martedì 29 novembre 2016

Hopper: il pittore che dipingeva il silenzio



Il complesso del Vittoriano a Roma ospita, fino al 12 febbraio 2017, una bella mostra dedicata a Edward Hopper, uno dei più importanti e celebri pittori americani del Novecento. Non potevo, quindi, lasciarmela sfuggire, considerata la stima che nutro da anni nei confronti di questo straordinario artista. L’esposizione pittorica - che percorre tutte le tecniche della sua vasta produzione, dalle tele ad olio agli acquerelli ed ai disegni con matita e carboncino, si snoda attraverso una sessantina di dipinti – tra paesaggi e scorci cittadini - alcuni dei quali sono ormai entrati a far parte dell’immaginario collettivo, vere e proprie icone universali. Per l’occasione, mi piace riproporre un mio post sul pittore americano, rivisto e aggiornato, scritto qualche tempo fa.
Io penso che nessun artista, prima di Edward Hopper, abbia avuto la spregiudicatezza di innalzare a dignità artistica la realtà urbana delle grandi città americane e dei suoi sobborghi. L’ha fatto per la prima volta questo pittore, nato in una piccola cittadina sul fiume Hudson nel 1882, appartenente ad una ricca e colta famiglia borghese dell’America di fine Ottocento. Attraverso la pittura, Hopper si spinse ad osservare, direi quasi a “spiare, l’interno di un appartamento o di un ufficio o di uno scompartimento ferroviario, cogliendo gli ignari occupanti immersi nelle proprie faccende private o pubbliche. La scelta di utilizzare in pittura soggetti artistici non in linea con gli ideali imposti dall’arte moderna e, soprattutto, dalle richieste del mercato dell’arte, provocò, almeno inizialmente, una reazione molto dura nei suoi confronti, sia da parte della critica americana che dell’opinione pubblica. Questa sua vocazione al realismo metropolitano, questa sua totale fermezza nel perseguire una propria linea pittorica lontana dalle mode, lo condannarono in principio all’indifferenza generale, tanto è vero che Hopper presentò a New York la sua prima mostra personale solo all’età di 38 anni, esponendo una quindicina di quadri ad olio, senza venderne nessuno. L’apprezzamento, di critica e di pubblico, sarebbe arrivato in seguito.

Hopper era attratto dalle periferie urbane e dalle stanze dei motel, dalle stazioni ferroviarie e dalle case solitarie in mezzo al bosco, dalle strade quasi sempre deserte e dai distributori di benzina isolati. E poi erano i fari, lungo le coste atlantiche, a scatenare la sua immaginazione: ne dipinse davvero tanti. Amava rappresentare la solitudine della condizione umana e gli spazi vuoti e assolati. I rari protagonisti nei suoi quadri appaiono sempre soli e, se dipinti in coppia o in gruppo, sembrano estranei gli uni agli altri e non comunicano mai tra di loro. Nemmeno Hopper sapeva spiegare il perché di questa sua strana ossessione, tant’è che scriveva: “Se potessi dirlo a parole, non ci sarebbe alcun motivo per dipingere…Perché io, poi, scelga determinati oggetti piuttosto che altri, non lo so neanche io con precisione, ma credo che sia perché rappresentano il miglior modo per arrivare a una sintesi della mia esperienza interiore”. E la sintesi della sua esperienza interiore era essenzialmente la solitudine. Hopper era un uomo riservato e timido, incapace di sentirsi a proprio agio tra la gente: amava nascondersi piuttosto che apparire. Se fosse vissuto ai giorni nostri - considerata la sua indole solitaria - credo che si sarebbe negato a qualsiasi intervista e non sarebbe stato mai ospite di programmi televisivi, così appetibili dai vip di nostra conoscenza. Probabilmente queste sue peculiarità caratteriali influenzarono anche la sua pittura che ci parla, appunto, dell’isolamento urbano e della solitudine celata dietro le cortine delle finestre o lungo una strada assolata di periferia. I suoi dipinti ci svelano quelle estreme condizioni di alienazione e di difficoltà di comunicazione vissute dagli individui che vivono nelle grandi città. Sembra quasi che Hopper, nei suoi quadri, voglia rappresentare il tempo, o meglio la sospensione del tempo, attraverso luci e ombre che si stagliano sulle cose, in assenza di persone e di sentimenti. Una volta disse: “io non voglio dipingere la gente che gesticola e che esprime emozioni. Quello che voglio fare è dipingere la luce su di un lato di una casa”.

 
Molti sono i critici che vedono nella pittura di Hopper la riproduzione dello squallore e della desolazione di una certa America. Ma io credo che il pittore americano fosse innanzitutto un attento osservatore della realtà da cui era circondato  e, attraverso la visibile solitudine che traspare dai suoi dipinti, egli intendesse rappresentare la universale fragilità della condizione esistenziale. Il suo messaggio, umano e artistico, è quello di farci riflettere sulla vera essenza delle cose e sugli aspetti più banali della quotidianità. Con le sue opere, l’artista americano ci rivela che la “poesia” si può trovare anche in una sperduta stazione di servizio, lungo una strada che attraversa un bosco e che la felicità si può percepire anche in un motel o in una sala d’attesa semivuota di una stazione ferroviaria di periferia. Perché a volte sono proprio quei luoghi, che apparentemente appaiono i più tristi e malinconici, frequentati da avventori smarriti e in rotta di collisione con la società e con la vita, a consolarci della nostra tristezza. Le hall degli alberghi, i vagoni dei treni poco frequentati, le caffetterie aperte fino a tarda notte ai lati della strada – dipinti da Hopper – diventano, così, un rifugio accogliente per quanti si sentono abbandonati e traditi dalla vita, luoghi ideali dove poter tranquillamente stemperare la propria solitudine e la propria sofferenza.
 Riesco, inoltre, a scorgere nella pittura di Hopper due aspetti che per me sono fin troppo evidenti e che traspaiono in tutte le sue raffigurazioni: da un lato, il silenzio, e credo che nessuno meglio di Hopper abbia saputo raffigurare questa astratta dimensione, irrimediabilmente perduta nell’epoca in cui viviamo, contrassegnata da rumori che non lasciano spazio alla riflessione a all’ascolto. E dall’altro lato, l’attesa, come se quei personaggi, il più delle volte dipinti da soli, aspettassero qualcuno o qualcosa, o come se in quelle case isolate, rappresentate ai margini del bosco, stesse per accadere un evento a noi sconosciuto.

 

20 commenti:

  1. Condivido appieno la definizione di pittore della luce per Hopper.
    La luce è centrale, protagonista assoluta dei suoi quadri. Sembra quasi che il pittore consegni alla luce il compito di rendere l'astrazione della scena, quella stessa astrazione che si traduce poi anche nell'effetto totalizzante del silenzio.
    C'è un quadro, che a me piace particolarmente e che si intitola "morning sun", dove una donna sta seduta su di un lettino con lo sguardo puntato verso una finestra.
    E' un quadro pieno di luce, ma lei, la donna, sembra ripresa da lontanissimo, perché lontanissimi appaiono i suoi pensieri, i suoi sentimenti.
    Certo, c'è molta incomunicabilità in Hopper, molta astrazione, molta solitudine. I suoi personaggi guardano lontano, inseguono i loro pensieri, riflettono senza parlare, senza scambiare idee o emozioni. E la luce si stende su tutto, avvolge ogni cosa e la trasfigura, protegge le figure umane e la loro vita segreta.

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    1. Sono pienamente d'accordo con te sulla definizione di "pittore della luce". A conferma di ciò, basta pensare che la mostra al Vittoriano si apre proprio con una frase del grande pittore americano che recita: "Forse non sono troppo umano, ma il mio scopo è stato semplicemente quello di dipingere la luce del sole sulla parete di una casa.” La luce, quindi, è fondamentale nella sua pittura e sembra quasi ammorbidire quel senso di solitudine, di incomunicabilità che comunque traspare nei suoi quadri.

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    2. Secondo me, la luce nei quadri di Hopper più che ammorbidire cristallizza la scena e i sentimenti.

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    3. Qualsiasi punto di osservazione è rispettabile

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  2. Andrò sicuramente a vedere Hopper.
    Questo week end, però, sicuramente andrò da Artemisia. Qui.

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    1. Andrò anch'io da Artemisia, appena possibile, e poi ne parleremo...

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    2. Artemisia non lo so... però ho visto Van Gogh Alive... una delusione rispetto al magico Caravaggio Experience..ed anche ad un costo eccessivo (15 euro!!)

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    3. La magia di Caravaggio è insuperabile...

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  3. Di Hopper mi impressiona la luce, quei tagli esaltati dalle ombre, quei bagliori che allucinano, nel vuoto che li esalta. Poi hai ragione, silenzio e attesa fanno parte del panorama.
    C'è come una sorta di preludio nelle sue tele. Una lucida messa a fuoco. Un evidenziare qualcosa che puoi solo, anche se chiaramente, percepire.

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    1. Si, la luce nei quadri di Hopper è sempre presente. E' la protagonista assoluta della sua pittura. E' come un segnale di speranza e di salvezza per un mondo - quello rappresentato - che descrive, tuttavia, la solitudine dell'uomo che vive in una grande metropoli e la sua incapacità di comunicare

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  4. silenzio e staticità di persone e panorami, credo che siano le prerogative che accomunano i suoi dipinti. Eppure ogni suo quadro emana un fascino irresistibile che non penso sia legato tanto all'uso sapiente della luce quanto a far percepire il proprio sguardo partecipe, mai giudice, sulle miserie umane.
    Mi viene un parallelo con Simenon (è una mia fissa!), colgo il medesimo affetto per i propri personaggi a prescindere dalle loro colpe e dai loro limiti.
    massimolegnani

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  5. E' vero: a volte abbiamo un occhio di riguardo nei confronti di quei personaggi che più degli altri raccolgono il nostro affetto - siano essi letterari che artistici - e siamo sempre disposti a perdonare qualsiasi colpa o qualsiasi difetto essi possano avere. E' un po' come il comportamento che nasce nella prima fase dell'innamoramento. E i quadri di Hopper si amano e basta. Quell'atmosfera che si respira attraverso la sua pittura emana davvero "un fascino irresistibile" e va ben oltre il messaggio che l'artista intende trasmettere a chi guarda.

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  6. Concordo con ciò che hai scritto: risulta chiaro ed evidente anche dalle tre immagini pubblicate nel post. Solitudine e luce, contrastando, danno la vera cifra di questo grande pittore.
    Nicola

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  7. Ho visto qualche anno fa la mostra di hopper a milano....bella, molto bella

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  8. Ho visto qualche anno fa la mostra di hopper a milano....bella, molto bella

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    1. ...bella anche la mostra a Roma. Te lo assicuro :-) Ciao Francesco

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    2. Che poi sono quadri capaci di tenerti fisso a guardarli a lungo....

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    3. Che poi sono quadri capaci di tenerti fisso a guardarli a lungo....

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