A volte è davvero difficile riuscire a cogliere la vera natura di
un luogo e ciò che esso può rappresentare e comunicare emotivamente ad ognuno
di noi, a prescindere dalla sua funzione e dal contesto in cui si trova quel
luogo. Mi riferisco alla “piazza”, quel microcosmo racchiuso, il più delle
volte, nel centro storico del paese o della città, dove si consumano incontri,
ma anche scontri, dove si tengono spettacoli e raduni.
Mi chiedo se esista ancora quel salotto buono della nostra
infanzia, custode geloso dei nostri appuntamenti quotidiani, dove nascevano e
maturavano amori ed amicizie. Nell’immaginario collettivo la piazza era ( lo è
ancora? ) il luogo dove ci si riuniva, dove ci si confrontava con gli altri. E’
stata sempre immaginata come spazio di socializzazione e di aggregazione dove
poter vivere momenti di vita comunitaria, dove poter scambiare idee ed
opinioni; un luogo pubblico dove potersi divertire, ma nel contempo un luogo
privato, intimo, dove ritrovare se stessi, l’essenza della propria
appartenenza.
Chissà quante volte ci siamo detti: ci vediamo in piazza! E per
noi, ragazzi di paese, non ci si poteva sbagliare perché la piazza era una
sola, rispetto alle tante piazze delle città, quasi sempre incastonata tra
antichi palazzi, al centro del borgo, magari con una bella fontanella
zampillante, con il bar o la pasticceria per le ore più dolci, con la sua bella
chiesa per i momenti della preghiera. E con l’immancabile “muretto”, che
fungeva da panchina su cui si trascorrevano ore liete e spensierate, tra giochi
e schiamazzi. La piazza era il buen retiro, il salotto per le chiacchiere e per
il divertimento. Era un luogo di arrivo e di permanenza, dove si bighellonava
per ore, ma era anche un luogo di appuntamento temporaneo, da dove si partiva
per altre scorribande, per altre mete. Se si desiderava incontrare qualcuno,
bastava andare in piazza e aspettare: prima o poi sarebbe arrivato. Se si
voleva sapere qualcosa, bisognava andare in piazza, perché la piazza era il
giornale del paese. Era lo specchio e il simbolo del paese.
Nell’antica Grecia rappresentava il centro pulsante della polis:
era l’agorà, contemporaneamente il luogo del mercato e il centro economico,
politico e religioso, vi sorgevano gli edifici pubblici e commerciali nonché
quelli adibiti al culto delle divinità. Un’autentica invenzione architettonica,
la cui funzione e fruizione è andata cambiando sempre di più nel corso dei
secoli. Durante il periodo fascista, per
esempio, la piazza ricopriva un ruolo fortemente politico: era il luogo dove il
popolo di radunava per ascoltare i discorsi del Duce e per fare propaganda.
Negli anni 50/60, con i suoi caffè letterari (che sorgevano soprattutto nelle
grandi città come Napoli, Roma o Milano) era il luogo privilegiato del
dibattito culturale; vi si incontravano scrittori e artisti, sceneggiatori e
cineasti. E’ diventata, in seguito, sede delle grandi manifestazioni politiche
e sindacali, centro di raccolta per spettacoli e concerti. Insomma la vita che
scorreva e si fermava in questo spazio della memoria collettiva, vera fucina di
idee, di discussioni, di emozioni, di contestazioni.
Oggi mi chiedo se questa antica maniera di vivere la piazza
appartenga ancora alla società contemporanea; mi domando se la piazza venga
ancora percepita come luogo di interazione sociale e di incontro o non sia
diventata, invece, un luogo-non-luogo o meglio un luogo di passaggio, come
tutti gli altri esistenti in un paese o in una città.
La migliore risposta a questo interrogativo credo che mi sia
arrivata l’altro giorno da un ragazzo, il quale parlando al telefonino con un
suo amico, diceva: ci vediamo su facebook. Quel “ci vediamo in piazza” di
antica memoria è stato, ormai, soppiantato dal moderno “ci vediamo su
facebook”. Oppure in “chat” o su “twitter”. Quindi la piazza tradizionale
sembra essere stata superata da quella virtuale: internet e la televisione,
dove la gente si ritrova accomunata dalle stesse idee e dagli stessi interessi.
Non è un caso se oggi i politici, per propagandare le proprie idee (si fa per
dire!) preferiscano il salotto televisivo, piuttosto che il contatto con la
piazza, scelgano il talk show anziché il comizio in piazza. Preferiamo
incontrare i nostri amici su internet, anziché conoscerli dal vivo nelle piazze
e approfondire quella amicizia attraverso una frequentazione fisica e diretta.
E annullando il luogo fisico con il luogo virtuale, affidandosi
sistematicamente alle moderne piazze multimediali, il pericolo maggiore che si
corre è quello di un effettivo impoverimento culturale della nostra società,
sempre più massificata e succube di un pensiero unico, imposto dai moderni
strumenti tecnologici. Si ha l’impressione che quei rapporti interpersonali,
che si nutrivano di opinioni e modi diversi di fare, di esperienze differenti
di vita, finalizzati al raggiungimento di una vera crescita personale, siano di
fatto sostituiti da relazioni virtuali, snaturate dal contesto in cui si vive.
Questo produce un modo di esprimersi sempre più disarticolato e sintetico che
si affida al pollice in su o al pollice verso per indicare che quella cosa “mi
piace” o “non mi piace” oppure ad un messaggino di pochi caratteri, al posto di
un pensiero più elaborato ed esplicito.
Caro ex-collega, (si dice così quando si è usciti dal circolo lavorativo?) trovo che quello che affermi circa il fatto che la piazza non è più un luogo d’incontro come un tempo (vedi l’agorà dei greci) sia sostanzialmente vero, anche se per noi cittadini ad esempio di Roma le piazze già da tempo non sono più un luogo d’incontro abituale dove sostare sul muretto ma sono diventate il centro di accoglienza di manifestazioni politiche o canore (vedi il concertone del 1° maggio). Per quanto riguarda invece gli incontri virtuali con chat, twitter ed altro, invece dell’incontro de visu, mi sembra che anche tu preferisci un blog su internet anziché una bella discussione letteraria in un circolo o caffè ad hoc, non è vero?
RispondiEliminaUn caro saluto
Isabella
Per quanto mi riguarda, non sono mai stato un assiduo frequentatore di “piazze” tradizionali o di circoli o caffè letterari, né – tanto meno – oggi sono ossessionato dalle cosiddette piazze virtuali. Questa mia posizione personale non esclude, però, il fatto che i sistemi tradizionali di informazione e gli atteggiamenti ad essi collegati siano stati sostituiti da nuovi modelli comportamentali e comunicazionali. Naturalmente ogni passaggio, da un’epoca all’altra, da un modo di comunicare più diretto e “fisico” tipico della piazza ad un altro sistema legato a internet e quindi virtuale, è contemporaneamente, in forme ogni volta diverse, un arricchimento e una perdita. Il blog è solo uno strumento che mi permette di esercitare una nobile attività, la scrittura, che unisce due gioie: parlare da solo e parlare ad una folla. Lo diceva Pavese. L'incontro de visu, come dici tu, è un'altra cosa e non ha nulla a che vedere con la scrittura.
EliminaCiao e grazie per la visita.