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mercoledì 9 dicembre 2015

Caro amico ti scrivo...



Si tu vales bene est, ego valeo: se tu stai bene sono contento, io sto bene. Era usanza degli antichi romani iniziare una lettera con questa formula. Lo scriveva Seneca oltre duemila anni fa (lettera n. 15) a quel suo amico di Pompei che si chiamava Lucilio. A quei tempi non esisteva il telefonino e se volevi mandare i saluti ad un conoscente lontano, dovevi procurarti carta e penna (o meglio calamus e papiro) e poi affidarti alle poste dell’epoca (si fa per dire). Da allora – a partire, appunto, dalle Lettere a Lucilio - ne sono state scritte di lettere e di epistolari famosi, anche di alto valore letterario! Ma chi scrive più le lettere come una volta? Nessuno. Eppure, io penso che certi pensieri riportati sulla carta acquistino un sapore ed un valore speciale, un modo diverso di ascolto e di comprensione, perché quando si scrive si è molto più attenti a studiare le parole, a limarle, a trovare quelle che meglio si adattano in quella particolare circostanza. Si sa che la comunicazione verbale è più immediata, però quella che si esplica attraverso una lettera è senz’altro più meditata, più elaborata, permette di leggere tra le righe anche ciò che non viene detto esplicitamente e – diciamocelo - consente anche di verificare le capacità letterarie e di scrittura di chi mette nero su bianco. Mi azzardo a dire che quando ci esprimiamo a voce siamo un po’ “stupidi”, quando invece scriviamo ci sforziamo di essere intelligenti.

La lettera, quale originario strumento di comunicazione, era un oggetto che si poteva accarezzare e stringere fra le mani. E si poteva scorrere con gli occhi per cogliervi non solo il senso delle parole, ma anche  lo stato d’animo di colui che scriveva; era una sorta di reliquia che si conservava e si rileggeva a distanza di tempo, ogni volta rinnovando emozioni ed evocando ricordi. Le parole volano, soprattutto quelle dette al telefono in maniera distratta, o nelle conversazioni; quelle scritte, invece, sono sempre lì, a portata di mano e di occhi e dietro ad esse il volto e l’ animo di chi l’ ha inviate.

La lettera vergata a penna, come si faceva una volta, è praticamente scomparsa; ma per fortuna hanno inventato la mail, che in qualche modo ricorda la vecchia lettera, sebbene sia più sofisticata e veloce, in linea con i tempi moderni che sono paladini della rapidità. Certo, non esiste più quel tempo di attesa, con tutto il suo carico di emozioni, tra il momento in cui si scriveva ed il momento successivo in cui si riceveva la risposta, che era pur sempre un tempo di piacere. Oggi avviene tutto all'istante: è come rinunciare alla vigilia saltando immediatamente alla festa.
Io sono un po’ all’antica: preferisco la lentezza alla sveltezza, la lettera al telefonino. Tant’è che non ne posseggo uno. E già: il telefonino! Con lui devi essere super rapido. Devi sempre dare una risposta immediata e senza indugio Non hai più la possibilità di riflettere, di pensare, di meditare la risposta. Ti devi sempre giustificare se per caso ti cercano e non ti trovano. Non dicono mai pronto, quelli che ti chiamano, ma ti chiedono sempre dove stai. Abbiamo perso la riservatezza e di pari passo sono aumentati i bugiardi. Ma vuoi mettere la lettera? E se ci pensate bene, io credo che il telefonino sia lo strumento più maleducato che sia stato mai inventato, u’ cchiu scustumato (come direbbero a Bolzano). Perché squilla – attraverso musichette e suoni tra i più stravaganti - nel momento meno adatto, anche nelle situazioni più imbarazzanti, senza chiedere permesso a nessuno. Mettiamo, per esempio, che il sottoscritto si trovi in piacevole compagnia, da qualche parte, a chiacchierare con un amico e all’improvviso squilla il suo telefonino. L’amico che fa? Non dice allo scocciatore di richiamare più tardi perché ora è impegnato. No. Se proprio non vuole farmi ascoltare la sua telefonata (ma non succede mai, perché le telefonate degli altri sono rivolte soprattutto ai presenti), si alza e si allontana, lasciandomi naturalmente come un carciofo, per dare retta a quell’altro carciofo, a quell’intruso che ha interrotto la nostra amabile conversazione per chiedergli, evidentemente, una cosa urgentissima e cioè se aveva visto la partita in televisione. Non è arroganza, questa? Non è un malcostume? Era proprio necessaria quella telefonata? Invece con la lettera-mail non può mai succedere una simile e sciocca invadenza. Lei, la mail, se ne sta buona da qualche parte - annunciata in grassetto - in attesa che venga aperta. Non è maleducata. Non si intromette nella conversazione. Rimane tranquilla e aspetta il suo turno. E quando viene finalmente aperta, è perché chi l’ha ricevuta vuole leggerla proprio in quel momento. L’aspettava. Era ansioso di scorrerla con gli occhi – e perché no – di stringerla tra le mani, se usa l’accortezza di stamparla e conservarla, per rileggerla poi nelle ore di dolce malinconia. Mi domando: come si può non amare la lettera. Pardon, la mail.