“sentirsi speciali è la peggiore delle gabbie che uno possa costruirsi”
E’ il romanzo d’esordio narrativo
di questo giovane scrittore di Torino, nato nel 1982, con cui ha vinto il
premio Strega 2008 ed il premio Campiello Opera Prima. Lo ricevetti in regalo
nell’anno della sua pubblicazione e lo lessi immediatamente. Solitamente non mi
piace leggere il libro del momento, di cui tutti parlano, best seller, tradotto
magari in tutte le lingue del mondo: insomma l’ultimo prodotto letterario che
fa bella mostra di sé nelle librerie, con la bella faccia dell’autore in quarta
di copertina che ci invita ad acquistarlo. Sono cauto, non sempre mi fido,
soprattutto se l’opera viene presentata come “il più eclatante caso letterario
dell’anno”. Preferisco, invece, che quel romanzo decanti un po’, si faccia le
ossa, invecchi come un buon vino. Solo così riesco – forse - ad apprezzarlo ed
a gustarlo. Mi piace leggerlo quando nessuno più se lo ricorda, quando le
pagine sono un po’ ingiallite col tempo, quando è passato quell’entusiasmo generale
di massa. Non è stato così per “La
solitudine dei numeri primi” e devo dire che all'epoca ne rimasi soddisfatto:
felice di averlo letto quando tutti lo leggevano.
E’ un romanzo di formazione. Il
nucleo centrale della narrazione ruota intorno ai “due numeri primi” Alice e Mattia, figli di due famiglie della
ricca borghesia: l’autore li segue passo dopo passo dalla prima infanzia,
quindi durante l’adolescenza fino alla piena maturità; scandaglia attraverso
alcuni episodi di vita vissuta le loro intime esistenze, ferite da tragedie da
cui sono state segnate dall’infanzia: un incidente sulla neve per Alice, che le
ha causato una imperfezione ad una gamba e la fa zoppicare, e la scomparsa
della sorella gemella per Mattia, a causa di una sua imperdonabile negligenza,
che lo aveva spinto per il rimorso a conficcarsi un coltello nella mano.
Quando un dolore penetra
nell’animo di un bambino, ne rischiara la profondità fino a spingere
all’esterno una spiccata sensibilità che forse resterebbe nascosta se non si
verificassero eventi traumatici. E così sembra sia successo ad Alice e Mattia;
i due appaiono diversi dagli altri ragazzi della loro stessa età, tendono ad
isolarsi, dimostrano un’indole solitaria, un temperamento molto sensibile, si
mostrano timidi ed impacciati, si sentono inadeguati, però hanno dalla loro
parte altre qualità: Mattia, ha un’ intelligenza superiore alla media, è un
ragazzo straordinariamente dotato, che sembra non voler creare legami con
nessuno. E’ solamente interessato allo studio e i suoi risultati scolastici
tendono sempre al massimo “c’é qualcosa di
spaventoso in quei voti” afferma addirittura sua madre.
Alice invece - che è sempre in
lite con la sua famiglia – è dotata di grande sensibilità, è alla ricerca
disperata di una sua indipendenza, vorrebbe sembrare come le sue amiche che
sono spregiudicate ed estroverse; lei invece è molto timida, confusa,
impacciata, anoressica e spesso diventa lo zimbello e il divertimento delle sue
compagne di scuola. I due si sentono speciali, ma “sentirsi speciali è la peggiore delle gabbie che uno possa
costruirsi”.
L’intelligenza, così come una
eccessiva sensibilità, a volte emarginano, generano distanze e diversità,
creano una sorta di muro invalicabile tra la persona dotata e gli altri; il
ragazzo con un quoziente intellettivo superiore fatica a riconoscersi nel
gruppo dominante, incontra difficoltà nell’adeguarsi ad un comportamento
univoco, nel mettersi in sintonia con coetanei superficiali e insignificanti. E
allora viene emarginato ed escluso, viene a volte irriso e sbeffeggiato
determinando in chi subisce tale angheria psicologica una sofferenza insanabile
che sfocia inesorabilmente nella solitudine. “I più grandi emarginati del tempo
presente” - dice lo psichiatra Vittorino Andreoli - “sono le persone veramente
intelligenti”. L’intelligenza è un po’ come la bellezza, che affascina e seduce
ma non facilita l’incontro, crea differenze profonde e genera spesso distanze
incolmabili.
Il racconto si dispiega
inizialmente attraverso episodi indipendenti e paralleli, flash di immagini e di eventi, slegati gli uni
dagli altri. L’autore alterna in maniera sapiente le storie di Mattia e di
Alice, con una prosa piacevole ed accattivante, a volte ironica e riflessiva,
fino a quando i due adolescenti si incontrano per la prima volta a casa di una
loro amica, dove erano stati invitati per una festa e dove si riconoscono e si
accettano intimamente diversi. E’ proprio questa loro diversità che li accomuna
e li unisce, ma allo stesso tempo li allontana.
Trascorrono così gli anni del
liceo come in apnea “lui rifiutando il
mondo e lei sentendosi rifiutata dal mondo” costruendosi una strana
amicizia “difettosa e asimmetrica, fatta
di lunghe assenze e di molto silenzio, uno spazio vuoto e pulito in cui
entrambi potevano tornare a respirare, quando le pareti della scuola si
facevano troppo vicine per ignorare il senso di soffocamento”. Sempre
timidi e imbarazzati, Alice si nasconde dietro la sua anoressia, quasi a voler
diventare trasparente e invisibile agli altri, mentre Mattia, chiuso nei suoi
silenzi e in quella sua incapacità di comunicare le sue emozioni ed i suoi
sentimenti, sembra scappare via dalla vita e dal mondo.