Paestum è
universalmente conosciuta per il suo famoso Parco Archeologico; ma non tutti
sanno che a pochi metri dal tempio di Cerere, sul lato sinistro della statale
18 (provenendo da Battipaglia) e un po’ prima del museo archeologico, si apre
una deliziosa piazzetta su cui si affaccia una chiesa di grande suggestione e
di notevole pregio architettonico, che nessun visitatore dovrebbe ignorare: mi
riferisco alla Basilica Paleocristiana della SS. Annunziata, addossata a un
palazzetto settecentesco, già sede vescovile.
Normalmente, di
qualsiasi monumento si parli, noi vediamo lo stato in cui si trova nella fase
finale della sua vita, e spesso si tratta di vita millenaria. E tale è la
condizione storica di questa chiesa – intitolata all’Annunciazione della Beata
Vergine Maria – emersa così come noi oggi la possiamo ammirare dopo
vicissitudini secolari, fra distruzioni, ricostruzioni e restauri. La primitiva
struttura, risalente agli inizi del V secolo d.c. era del tipo “basilica
aperta” – secondo l’ipotesi del prof. Gabriele de Rosa – trasformata in
“basilica chiusa” agli inizi del VI secolo, che è la forma che oggi conosciamo.
A Paestum il cristianesimo cominciò a diffondersi a partire dal 344 d.c.; ed è
proprio in quel periodo che l’antica colonia romana divenne sede vescovile.
Dopo la distruzione di Paestum ad opera delle incursioni saracene (nell’anno
877) ed a seguito del progressivo abbandono in cui caddero quelle terre (come
viene ricordato in quasi tutte le relationes ad limina dei
vescovi, ossia i resoconti al soglio papale) gli abitanti si rifugiarono sul
vicino monte Calpazio, dove “vi fabbricarono in breve tempo Capaccio” e dove i
vescovi trasferirono la loro cattedra (l’attuale Santa Maria del Granato, che era
la chiesa, a quei tempi, più conosciuta e ricordata della zona), pur
continuando a definirsi “pestani” fino al XII secolo.
Nel XII secolo
la chiesa dell’Annunziata venne ampliata, in stile romanico, e ripartita in tre
navate tramite due file di colonne antichissime e di rara eleganza.
Apprendiamo, inoltre, che intorno all’anno 1504 fu in parte rifatta dal vescovo
di origine cipriota Ludovico Podocataro, il cui intervento avrebbe tra l’altro
comportato un parziale interramento della chiesa con elevazione dell’originario
livello del pavimento di oltre un metro. Ma fu Agostino Odoardi “il vero
restauratore della chiesa pestana”, come lo definisce il prof. De Rosa, colui
che ad essa diede l’impronta dello stile del secolo e, in ogni caso, con
interventi poco rispettosi dell’antica struttura paleocristiana. Quando
l’Odoardi fu eletto vescovo di Capaccio (14 febbraio 1724) a Paestum non
esisteva una cattedrale, ma solo una chiesa antica oramai decaduta, priva di
ogni suppellettile sacra, al punto che si poteva chiamare “profanus locus”. In
una sua relazione il prelato scriveva che la cattedrale assomigliava più a una
stalla o a una spelonca di predoni, che a una casa di Dio. E siccome il
territorio – popolato da coloni e da custodi di armenti – aveva comunque bisogno
di un luogo sacro (la cattedrale della vecchia Capaccio era alquanto distante,
con vie di accesso aspre e impraticabili) egli la rinnovò dalle fondamenta,
inglobando il primitivo colonnato con pilastri di stile settecentesco e
innalzando ulteriormente il portale d’ingresso; fece inoltre costruire un
cimitero che mancava, ornò la sacrestia di paramenti sacri, aggiungendo sul
fianco della chiesa un campanile a vela con due campane (andato distrutto
durante un successivo restauro). Le campane, invece, ci sono pervenute, una
delle quali, datata 1732, si può ammirare presso l’ingresso.
Il successore
di Odoardi – il vescovo Raimondi – fu artefice di uno degli ultimi restauri
della chiesa, fornendola a sue spese di marmi e ornamenti per l’altare maggiore
e facendo edificare nel 1760, adiacente alla cattedrale, un elegante palazzetto
“un palatiolum” che per lungo tempo servì di abitazione ai vescovi.
Solo nella
seconda metà del Novecento la Basilica – così come noi oggi la vediamo – è
stata riportata alle sue forme autentiche, spogliata del suo precedente “abito”
settecentesco, con la restituzione dell’originario pavimento, più basso di
circa due metri dal livello stradale (si accede alla chiesa attraverso una
scala). Va detto che non è stata un’impresa facile liberare l’antica struttura
architettonica dagli interramenti avvenuti durante i secoli passati, così come
scorporare le antiche colonne dalle forme barocche da cui erano state ricoperte
e che ne avevano alterato l’antica e suggestiva bellezza.
Vorrei infine
soffermarmi su quell’antico palazzetto settecentesco, addossato alla Basilica,
che come sopra specificato fu l’antica residenza vescovile. Ebbene, la
struttura per alcuni anni è stata abbandonata e trascurata tant’è che in un
recente passato il già nominato prof. Gabriele De Rosa, eminente storico
meridionale, scriveva:“ (…) ora che la cattedrale pestana ci è stata
restituita nella sua primitiva suggestiva bellezza, è una pena vedere a fianco
l’ex episcopio sciupato e abbandonato. Tutte le strutture interne sono logore:
la cappella del vescovo è stata trasformata in una latrina. Le pubbliche
autorità dovrebbero preoccuparsi perché anche questo edificio venga restaurato
e riscoperto come la sua vicina antica chiesa. E’ un elegante edificio che deve
essere restituito al patrimonio artistico di Paestum, assicurando ad esso anche
un retroterra che lo preservi dal rischio delle speculazioni edilizie”.
Ebbene, cosa hanno fatto “le pubbliche autorità” per restituire alla
collettività questo patrimonio? L’hanno venduto ai privati.
La bellezza dell'Italia sta nel fatto che ovunque ci giriamo, intravediamo pezzi di Storia. La bruttura sta nel fatto che non ce ne curiamo e lasciamo queste rmeraviglie all'abbandono e al degrado più totali. Un vero peccato perchè, valorizzando questo immenso patrimonio artistico, potremmo essere un grande Paese.
RispondiEliminaHai perfettamente ragione: il problema è che gli amministratori pubblici che dovrebbero tutelare il nostro patrimonio sono dei cialtroni e degli incompetenti, senza alcuna sensibilità artistica.
EliminaBen tornata.
Perchè in Italia, purtroppo, non c'è meritocrazia!
EliminaGrazie, è bello ritrovare i blog amici!
Come non sappiamo noi italiani tutelare e valorizzare il nostro patrimonio artistico che è immenso!
RispondiEliminaHo letto, con vivo dispiacere, le parole dell'eminente prof. Gabriele De Rosa.
Le pubbliche autorità non hanno fatto nulla di nulla! Che delitto!
Ho apprezzato molto il tuo scritto esaustivo e chiaro.
Grazie, remigio.
Un sorriso
gelsobianco (gb)
Grazie per le tue parole, gb. Un caro saluto
Elimina