agli altri, bisogna stare sempre connessi. E chi no si adegua viene emarginato.
      Ciao L., e buona domenica

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