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lunedì 19 gennaio 2015

I nuovi barbari

Riporto, di seguito, un mio post pubblicato sulla rivista on line "La Mandragola" http://www.lamandragola.org/ che tratta - come recita il sottotitolo - "notizie approfondimenti informazioni dal Cilento". Invito chi mi legge a visitarla.

C’è stato un tempo, nemmeno tanto remoto, in cui - percorrendo le strade che si inerpicano lungo le colline del Cilento - era possibile scorgere le sagome inconfondibili dei vari paesi ivi arroccati, attorniati da vecchi casolari di campagna rigorosamente costruiti in pietra locale. Erano luoghi familiari e facilmente riconoscibili dagli abitanti del posto, perché il paesaggio che si stagliava in lontananza difficilmente mutava nel tempo, aveva una sua specifica identità, appariva sempre identico: la cementificazione selvaggia non era ancora arrivata, lo sfruttamento del territorio non aveva preso piede. Lungo il percorso si potevano ammirare, inoltre, graziosi muretti a secco, frutto del lavoro caparbio e certosino dei nostri contadini che lavoravano la terra e la proteggevano dalle frane e dagli smottamenti con questi semplici e naturali sbarramenti di pietra. Autentici capolavori di architettura rurale. Di questi muretti a secco, purtroppo, se ne vedono sempre di meno. Così come sembrano spariti quei caratteristici casolari di campagna, il cui legame con il territorio circostante era ancora molto forte. In compenso, al loro posto, stanno sorgendo come funghi orribili filari di villette a schiera tutte uguali: veri condomini orizzontali. Costruzioni, quest’ultime, che hanno ormai preso il sopravvento in ogni angolo del Cilento.
Mi viene in mente una pagina del romanzo di Antonio Scurati “Il sopravvissuto”, il cui protagonista così descrive il suo paese (ci troviamo nell’interland milanese, ma potrebbe essere anche un paese del Cilento) “ai margini delle strade statali il prolasso del paesaggio rurale era così veloce che quando andavi in ferie per tre settimane, al tuo rientro stentavi a trovare la strada di casa”. Sembra una provocazione, un paradosso, ma la finzione letteraria non si discosta molto dalla cruda realtà: il sottoscritto, ogni qual volta ritorna nel suo paese d’origine, ritrova sempre una nuova costruzione, magari laddove solo qualche mese prima sorgeva un vecchio rudere di campagna; oppure, cosa molto più deprecabile, si imbatte in antiche e nobili dimore che hanno subito improbabili interventi di restauro su cui bisognerebbe solo stendere un velo pietoso.
Stiamo facendo di tutto per stravolgere l’anima dei luoghi. Le torri, i castelli, i palazzi signorili costituivano il segno di riconoscimento di un Cilento antico; intorno a questi simboli di appartenenza ruotava un’intera comunità in cui si ritrovava e si riconosceva. Il paese, anche in lontananza, diventava riconoscibile grazie a loro. L’incuria dell’uomo per il territorio in cui vive procede di pari passo con le sue scellerate scelte urbanistiche, non sempre in relazione alle caratteristiche ambientali in cui vengono inserite. In un lontano passato i Barbari – così venivano chiamati dagli antichi Romani quei popoli che vivevano al di fuori dei loro confini - invadevano i territori, distruggendo e saccheggiando tutto ciò che incontravano lungo il passaggio. Oggi la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle costruzioni. I nuovi barbari distruggono, costruendo. Io quando penso ai barbari, penso a quei costruttori senza scrupoli che spesso, in combutta con amministratori locali incompetenti e poco sensibili alla bellezza del posto in cui operano, violano il territorio con orrendi fabbricati seriali, senza stile e senza armonia. E costruendo, continuano a scardinare luoghi pieni di memoria e di silenzio, modificando in maniera davvero violenta antichi borghi, distruggendo colline dove rigogliosa sorgeva la macchia mediterranea. Villaggi turistici (che si animano solo in estate, mentre durante i mesi invernali diventano agglomerati fantasma), strutture balneari lungo le coste, villoni con piscine olimpioniche invadono ogni luogo, si appropriano del territorio. La fisionomia di un paese cambia in maniera veloce, tanto che si stenta a riconoscerlo e si perde quell’antica e piacevole sicurezza di sentirsi “a casa”.
Sia ben chiaro che sono favorevole ad un corretto uso del territorio; sono sostenitore di un piano urbanistico del paese a misura d’uomo. Sono contrario, invece, alle speculazioni edilizie, alle costruzioni sempre più invadenti che cancellano le tracce del passato, che non legano in maniera armoniosa con il territorio in cui vengono realizzate; sono contrario a quegli interventi edilizi che non “lasciano parlare” i luoghi. Si, perché i luoghi del Cilento non sono cose morte, ma hanno un’anima e parlano di noi: della nostra storia, dei nostri antenati, di come eravamo. Una nuova costruzione non deve rompere il rapporto uomo/natura, quel sodalizio che regge da secoli: deve invece arricchire un luogo non distruggerlo; deve renderlo più bello, non imbruttirlo. Natura e opera dell’uomo devono fondersi in un unico paesaggio, in una sorta di simbiosi in cui l’una si possa specchiare nell’altra. Provate a immaginare un’antica abbazia circondata da un bosco; e poi confrontatela, sempre nell’immaginazione, con una serie di villette a schiera. Sarebbe interessante conoscere le diverse reazioni emotive.

Io penso che il tramonto di un’epoca (e forse la nascita di una nuova civiltà) si può intravedere, non solo attraverso l’inarrestabile e aggressivo progresso tecnologico che ha invaso le nostre esistenze, ma anche attraverso il deterioramento e la devastazione dei posti in cui viviamo; questa evoluzione (positiva o negativa, secondo i diversi punti di vista) si può scorgere osservando il quotidiano accanimento urbanistico contro il territorio e il suo passato, che se apparentemente non ci dice nulla, o non ci facciamo caso, in realtà descrive meglio di qualsiasi altra immagine la fragilità della condizione umana. Quella fragilità che umanamente ci appartiene e ci fa somigliare a quei luoghi che stiamo distruggendo e in cui non ci riconosciamo più.

 

4 commenti:

  1. Purtroppo è una triste realtà. Anche in Veneto è così, la campagna in certe zone è devastata, ed ora, causa la crisi economica, i capannoni sono archeologia industriale di sconcertante tristezza. Per questo invece apprezzo la Toscana perchè, secondo me, ha saputo conservare e valorizzare le sue città, i suoi borghi e non ha subito la cementificazione selvaggia che invece ha rovinato buona parte d'Italia.Questo è sotto gli occhi di tutti ma purtropppo, per il vile denaro, non si risparmia niente e nessuno. Questa è la cosa più triste.

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    1. Condivido. E’ un problema, questo, che riguarda l’Italia tutta, dal nord al sud. La politica ha le sue enormi responsabilità. Grazie per il commento

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  2. Sono d’accordo. Stiamo facendo di tutto per distruggere i luoghi più belli del nostro paese. E lo facciamo con queste colate di cemento che, oltre a deturpare esteticamente la bellezza di un territorio, provocano frane e alluvioni. Piero

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    1. Benvenuto qui, Piero. Quello che è successo in Liguria in questi ultimi mesi è la dimostrazione che quando la natura viene violata, poi si vendica provocando, purtroppo, morte e distruzione

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