mercoledì 27 novembre 2013

RECENSIONE: "La lucina" di Antonio Moresco



La trama è alquanto scarna: il protagonista, che è anche la voce narrante del racconto, un bel giorno decide di lasciare il mondo in cui vive e ritirarsi in una casupola in mezzo al bosco, nei pressi di un borgo abbandonato. Non ci è dato conoscere il perché di questa estrema decisione. “Sono venuto qui per sparire” questo l’incipit del libro “in questo borgo abbandonato e deserto di cui sono l’unico abitante”.

Da queste prime battute, sono andato con il pensiero indirettamente a David Thoreau, lo scrittore americano dell’800, noto per il suo libro autobiografico “Walden, ovvero la vita nel bosco”, in cui raccontò la sua esperienza di vita alternativa in una casetta di legna nel bosco, lontano dalla civiltà e dal consorzio umano, nel completo abbraccio con la natura, in felice e solitaria contemplazione.
 
Devo dire, però, che ho dovuto subito abbandonare questo confronto, perché l’autore del romanzo, già dalle prime pagine, mi fa capire che il suo intento non è quello di proporre un modello alternativo di vita, di aprire una finestra spalancata su un altro modo di vivere e di sentire l’esistenza. No. Egli si incammina, invece, verso un tortuoso percorso di ricerca interiore e ci conduce in un mondo in cui la natura – metafora della vita - sembra una sorta di selva oscura in cui gli alberi e tutte le altre forme vegetali sono in lotta tra di loro per occupare un proprio spazio vitale. In altre parole, la natura selvaggia in cui lui si è rifugiato per trovare quella pace e quella serenità interiore, anziché accoglierlo benevolmente, pare vogliano respingerlo inesorabilmente verso l’abisso. Ma ecco che nel suo vivere quotidiano appare qualcosa di inaspettato; di notte, quando il buio si fa più fitto, il protagonista vede accendersi, dall’altra parte del bosco, sempre alla stessa ora, una strana ed insolita lucina. Incuriosito, dopo qualche giorno, decide di raggiungere il luogo e con sua grande sorpresa appare di fronte a lui un bambino, che vive da solo in mezzo al bosco, nelle sue stesse condizioni, in una piccola casa di pietra.

Chi sarà quel bambino che si materializza attraverso una luce di notte? E’ forse il protagonista stesso che diventa bambino o, piuttosto, è quel “bambino” che alberga nell’animo dell’autore/protagonista e quindi in ognuno di noi?

La cosa che più mi ha colpito di questo romanzo - al di là della trama che sconfina nel surreale - è certamente la scrittura: essenziale, asciutta, quasi elementare in alcune circostanze, soprattutto quando lo scrittore si dilunga in talune descrizioni che riguardano il vivere quotidiano del suo personaggio.

In una nota introduttiva al libro, Antonio Moresco scriveva che questo racconto, proprio per la sua particolare natura intima e segreta, sarebbe stato una sorta di testamento spirituale, qualora fosse “crepato” il giorno dopo averlo scritto. L’essenza di tale affermazione io l’ho trovata proprio nell’ultima pagina.

 

 

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