Tra tutti gli
alberi presenti in natura, l’olivo è quello a cui sono più affezionato: una
pianta di straordinaria e antica bellezza che accompagna da sempre la storia
dell’uomo, fin dalle sue origini. Simbolo di pace, di fecondità, di resistenza,
di unione familiare (le mie reminiscenze scolastiche mi riportano ai versi
dell’Odissea e a quel letto scavato nel
tronco di un albero d’olivo che ornava “la
maritale stanza” e rinforzava segretamente l’unione matrimoniale tra Ulisse
e Penelope).
Dell’olivo mi
affascina quel suo tronco attorcigliato e scanalato dal tempo, tanto che nell’osservarlo
uno si chiede come possa stare in piedi e dare linfa ai suoi frutti; mi
conquista la sua sorprendente longevità (ne esistono tantissimi plurisecolari,
alcuni addirittura millenari); e mi
ispira, ogni qual volta lo guardo, un piacevole senso di pace, di forza e di arcaica
saggezza. Confesso che quando mi trovo a camminare tra i miei olivi nel Cilento,
alcuni secolari altri piantati dal sottoscritto solo una ventina di anni fa (ho
ereditato da mio padre un piccolo terreno situato su una collina), non mi stanco mai di ammirarli. Potrei stare
lì delle ore in solitaria contemplazione, avvolto dal silenzio e protetto dalla
loro imponenza. Quella vista mi commuove e mi rende felice. In tali occasioni
mi viene sempre in mente quello che scriveva Giuseppe Dessì in un suo famoso
romanzo ambientato nella Sardegna dei primi anni del ‘900, “Paese d’ombre”, a proposito di queste piante che sembrano sfidare
il tempo ovunque esse si trovino, in Sardegna come nel Cilento:
“… erano simili
a enormi pachidermi, con il loro tronco colossale, sproporzionato e gibboso (...)
Il ragazzo camminava nell’oliveto silenzioso, e camminando contava gli olivi. A
vederli dalla strada, sembravano tutti uguali; ora invece, per la prima volta,
si accorgeva che erano diversi: avevano ognuno una fisionomia particolare, come
persone. Se guardi da lontano la gente che affolla una piazza, o una
processione che ti viene incontro, ti sembra che tutte le persone siano uguali:
se invece ci vai in mezzo ti accorgi che si assomigliano, ma nella somiglianza
sono diverse. Così era anche per quegli alberi di cui percepiva il silenzio,
non come si percepisce il silenzio delle cose, ma come si percepisce il
silenzio di persone che stanno zitte e pensano “. Forse solo un grande poeta potrebbe trovare
parole più belle per descrivere quello che si prova camminando tra gli olivi.
Mi domando: ma esistono ancora in questa
nostra società supertecnologizzata “persone che stanno zitte e pensano”? Guardandomi
in giro (per strada, sui mezzi pubblici, nei locali…) vedo solamente persone
che parlano ad alta voce con un telefonino o smanettano come indemoniati sui
tasti del loro giocattolo più amato. Forse costoro non hanno mai visto un
olivo, se non in fotografia; forse hanno paura del silenzio e non pensano,
presi come sono a navigare in un mondo sempre più virtuale e lontano. Mi viene
da pensare che oggi stanno zitti e pensano soltanto quei vecchi contadini ormai
condannati a sparire, il cui corpo ricurvo, i cui volti bruciati e rinsecchiti
dal sole, le cui mani nodose per il duro lavoro nei campi, ricordano proprio le
forme irregolari di questo albero antico e meraviglioso: l’olivo. Credo che il
contadino, nella sua accezione più vera, sia ormai una figura in via di
estinzione; l’olivo, invece, l’unica pianta che davvero gli somiglia, con le
sue nodosità ed i suoi tronchi contorti, con le sue belle foglie argentate, resiste
al passare dei secoli ed appare come una presenza quasi umana, senza tempo.
Eterna. E’ un autentico monumento naturale: andrebbe salvaguardato…studiato…osservato.
Le scuole, di ogni ordine e grado, dovrebbero organizzare visite guidate negli oliveti
e nei frantoi. Ognuno di noi dovrebbe provare - almeno una volta nella vita - a
raccogliere manualmente le olive e seguire tutte le fasi della lavorazione. Vi
assicuro che quando ci si arrampica su una pianta di olivo muniti di un piccolo
rastrello per “pettinare” i suoi rami carichi di olive - che vanno poi a cadere
su un apposito telo steso per terra intorno all’albero – si prova una intensa e
bellissima emozione. E’ un’ esperienza umana unica, degna di essere vissuta,
che ci rimanda a una dimensione della vita più semplice e genuina, lontana dal
caos, dalla fretta, dalle macchine. Potersi, poi, portare a casa il proprio
olio extravergine rappresenta il giusto coronamento di un percorso lavorativo,
fonte di piacere e soddisfazione. Un modo per apprezzare ancora di più
l’origine di quel gesto semplice e genuino che si perde nella notte dei tempi:
versare un filo di olio di oliva (il nostro olio) su una fetta di pane.