venerdì 12 febbraio 2016

Fontamara: l'antica via crucis dei contadini meridionali



Fontamara è un immaginario paesino dell’Abruzzo, metafora di quel Sud povero e abbandonato da Dio e dallo Stato; ricorda profondamente i luoghi in cui visse lo scrittore abruzzese Ignazio Silone, il quale, attraverso la sua immaginazione e con l’aiuto dei suoi ricordi giovanili, diventa l’io narrante di questo suo romanzo: Fontamara. Sono i contadini, quelli che comunemente venivano chiamati cafoni, i protagonisti autentici della storia, che assurgono - forse per la prima volta - a paladini della giustizia e della rivolta. Quegli umili braccianti che non cantavano mai, neanche quando erano allegri, ma che volentieri bestemmiavano; e imprecavano non solo quando la sorte era loro avversa, ma anche quando dovevano esprimere una emozione, una gioia, o manifestare la propria devozione.

E’ un romanzo corale dove troviamo, da una parte, i “cafoni/contadini”, con le loro storie intrise di miseria, superstizione e ignoranza e, dall’altra, i “cittadini”, che sono poi le persone altolocate che più contano nel paese: il podestà, l’avvocato, il medico, il farmacista, il prete, il proprietario terriero. Queste due categorie di persone convivono nello stesso paese, ma non si incontrano mai, perché un cittadino e un cafone difficilmente possono capirsi, perché sono due cose differenti. Troppe cose li dividono. Una in particolare: la cultura. Silone fa dire ad un suo personaggio che “non serve avere ragione se manca l’istruzione per farla valere”. Infatti i cittadini trovano sempre il modo per imbrogliare i cafoni, per raggirali, per ridurli al silenzio attraverso semplici parole di difficile comprensione. Un po’ come il latinorum di manzoniana memoria, in bocca a Don Abbondio. Ma i cafoni di Fontamara, poveri e ignoranti, che avevano sopportato sempre qualsiasi vessazione come una sorta di destino divino,  possedevano mille buone ragioni per ribellarsi ai potenti del paese. Ed infatti insorsero il giorno in cui venne deciso, a loro insaputa, di deviare l’acqua di un ruscello - che da sempre aveva irrigato i pochi campi che possedevano, l’unica magra ricchezza del villaggio – per avviarla verso le terre che non appartenevano ai Fontamaresi, ma ad un ricco proprietario del paese, Don Carlo Magna.

Lo stile narrativo di Silone, fatto di un linguaggio semplice, immediato, per certi versi poco letterario, ma di disincantata umanità, rimanda a quella cultura contadina e popolaresca- da cui lo stesso autore proveniva – a favore della quale si era eletto da sempre indiscusso paladino. Egli sosteneva che la cultura e l’istruzione fossero fondamentali per il riscatto morale e sociale di un popolo. Senza cultura le battaglie sociali erano perse in partenza. Nelle intenzioni dello scrittore, il romanzo doveva rappresentare una denuncia sociale, un manifesto attraverso cui far conoscere le condizioni di estrema indigenza in cui vivevano i contadini del Meridione, da sempre oppressi da ingiustizie e malversazioni. Ma era anche l’occasione per dimostrare che anche i contadini avevano una loro dignità da difendere, che non potevano sempre essere carne da macello. Attraverso la lotta e l’impegno per la difesa di un diritto e per la salvaguardia delle loro terre, unica fonte di sostentamento, i cafoni di Silone diventano finalmente artefici del proprio destino e, per la prima volta, tentano con fatica di contrastare un potere e un destino a loro sempre avversi.

4 commenti:

  1. Amo profondamente Silone. E' nato qui, a pochi chilometri da dove sono nata anche io. Abruzzese. Marsicano, come me.
    Vado a salutarlo, di tanto in tanto. Le sue ceneri sono ai piedi di una splendida torre medievale. A Pescina, il suo paese, per l'appunto.

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    1. Grande intellettuale: servirebbe uno come lui ai nostri giorni. Non solo come uomo di cultura, ma anche come uomo delle istituzioni. Non dimentichiamo che è stato un parlamentare della nostra Repubblica. E pensare che oggi la letteratura celebra i vari Fabio Volo e il Parlamento è nelle mani di certi loschi figuri...

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  2. E' un classico della nostra letteratura. Un grande libro

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