C’è stato un tempo, nemmeno
tanto remoto, in cui - percorrendo le strade che si inerpicano lungo le colline
del Cilento - era possibile scorgere le sagome inconfondibili dei vari paesi ivi
arroccati, attorniati da vecchi casolari di campagna rigorosamente costruiti in
pietra locale. Erano luoghi familiari e facilmente riconoscibili dagli abitanti
del posto, perché il paesaggio che si stagliava in lontananza difficilmente
mutava nel tempo, aveva una sua specifica identità, appariva sempre identico: la
cementificazione selvaggia non era ancora arrivata, lo sfruttamento del
territorio non aveva preso piede. Lungo il percorso si potevano ammirare,
inoltre, graziosi muretti a secco, frutto del lavoro caparbio e certosino dei
nostri contadini che lavoravano la terra e la proteggevano dalle frane e dagli
smottamenti con questi semplici e naturali sbarramenti di pietra. Autentici
capolavori di architettura rurale. Di questi muretti a secco, purtroppo, se ne
vedono sempre di meno. Così come sembrano spariti quei caratteristici casolari
di campagna, il cui legame con il territorio circostante era ancora molto
forte. In compenso, al loro posto, stanno sorgendo come funghi orribili filari
di villette a schiera tutte uguali: veri condomini orizzontali. Costruzioni,
quest’ultime, che hanno ormai preso il sopravvento in ogni angolo del Cilento.
Mi viene in mente una pagina
del romanzo di Antonio Scurati “Il sopravvissuto”, il cui protagonista così
descrive il suo paese (ci troviamo nell’interland milanese, ma potrebbe essere
anche un paese del Cilento) “ai margini
delle strade statali il prolasso del paesaggio rurale era così veloce che
quando andavi in ferie per tre settimane, al tuo rientro stentavi a trovare la
strada di casa”. Sembra una provocazione, un paradosso, ma la finzione
letteraria non si discosta molto dalla cruda realtà: il sottoscritto, ogni qual
volta ritorna nel suo paese d’origine, ritrova sempre una nuova costruzione,
magari laddove solo qualche mese prima sorgeva un vecchio rudere di campagna;
oppure, cosa molto più deprecabile, si imbatte in antiche e nobili dimore che
hanno subito improbabili interventi di restauro su cui bisognerebbe solo
stendere un velo pietoso.
Stiamo facendo di tutto per
stravolgere l’anima dei luoghi. Le torri, i castelli, i palazzi signorili
costituivano il segno di riconoscimento di un Cilento antico; intorno a questi
simboli di appartenenza ruotava un’intera comunità in cui si ritrovava e si
riconosceva. Il paese, anche in lontananza, diventava riconoscibile grazie a
loro. L’incuria dell’uomo per il territorio in cui vive procede di pari passo
con le sue scellerate scelte urbanistiche, non sempre in relazione alle
caratteristiche ambientali in cui vengono inserite. In un lontano passato i
Barbari – così venivano chiamati dagli antichi Romani quei popoli che vivevano
al di fuori dei loro confini - invadevano i territori, distruggendo e
saccheggiando tutto ciò che incontravano lungo il passaggio. Oggi la barbarie
non è costituita dalle distruzioni, ma dalle costruzioni. I nuovi barbari
distruggono, costruendo. Io quando penso ai barbari, penso a quei costruttori
senza scrupoli che spesso, in combutta con amministratori locali incompetenti e
poco sensibili alla bellezza del posto in cui operano, violano il territorio
con orrendi fabbricati seriali, senza stile e senza armonia. E costruendo,
continuano a scardinare luoghi pieni di memoria e di silenzio, modificando in
maniera davvero violenta antichi borghi, distruggendo colline dove rigogliosa
sorgeva la macchia mediterranea. Villaggi turistici (che si animano solo in
estate, mentre durante i mesi invernali diventano agglomerati fantasma), strutture
balneari lungo le coste, villoni con piscine olimpioniche invadono ogni luogo,
si appropriano del territorio. La fisionomia di un paese cambia in maniera
veloce, tanto che si stenta a riconoscerlo e si perde quell’antica e piacevole
sicurezza di sentirsi “a casa”.
Sia ben chiaro che sono favorevole
ad un corretto uso del territorio; sono sostenitore di un piano urbanistico del
paese a misura d’uomo. Sono contrario, invece, alle speculazioni edilizie, alle
costruzioni sempre più invadenti che cancellano le tracce del passato, che non
legano in maniera armoniosa con il territorio in cui vengono realizzate; sono
contrario a quegli interventi edilizi che non “lasciano parlare” i luoghi. Si,
perché i luoghi del Cilento non sono cose morte, ma hanno un’anima e parlano di
noi: della nostra storia, dei nostri antenati, di come eravamo. Una nuova
costruzione non deve rompere il rapporto uomo/natura, quel sodalizio che regge
da secoli: deve invece arricchire un luogo non distruggerlo; deve renderlo più
bello, non imbruttirlo. Natura e opera dell’uomo devono fondersi in un unico
paesaggio, in una sorta di simbiosi in cui l’una si possa specchiare nell’altra.
Provate a immaginare un’antica abbazia circondata da un bosco; e poi
confrontatela, sempre nell’immaginazione, con una serie di villette a schiera.
Sarebbe interessante conoscere le diverse reazioni emotive.
Io penso che il tramonto di
un’epoca (e forse la nascita di una nuova civiltà) si può intravedere, non solo
attraverso l’inarrestabile e aggressivo progresso tecnologico che ha invaso le
nostre esistenze, ma anche attraverso il deterioramento e la devastazione dei posti
in cui viviamo; questa evoluzione (positiva o negativa, secondo i diversi punti
di vista) si può scorgere osservando il quotidiano accanimento urbanistico contro
il territorio e il suo passato, che se apparentemente non ci dice nulla, o non
ci facciamo caso, in realtà descrive meglio di qualsiasi altra immagine la fragilità
della condizione umana. Quella fragilità che umanamente ci appartiene e ci fa
somigliare a quei luoghi che stiamo distruggendo e in cui non ci riconosciamo
più.
Purtroppo è una triste realtà. Anche in Veneto è così, la campagna in certe zone è devastata, ed ora, causa la crisi economica, i capannoni sono archeologia industriale di sconcertante tristezza. Per questo invece apprezzo la Toscana perchè, secondo me, ha saputo conservare e valorizzare le sue città, i suoi borghi e non ha subito la cementificazione selvaggia che invece ha rovinato buona parte d'Italia.Questo è sotto gli occhi di tutti ma purtropppo, per il vile denaro, non si risparmia niente e nessuno. Questa è la cosa più triste.
RispondiEliminaCondivido. E’ un problema, questo, che riguarda l’Italia tutta, dal nord al sud. La politica ha le sue enormi responsabilità. Grazie per il commento
EliminaSono d’accordo. Stiamo facendo di tutto per distruggere i luoghi più belli del nostro paese. E lo facciamo con queste colate di cemento che, oltre a deturpare esteticamente la bellezza di un territorio, provocano frane e alluvioni. Piero
RispondiEliminaBenvenuto qui, Piero. Quello che è successo in Liguria in questi ultimi mesi è la dimostrazione che quando la natura viene violata, poi si vendica provocando, purtroppo, morte e distruzione
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