Con il suo romanzo di rara
bellezza che si intitola “Il silenzio
delle cicale” (pubblicato nel 1981 da Garzanti editore), lo scrittore
piemontese Gian Piero Bona (nato a
Carignano 91 anni fa) racconta la storia della decadenza economica e morale di
una ricca e nobile famiglia di origine austriaca - trapiantata in Italia - in
un arco di tempo relativamente breve che va dal 1930 al 1950. E lo fa
attraverso la voce narrante di un suo rampollo, Tristano Baumgrille, il quale,
sulla soglia dei cinquant’anni - musicologo squattrinato in un caffè-concerto
sulle rive del Danubio - ritorna dopo circa venti anni nel paese della sua
infanzia, in quella sontuosa dimora in stile fascista (ormai di proprietà dello
Stato) situata sul dolce pendio di una collina nei pressi di Torino, dimora che
aveva visto l’ascesa e poi progressivamente la rovina dell’ illustre casata. La
vicenda può essere inquadrata nel filone delle grandi saghe familiari, un
genere letterario che annovera molti capolavori della letteratura: da “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa a
“I Vicerè” di de Roberto, da “A Dio piacendo“ di d’Ormesson a “I
vecchi e i giovani” di Pirandello. Tanto
per ricordare qualche titolo. Libri che ho letto e riletto nel corso degli anni,
e sempre con rinnovato piacere.
Scritto con una prosa colta e
raffinata, a tratti ironica e velata di malinconia, credo che “Il silenzio delle
cicale” (oggi fuori catalogo) abbia avuto meno successo di quanto meritasse. I
personaggi sono incredibilmente simbolici, rappresentativi di quella
particolare classe sociale - borghese ed aristocratica - sempre al traino del
potere dominante, che consumava la propria esistenza tra vaniloqui familiari
inconcludenti ed insulsi, pranzi all’aperto, concorsi di bellezza per cani,
vacanze nelle stazioni termali e partite di tennis…La caduta di questa famiglia
– metafora del crepuscolo della borghesia europea all’indomani della seconda
guerra mondiale - va vista non solo come la naturale conseguenza del disordine
socio-economico dilagante in quel periodo, ma anche come mancanza di sentimenti
morali da parte dei suoi rappresentanti.
L’unica figura che appare diversa,
direi di autentica rottura rispetto ai personaggi descritti nel libro è proprio
Tristano, “il poeta della famiglia” (come veniva soprannominato), poco attento
alla salvaguardia del casato di appartenenza, di cui ne evidenziava
l’ipocrisia, troppo educato e sensibile rispetto all’ambiente circostante “cresciuto nella retorica della guerra e
maturato nei disastri della sconfitta”, rinunciatario e perdente, “eccessivamente predisposto alla delicatezza
della vita e alla bellezza del pensiero”, in forte contrasto con il cugino
Italo, icona dell’uomo fascista, volgare ed ossessionato dai fucili e
dall’enfasi della forza fisica, egoista e vanitoso. Nel suo viaggio di ritorno,
in quella villa che non esisteva più così come lui l’aveva conosciuta, dove
tutto era cambiato - quasi a voler rimarcare l’evidenza che nulla poteva sopravvivere
al trascorrere lento ed inesorabile del tempo - Tristano ripercorre a ritroso
il suo passato: si rivede adolescente, quando andava a giocare a carte nelle
osterie con i contadini della zona e ritornava a casa “entusiasticamente ubriaco di rozzezza”, nonostante sua madre lo riprendesse perché “comprometteva la dignità del suo nome in
una taverna di ubriachi”; si rivede collegiale solitario, ossessionato dal
peccato e studente modello destinato a un grande avvenire; si rivede
maggiorenne alla sua prima visita in un bordello “annebbiato dal rimorso ardente non per il male in sé, ma per la sua
ineleganza”; si rivede inadeguato e a disagio, prigioniero delle sue pene
d’amore e del suo rapporto conflittuale con la madre, una donna frivola e falsa
nei cui confronti provava un forte sentimento di ripugnanza, in
contrapposizione al sentimento di pena che gli infondeva suo padre, il
Colonnello Max Baumgrille, ma anche industriale, scrittore e politico fallito,
sul cui volto poteva leggere “quel dramma
coniugale che da trentacinque anni era sopportato in silenzio”, un uomo
onesto e ingenuo che non sopportava la vanità del suo ambiente, che mal
digeriva la dilagante industrializzazione e soffriva nel vedere i filari dei
pioppi della sua terra falciati dalle prime costruzioni nucleari “le oscure strutture della stoltezza umana
avanzanti”. Tristano è un personaggio colto e intelligente, così anomalo e
raro nel panorama delle famiglie ricche e aristocratiche della società italiana
del ventennio fascista, una figura scomoda che scandalizzava i salotti, osava
intrattenersi con le persone più umili, indipendente e ribelle, quel tanto che
bastava per sradicarlo dall’ordine borghese e dall’ottusità sociale. Ma è anche
un uomo rinunciatario e pigro che viveva l’egoismo del suo mondo “con la maschera dell’indifferenza”, che avrebbe voluto fuggire di casa, ma non
riusciva, per la sua inettitudine, a staccarsi da quella villa, diventata con
gli anni la sua tomba.
Attraverso i tanti personaggi che
affollano il libro, Gian Piero Bona dipinge il grande affresco di una famiglia
alla deriva, arroccata nei suoi antichi privilegi e avulsa dalla realtà, una
famiglia alla ricerca disperata della propria sopravvivenza, che viene
progressivamente divorata dai debiti e dalle difficoltà economiche, in un
contesto storico di grandi rivolgimenti e trasformazioni sociali. Una famiglia
che si estingue così come le cicale (Baumgrille, il nome di famiglia, vuol dire
cicala) cessano lentamente di cantare.
Questo autore mi era totalmente sconosciuto e il romanzo sembra interessante (penso a quante grandi famiglie siano decadute, anche meritatamente)
RispondiEliminaml
L'autore ha avuto il suo momento di notorietà negli anni '80, quando il libro è risultato finalista al Premio Campiello. Poi è stato dimenticato, perché in Italia, caro Carlo, se non sei amico di Fabio Fazio e non fai qualche comparsata televisiva, non puoi mai diventare un grande scrittore (vedi Fabio Volo o Luciana Littizzetto). E' la visibilità che decreta la fama e la forza letteraria di chi scrive, non già la bellezza della sua prosa. Scusami per questa mia vena polemica, ma quando tocchiamo certi tasti, nasce spontanea..:-)
EliminaConfermo il commento di Carlo, solo che se ho letto bene questo libro è fuori catalogo quindi non lo si trova più in giro oppure ho capito male?
RispondiEliminaSi, credo che non venga più pubblicato. Si può trovare solo sul banchetto di un mercatino dell'usato.
EliminaInteressante e per me totalmente sconosciuto, sia l'autore, sia il romanzo.
RispondiEliminaSai, @Remigio, mi hai portato a riflettere sulla diversità del modo di andare in rovina delle famiglie, di certe famiglie, ieri e oggi.
Il percorso distruttivo, se così possiamo definirlo, prima era lungo, complesso, realizzato attraverso un certo numero di passaggi.
Oggi, molto spesso, la disgregazione o, se preferisci, l'andata in rovina, parte e arriva subito al risultato, alla catastrofe, se così si può dire.
Forse, mi verrebbe da dire, in questi tempi sempre più veloci anche la strada verso il disastro si è fatta più corta.
Davvero illuminante, la tua riflessione. E concordo pienamente con te. Grazie Sabina.
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