Un tempo, diciamo una cinquantina
d’anni fa, in ogni paese del Cilento ognuno aveva il suo piccolo orto, accanto
alla propria abitazione. Forse tutt’ora è così, nonostante il cemento stia
avanzando. Quest’orticello era costituito, il più delle volte, da un fazzoletto
di terra coltivato a pomodori, patate, zucchine ecc. Spesso vi si trovavano
anche alberi da frutta: aranci, cachi, qualche melo. Serviva per le esigenze
familiari: le verdure a quei tempi non si compravano, ma si autoproducevano e
la frutta era sempre quella di stagione. Verdura e frutta bastavano ed era
anche di ottima qualità.
Ricordo che mio padre – unico nel
paese – non possedeva un orto dietro casa; però era proprietario di un terreno
(la campagna), dove lui si recava tutti i giorni a coltivare, tra le altre
cose, anche il suo orticello.
Ricordo ancora – allora potevo
avere una decina di anni – che nei pressi della nostra casa c’era un bell’orto
con tanti alberi di aranci e mandarini, però da tutti, nel paese, era
conosciuto come “il giardino”. Non riuscivo a capire come mai il terreno
accanto alla casa di mio zio fosse un orto e l’altro, lì vicino, un giardino.
Eppure avevano le stesse caratteristiche, vi si piantavano gli stessi ortaggi,
c’erano gli stessi alberi. Addirittura la stessa varietà di rose, che ingentiliva un po’ il terreno.
Se non ci fossero stati altri
orti nel paese, avrei considerato come tale solo quello che si faceva in
campagna, lontano dal centro abitato. Invece ognuno aveva il suo piccolo orto
davanti casa. E allora come si spiegava quella anomalia? Come mai quel giardino
tra tanti orti?
La mia curiosità fu soddisfatta
da mio padre allorquando, incalzato dalla mia domanda, mi rispose che l’orto
appartiene ai poveri, ai contadini. E mio padre era un contadino, come tutti
gli altri del paese. Il giardino, invece, era di proprietà di un “signore”. E
il signore non coltiva l’orto ma si dedica al giardino.
Insomma, a quei tempi, l’orto
evocava la fatica, il sudore della fronte. Fare l’orto significava zappare la
terra, sporcarsi le scarpe, avere i calli alle mani. Il giardino, al contrario,
era sinonimo di bellezza, nobiltà d’animo, richiamava alla mente persone colte,
celebrava il lusso e la ricchezza.
In altre parole, l’orto incarnava
la subordinazione, una condizione di inferiorità, il giardino era visto come il
potere dominante, rappresentava il padrone, il signore. E il signore del paese
poteva essere il maestro elementare o il farmacista, il medico o l’avvocato, il
maresciallo dei carabinieri o il sindaco. I giardini, quindi, erano
proporzionali ai signori e tutti gli altri erano orti e contadini.
Ho letto recentemente che
Michelle Obama, la moglie del Presidente degli Stati Uniti, coltiva un orto
alla Casa Bianca. Si un orto... non un giardino. Possibile! La donna più
potente della terra pianta insalate, patate e cavolfiori?
Come cambiano i tempi!! Il mondo
si è proprio capovolto!
Molto bello e poetico
RispondiEliminaGrazie e benvenuto qui...
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