martedì 24 maggio 2016

Povera gente



“Ah, come avvilisce un uomo, la miseria!”

Quando il romanzo “Povera gente” fu dato alle stampe nel 1846, il suo autore Fedor Dostoevskij aveva solo 24 anni ed era un perfetto sconosciuto. Bastò quella prima pubblicazione per lanciarlo nel firmamento della letteratura mondiale. La critica lo acclamò come il nuovo Gogol.

Due sono i protagonisti principali della narrazione: Makàr, un attempato e oscuro impiegato, un brav’uomo, incapace di fare del male al prossimo, che vive relegato in una umile pensioncina, proprio di fronte al caseggiato in cui conduce la sua esistenza una giovane ragazza molto povera di nome Varvara. E’ un romanzo epistolare che racconta la società indigente della Russia zarista della prima metà dell’Ottocento e si immerge nella realtà popolare dei sobborghi di San Pietroburgo, con tutti i suoi problemi di sopravvivenza. Sono lettere appassionate quelle che si scrivono Makàr e Varvara, tenere e amare, ma anche piene di buoni sentimenti, sono componimenti a volte struggenti, velati di malinconia, seppure schermati da un incrollabile ottimismo nei confronti della vita e del futuro; sembra quasi che i due soggetti, legati dallo stesso destino, attraverso questa accorata corrispondenza cerchino un reciproco conforto, una sorta di benevola alleanza, per alleviare così quella condizione di estrema povertà in cui appaiono relegati dalle circostanze della vita.

Makàr è un uomo pieno di carità cristiana il quale, nonostante viva in una condizione di estrema indigenza, non sembra demoralizzarsi, anzi appare pieno di ottimismo e cerca di trasmettere questa voglia di riscatto morale e sociale anche alla sua dirimpettaia, di cui sembra intimamente innamorato. Il suo è un sentimento inconfessato che però traspare dalle lettere, sempre piene di affetto e di premura per la sua giovane protetta, lettere che sono diventate la sua unica gioia, la sua esclusiva ragione di vita. Ma la giovane le procurerà un grande dispiacere, quando gli confesserà, nella sua ultima e straziante missiva, che ha preso una decisione irrevocabile…

6 commenti:

  1. curioso che due dirimpettai comunichino per lettera, già da questa scelta immagino la loro ritrosia a incontri più ravvicinati.
    massimolegnani

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Si può stare vicini, scrivendosi. Mi viene in mente la storia dell’amore appassionato e travolgente tra Abelardo ed Eloisa che utilizzarono la pagina scritta per le loro prime esperienze amorose. E così, rivolgendosi ad Eloisa, il monaco Abelardo scriveva: ”....pensavo anche che se pure fossimo stati lontano avremmo potuto scriverci e che anzi molte cose avremmo osato più facilmente scriverle che dirle, e così saremmo stati sempre vicini attraverso questo dolce modo di conversare..”. E già: con la scrittura si può osare. Si evita di arrossire. :-)

      Elimina
  2. Complicatissimo parlare di Dostoevskij. Recensirlo? Opera ardua.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono d'accordo con te: Dostoevskij è uno di quei mostri che ti abbatte e ti fa sentire piccolo. Forse è meglio leggerlo che recensirlo.

      Elimina
  3. L'ho letto anch'io ma l'ho trovato noioso. SL

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A volte anche i grandi autori possono annoiare. Non lo metto in dubbio. Comunque, senza offesa per nessuno, ad impensierirmi non è tanto la noia che desta un "piccolo" libro di Dostoevskij, quanto l'entusiasmo che suscita un "capolavoro" di Fabio Volo.

      Elimina