Ci sono alcuni libri che non ci abbandonano
mai, che teniamo sempre a portata di mano, sul comodino, libri che ci
confortano, come amici fidati e preziosi, quando ci troviamo a vivere giornate
di particolare insofferenza esistenziale. Sono libri che si sfogliano specialmente quando tutto sembra andare per il verso sbagliato, quando non riusciamo a
capire le contraddizioni del mondo in cui viviamo, quando si ha l’impressione
che la verità ci sfugga e che possa esserci svelata non già dai fatti che succedono
intorno a noi, non già dall’informazione che ormai ci sommerge, ma da quello
che leggiamo tra le pagine di “quel” libro. E i libri di Ennio Flaiano - la
maggior parte dei quali sono raccolte di articoli, elzeviri, appunti di viaggio
e aforismi, quasi tutti pubblicati postumi - hanno questo straordinario potere:
sono sempre attuali e aiutano a capire il presente pur parlando del passato. Lo
scrittore abruzzese arrivò a Roma da Pescara - dove era nato nel 1910 (si considerava
un “emigrante interno”, come tutti gli italiani) - e la Capitale diventò subito
la sua città, ne descrisse l’anima più profonda, i suoi pregi e i suoi difetti,
dividendosi tra il giornalismo di costume e l’attività di sceneggiatore e
critico cinematografico, intrattenendo rapporti di amicizia e di lavoro con
personaggi illustri e intellettuali del calibro di Longanesi, Palazzeschi,
Brancati, Cardarelli, Carlo Levi, Moravia, Fellini, Arbasino…e tanti altri. Attento
osservatore della realtà sociale a cavallo tra gli anni '50 e '70, fustigatore disincantato dei vizi
della provincia italiana, diceva di non avere una vera vocazione narrativa, perchè
sapeva solo scrivere, che è una cosa diversa; e i suoi aforismi graffianti e
ironici, le sue battute pungenti e lungimiranti sono impresse ormai
nell’immaginario collettivo. “La
solitudine del Satiro” (Adelphi) ne è un compendio illuminante, cinico e
malinconico. Passeggiando per Roma, Flaiano ferma la sua attenzione e il suo
sguardo sulle cose che lo circondano, sulle persone che incontra, sui
comportamenti che lo stimolano; le mode, i vezzi, la stupidità, l’arroganza, il
menefreghismo, la burocrazia più sfrenata, il giornalismo, la televisione, la
cultura che si parla e sparla addosso, diventano l’oggetto e il bersaglio delle
sue fulminanti battute, delle sue sarcastiche riflessioni.
pag. 35 – “la Libertà è una forza vitale che può
essere oscurata, mortificata ma non soppressa e che ogni uomo, in un preciso momento
della sua vita, impara veramente ad amarla; ma che pretendere di anticipare
questo momento è avventato, anzi illiberale. La Libertà, voglio dire, per
alcuni è un dono, che trovano sul cuscino nascendo, portato da un benefico
caso, per altri è una conquista, che tentano – qui è il punto – di ostacolare
essi stessi con tutte le loro forze, di rifiutare con ogni argomento, dal più
facile al più capzioso, dal più onesto al più politico. (…) Noi italiani odiamo
la libertà; e la prova maggiore che io porto a sostegno di tale tesi è il gran
numero di monumenti eretti nel nostro Paese ai martiri della Libertà, che sono sempre morti per difenderla.
Noi amiamo la Forza e la Libertà sta sempre dalla parte dei deboli, che muoiono”
pag. 174 – “Breve
passeggiata serale in Via Veneto. Non è una strada, è una spiaggia dice N. Quest’ immagine è tanto più giusta se si pensa
che a Via Veneto manca appunto il mare, che nelle spiagge italiane è l’ultima
cosa di cui si sente ormai bisogno. I sei caffè che l’adornano hanno ognuno un
tipo diverso di ombrellone per i loro tavoli, come appunto gli stabilimenti di
Ostia: forse per impedire che una volta rubati, possano essere utilizzati
altrove. Non sono ombrelloni da strada, questo salta subito agli occhi, ma da
festa galante. Ombrelloni con nappe, o di paglia – come debbono essercene nelle
isole Hawaii. Le automobili scivolano come barche e il pubblico prende il
fresco e si muove da un tavolo all’altro, o su e giù, con l’indolenza delle
alghe. Il nostro destino è sul mare. Siamo tanto affezionati a questa idea, che
abbiamo dovuto tradurla nell’unico modo accettabile alla nostra pigrizia,
trasformando le strade in località balneari, elaborando uno stile balneare per
le abitazioni, per l’abbigliamento, per le automobili e infine per i cittadini,
che sembrano – e intimamente sono – soltanto bagnanti. Anche le conversazioni
sono balneari, prive cioè di ogni riferimento alla realtà, barocche e
scherzose. Manca che ci si spruzzi o che si giochi col pallone. (…) Alla fine
della passeggiata sull’orlo di un marciapiede, ho trovato una conchiglia”.
pag. 192 –
“Dalle vetrine dei negozi si vede che il popolo è assetato di ciò che
l’industria moderna produce di più laido. Ma non è tanto attirato dal fatto che
questa roba sia nuova, quanto dalla sua inutilità.
E’ l’altra faccia dei negozi eleganti del centro della capitale, che credono di
aver roba di gusto, per una clientela ricca ma altrettanto gretta e assetata di
cose inutili. Il cane vale il padrone”
pag. 212 – “Piazza
del popolo: si ferma un torpedone, ne scendono quaranta turisti, che senza perdere tempo, occhio al mirino, come una banda
di guastatori, fotografano la piazza e risalgono nel torpedone, che riparte. Il
tutto si è svolto con la rapidità delle manovre militari. Il turista è un
essere privilegiato, che non rimane ferito da ciò che vede, dalla gente
soprattutto, dalla gente che continua a vivere nei luoghi che egli fotografa e
che impiega spesso la vita a penetrarne il mistero. Il turista raccoglie
documenti che proveranno il suo viaggio, ma sarebbe troppo facile provargli che
non si è mai mosso”
pag. 216 –
Davanti ad un italiano medio elegante si ha sempre il dubbio che si tratti di
un ballerino, o d’uno che aspiri a diventarlo. Quelle persone veramente
eleganti che tutti conosciamo passano inosservate alla maggioranza (…) Credo
che l’eleganza cominci dal sentirsi
a proprio agio nei vestiti che s’indossano. L’agio svanisce appena indossiamo
un abito che dobbiamo giustificare non soltanto agli occhi del prossimo, ma ai
nostri stessi occhi”
pag. 355 –
“In questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro, hanno
una loro unica verità, noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli
storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di
indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri: perché
quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la “loro” verità, cioè qualcosa
che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerà anche
invitare uno storico dell’arte per fargli dire quale influenza può avere avuto
il barocco sulla nostra psicologia. In Italia, infatti, la linea più breve tra
due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete di arabeschi”
pag. 356 –
“Appena un mese fa parlavo con Mino Maccari. Che si fa? Niente, si aspetta Godot?
No, si aspetta la rivoluzione. Chi dovrebbe farla, i fascisti? I fascisti – gli ho ricordato – sono una trascurabile
maggioranza. Maccari ha precisato: il fascismo si divide in due parti: il
fascismo propriamente detto e l’antifascismo. Tutti e due vogliono confusamente
ma subito le stesse cose: ordine, lavoro, democrazia, livellamento delle
classi, un partito autoritario, nessuno vuole la libertà. Ossia ognuno vuole la
sua versione della libertà, che consiste nel sopprimere quella dell’altro. La
libertà comunemente intesa, quella per esempio di esprimere le proprie
opinioni, è una cosa da disprezzare perché bene o male l’abbiamo”
pag. 357 –
“Basta dare un’occhiata alla nostra cronaca.
Confesso che lo faccio malvolentieri, ma bisogna farlo, o si rischia di non
capire più niente. Ogni fatto si propone come una tragedia che non avrà mai la
sua catarsi. Non esistono colpevoli, esiste solo il fatto, che cresce, si
sviluppa, fa il suo corso; e alla fine, senza soluzione, rientra nel grembo del
nulla, non appena sorge un fatto più
grosso all’orizzonte. I colpevoli svaniscono, i presunti colpevoli restano
dentro, a tirarli fuori c’è sempre tempo. Tu mi dirai: sono casi limite, casi
di “pazzia” momentanea. No, i pazzi da noi sono normali e anche abbastanza
pazienti (basta vedere dove vengono rinchiusi); i veri pazzi sono gli altri,
come diceva il filosofo, sono quelli che hanno perduto tutto fuorchè la
ragione. E l’adoperano per costruire sistemi di intolleranza, di menzogna, di
sopraffazione, ma soprattutto per imporre dogmi. E tutti ne hanno uno da
imporre, costruito su letture affrettate, su vecchi rancori esistenziali, sulla
loro trionfante inferiorità, sulla loro naturale volgarità, sulla teoria del
massimo successo col minimo sforzo. Lo scopo è di far paura a quelli che non la
pensano come loro”
Ieri mi son letta il tuo primo post,in un certo senso la nascita di questo tuo blog...e quel post tocca proprio questa grande via di comunicazione quale la scrittura!
RispondiEliminaPoi ho letto in ordine di sequenza tanti altri post ancora,fino ad arrivare a quella esperienza in ospedale alle nuvole bianche nel cielo...all'uso cioè all'abuso dello smartphone... alla velocità tecnologica che ha saputo inghiottire il pensare mentre si scriveva una lettera a mano...poi le tue riflessioni e citazioni su tanti autori a me davvero sconosciuti...poi la valorizzazione del posto e delle tue origini...la tua terra ,la campagna e quella straordinaria amica solitudine che ti rimarra' eternamente fedele ... quella tua capacità di fare emergere Sempre l'aspetto spirituale!
E su questo aspetto mi poso ...risulta come nettare su cui rigenerarsi...
Mi chiedo se in fondo dietro quel tanto contestato do ut des io non abbia mai messo in conto Quanto ricevo in cambio!
Non so se avessi altri interessi diciamo più materiali molto probabilmente questo tuo blog come quello di tanti altri passerebbe per me inosservato!Quanta ricchezza interiore io avrei rinunciato per portarmi a casa un pezzo di persona ,di corpo...ed invece entro in contatto con l'intera Anima di voi esseri spirituali!Grazie
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EliminaLe parole hanno una forza straordinaria, però bisogna saper raccoglierle...cercarle. Possono avvicinare come allontanare, affascinare come pure ingannare. Chi scrive cerca sempre di trasmettere quella parte nascosta di sé, la più profonda, che si svela solo attraverso la parola scritta; e chi legge, spesso condivide quelle sensazioni, quelle emozioni, che diventano anche le sue attraverso la lettura. E’ il rapporto che si crea tra scrittore e lettore. Nel blog, invece, il lettore può anche intervenire attraverso un commento al post pubblicato: si crea così fra loro una sorta di mondo privato, una comunione di pensieri in cui ognuno dei due offre all’altro un pezzo della sua anima. Si, perché qualsiasi cosa noi scriviamo – caro Anonimo (si fa per dire…) - parla di noi. Siamo quel che leggiamo; e siamo anche quel che scriviamo: se abbiamo la forza e la fermezza di mettere nero su bianco, come si dice…Il mio blog parla di me, del mio modo di essere, del mio mondo anche quando scrivo di libri, che mi aiutano molto in questo mio percorso interiore iniziato nel 2013.
RispondiEliminaGrazie a te, per le tue belle parole.
PS – che strano…il commento sparisce
RispondiEliminaHai colto un bellissimo aspetto del mio commento ed emerge sempre questa profonda spiritualità ,forse a cospetto anche della tecnologia...
Il rapporto che si crea tra chi scrive e chi legge avendo possibilita' di commentare diventa:"una sorta di mondo privato, una comunione di pensieri in cui ognuno dei due offre all’altro un pezzo della sua anima".
Qualcuno la chiama "connessione sentimentale"...un legame nuovo basato su una nuova forma di risveglio attraverso la comunicazione,l'interazione ,l'uso della parola scritta che traduce la propria essenza e che porta l'individuo a sentire affetto e rispetto reciproco!
Credo di aver già preso come esempio Vittorio Alfieri in quel :Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli ....quella determinazione e lucidità di farsi legare ad una sedia a compimento di un opera...un corpo ingabbiato in piena coscienza per assolvere al proprio spirito!
Con la tecnologia ancora in pochi hanno capito quando lo spirito si ribelli ad una costrizione di cui l'essere umano dorme nella sua incoscienza!
Dici che ha un po di collegamento anche con quel senso di *libertà che proponi attraverso lo scrittore in questo post?
Al tuo PS...
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L.
Devo dirti che non sapevo di questo nuovo legame che nasce con la comunicazione online e che qualcuno addirittura chiama “connessione sentimentale”…e allora si rafforza in me la convinzione che a volte le parole che leggiamo sono come la lama di un coltello, attraverso le quali esploriamo dentro noi stessi. A tal proposito mi viene in mente un romanzo epistolare scritto qualche anno fa da David Grossman che si intitola “che tu sia per me il coltello”, in cui il protagonista inizia un rapporto epistolare profondo e aperto, libero da qualsiasi vincolo, con una donna sconosciuta, vista per caso in un gruppo di persone, proprio al fine di poter conoscere meglio se stesso anche attraverso le parole della sua interlocutrice. Entrambi scoprono l’importanza dell’immaginazione nei rapporti umani e la bellezza e la spiritualità che si nascondono nelle parole scritte.
EliminaRiguardo poi al rapporto tra libertà e tecnologia, io credo che quest’ultima in qualche maniera sia di ostacolo alla nostra libertà, tant’è che è riuscita in poco tempo a ingabbiarci e a renderci schiavi dei suoi strumenti: in primis il telefonino. Ciao L.
Devo ammettere che l'accostamento con la lama di un coltello un po mi intristiva...e cosi ho cercato questo collegamento attraverso questo libro e l'autore che mi citi,a me tra l'altro non del tutto sconosciuto in quanto qualcun altro in rete me lo aveva segnalato in "qualcuno con cui correre."
RispondiEliminaSe noti tutto può essere "collegamento di bellezza" se attingiamo da quell' unica fonte!
Ho preso un frammento
di una piccola citazione del libro da te menzionato che dice:
" Non mi scuso neppure se ti ho messo in imbarazzo. La nostra non è una conversazione da salotto.”
Essendo molto affascinata da questi fenomeni dovuti a collegamenti che si lasciano cogliere e sono una "forza straordinaria" (come tu definisci l'uso della parola scritta,altro bel collegamento!) io ti ho collegato ad un'altra scritto...oltre che ad altri scrittori e cultori di bellezza.
Alessandro D'Avenia in una premessa dice che va rafforzato«l’elemento vocazionale che c’è nella vita dell’uomo. Michelangelo nel suo Giudizio universale ci ha raccontato che Dio chiama l’uomo con un tocco e sulla punta del dito di Adamo segna la sua originalità, cioè la sua origine e anche il suo futuro. Oggi siamo immersi in un mondo digitale e abbiamo risolto quel contatto nel contatto col nostro cellulare"
Questo si riallaccia anche al tuo nuovo post ma anche a questo, attraverso il collegamento tra tecnologia e libertà.
Ci sono dei frammenti che direzionano le diverse sfaccettature di un modo di sentire oltre che un "riallacciamento" di periodi di tempi differenti di un vissuto sotto alcuni aspetti forse ancora sempre attuale !?
L.
Io invece - contrariamente al personaggio del libro di Grossman - mi scuso se ti ho messo in imbarazzo, anzi se ti ho "intristita" con l'accostamento alla lama di un coltello; però l'immagine di una lama che si intrufola tra i pensieri e le parole, evidenziando ed esplorando, rende bene l'idea del nostro ragionamento.
EliminaConosco lo scrittore Alessandro D'Avenia, anche se non ho letto nulla di suo e devo dire che la sua affermazione "...oggi siamo immersi in un mondo digitale e abbiamo risolto quel contatto nel contatto col nostro cellulare" in riferimento al "dito di Adamo" dipinto da Michelangelo nel Giudizio universale, è un'immagine davvero emblematica.
Ma no...non hai bisogno di scusarti, perché sinceramente non mi sono sentita affatto offesa o in imbarazzo ,credimi.
RispondiEliminaResta però davvero affascinante questo immedesimarsi in altri scrittori che quasi ci si identifica nello stesso spirito!
Diciamo che preferisco
di gran lunga i campi di ulivo e la bellezza della natura ,alla lama di un coltello:-)
Grazie e buonanotte
L.
Sorrido per la tua battuta finale, che io condivido. Ciao L.
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