Considero Giorgio Bassani uno
dei nostri più grandi scrittori del Novecento. Tutti i suoi romanzi, tra cui “Il giardino dei Finzi Contini” – il più
famoso - sono ambientati nella sua Ferrara, la città in cui trascorse
l’infanzia e l’adolescenza, e raccontano le sorti della ricca borghesia ebraica
della città estense (di cui egli stesso faceva parte) durante il regime
fascista. Ho letto in questi giorni “L’airone”
– il romanzo che si aggiudicò il Premio Campiello nel 1969 – e devo dire che
sono rimasto particolarmente colpito dal suo disincantato protagonista - l’avvocato
Edgardo Limentani – che simbolizza il
profondo malessere esistenziale dell’uomo, tematica al centro della narrativa
dello scrittore ferrarese. E mentre leggevo, mi sono ricordato di un altro
personaggio della letteratura così somigliante all’avvocato Limentani: quel Meursault incontrato tra le pagine del romanzo di Albert Camus “Lo straniero”. Costui è un modesto e
oscuro impiegato che vive ad Algeri il quale si fa arrestare e processare senza
battere ciglio, dopo aver ammazzato per futili motivi un arabo che nemmeno
conosce. Il personaggio di Bassani, invece, è un ricco proprietario terriero
che in una nebbiosa e fredda domenica del 1947 (la storia è tutta incentrata
nell’arco di questa giornata) decide di riprendere una sua antica passione
abbandonata da tempo: la “caccia in botte” nelle valli della bassa ferrarese. Sebbene
le vicende narrate nei due romanzi sopra menzionati siano molto diverse, entrambi
i protagonisti sono accomunati dallo stesso disagio esistenziale, e vivono
nella più completa apatia verso se stessi e il mondo che li circonda,
trascinandosi in uno stato di indifferenza, di pigrizia, di solitudine e di
estraneità. L’atmosfera che si respira nei due libri messi a confronto – raccontati
attraverso il monologo interiore del protagonista – è mesta e rassegnata. Sia Meursault che Limentani, animati quasi da una tensione surreale, sembrano
accettare passivamente gli eventi che accadono; sembra quasi che i fatti e le
persone che hanno a che fare con loro li allontanino sempre di più dalla realtà
delle cose.
Seguiamo passo dopo passo il
protagonista del romanzo di Bassani – dall’istante in cui si sveglia ed esce di
casa fino al suo rientro a tarda sera - nel suo lento itinerario alla guida
della sua vecchia Aprilia, tra le valli nebbiose ed incerte della bassa padana.
I suoi tempi, le sue azioni, i suoi movimenti sono descritti in maniera
meticolosa e scanditi ossessivamente dal suo orologio. In questa lunga ed estenuante
giornata l’avv. Limentani non fa altro che delirare; sembra che non ci sia più
niente che non lo irriti, che non lo ferisca, che non lo disgusti: la caccia,
il freddo, il pranzo in una bettola gestita da un fascista, l’incontro con un
cugino che non vedeva da tempo, i paesi avvolti nella nebbia.
“Come
erano tranquilli e beati gli altri, tutti gli altri –
pensava – come erano bravi a godersi la
vita”. Lui invece era disgustato di se stesso e e della propria esistenza. E
tutto sembrava mescolarsi e confondersi, perfino il tempo, quello dei minuti e
delle ore, pareva non contasse più nulla. E allora “dopo aver deciso quello che aveva deciso” di fare una volta
ritornato a casa - dove lo aspettava una moglie che “sapeva recitare con compunzione la sua parte di dama della più eletta
società cittadina”, mentre lui ancora non riusciva a capacitarsi di come avesse
potuto sposarla – finisce per identificarsi in un airone imbalsamato, osservato
al di là della vetrina di una bottega di un impagliatore di uccelli. E di
fronte a quelle bestie “magnifiche tutte
nella loro morte, più vive che se fossero vive”, si sente finalmente felice
tanto da comprendere quanto fosse “stupida,
ridicola, grottesca , la vita, la famosa vita, a guardarla dall’interno di una
vetrina di imbalsamatore. E come ci si sentiva bene, immediatamente, al solo pensiero
di piantarla con tutto quel monotono su e giù di mangiare e defecare, di bere e
orinare, di dormire e vegliare, di andare in giro e stare, in cui la vita
consisteva! Per la prima volta, forse, da quando era al mondo, gli capitava di
pensare ai morti senza paura”.
A lettura ultimata, che ti
lascia addosso una indicibile mestizia, viene spontaneo domandarsi: può
considerarsi bello da leggere un libro che racconta un dramma esistenziale? Per
me la risposta è si, quando l’autore, attraverso una narrazione struggente e
malinconica - e le pagine conclusive del romanzo (che da sole valgono la
lettura) ne sono la testimonianza – riesce ad esprimere sensibilità e capacità
espressiva che lasciano un segno indelebile nell’animo del lettore.
rispondo, anch'io come te, sì alla domanda che poni: qualunque dramma, disagio, infelicità tratti un romanzo scritto e strutturato bene, il libro sarà senza dubbio un bel libro.
RispondiEliminami attira molto questo romanzo di Bassani, me lo segno anche se temo che non sarà facile trovarlo
massimolegnani
Questo libro è stato ristampato più volte; credo che non avrai difficoltà a trovarlo. Buona lettura :)
EliminaMi chiedevo come stessi Pino ,spero che non sei rimasto intrappolato dentro la città ...mai come adesso la campagna e gli ulivi sarebbero il posto migliore in cui stare ...quella casa tanto agognata .
RispondiEliminaBrutta storia vero ?Qualche post fa si parlava della "folla" e della corsa all'invenzione di un nuovo vaccino per debellare la nuova malattia ,ma questa volta la "malattia" si sta portando tantissime anime ...Se esiste l'immunizzazione di tale virus per chi ne è gia stato contagiato
forse più che vaccino bisogna adoperarsi al volontariato di turno ,per sostituire in modo più veloce o affiancare chi cerca di salvare e chi cerca di essere salvato!...brutta storia e chissà se tu non ti stia adoperando con un post che tratti l'argomento...è anche un modo per sentirsi uniti chissà!
Spero stiate bene tu e la tua famiglia...
L.
Si sto bene e grazie di cuore per le tue parole. E' proprio così - mia cara Linda - sono rimasto intrappolato dentro la città che, in una situazione estrema come questa (e chi mai se l’aspettava!) si è trasformata in una sorta di prigione. Certo, al paese, in campagna tra gli ulivi – anche se pure lì il problema sussiste e non va sottovalutato – avrei potuto usufruire di altri spazi. Però io sono rispettoso delle regole, della salute mia e degli altri, e me ne sto chiuso in casa: esco solo per fare la spesa, come tutti, aspettando che questo momento così terribile passi quanto prima. Parlavi della folla e di quel mio post precedente che trattava proprio di questo argomento: ecco, mai come in queste ore che stiamo vivendo, dobbiamo cercare di evitarla, la folla. Per il bene di tutti. No, non vorrei parlare del coronavirus (il mio prossimo post lo sfiorerà soltanto) per non aggiungere altre parole ai fiumi di parole che ormai scorrono senza tregua in questi giorni di attesa, di allarmi e di paure. Vorrei aggiungere solo una cosa: la situazione di grave emergenza che stiamo vivendo ci ha fatto scoprire – per la prima volta – la nostra estrema fragilità, minando il nostro equilibrio e le nostre certezze. Costretti a rimanere chiusi in casa e impossibilitati a svolgere le nostre abituali, quotidiane occupazioni (scuola, lavoro, divertimenti, ecc.), ci siamo trovati a dover gestire lunghe ore di ozio a cui non eravamo preparati. La tecnologia, oggi, con tutti suoi innumerevoli strumenti informatici – in primis il cellulare - invece di liberarci, ci rende sempre più schiavi e occupati. E allora, quando il tempo a nostra disposizione si allarga a dismisura – come in questa situazione - e non possiamo più utilizzarlo come vorremmo, ci assale inesorabile la noia e la disperazione. Sarebbe una buona cosa se la scuola, la società con le sue istituzioni, potessero intervenire con ogni mezzo per educare e raffinare il comportamento di ognuno di noi, e soprattutto quello delle nuove generazioni, affinchè, in un prossimo futuro, si possa sfruttare con intelligenza e buon senso il tempo a nostra disposizione. Si, proprio quel tempo che è diventato un valore economico, una merce che ha un prezzo altissimo: e qualcuno vorrebbe rubarcelo. Ciao e buona serata
EliminaVorrei aggiungere solo una cosa: la situazione di grave emergenza che stiamo vivendo ci ha fatto scoprire – per la prima volta – la nostra estrema fragilità, minando il nostro equilibrio e le nostre certezze."
RispondiEliminaVerissimo ci siamo un po ritrovati a scoprire qualcosa in poco tempo come se vivessimo nelle pagine scritte di un libro , tanto per collegarci nella descrizione del tuo post ...una situazione che accade nell'arco della giornata ...e una situazione precipitata in pochi giorni ,senza averne il controllo o impedirne la causa.
Si vive un evento surreale ed è un atto anche di manifestazione tra capacità ed incapacità di trarne un senso spirituale,come intento di donare all'umanità una possibilità' di scelta
se rimanere "aironi imbalsamati o migratori" ...attivi o passivi ... impediti fuori dai loro confini. Adesso con tutta la gravità della situazione bisogna sottoporsi anche ad un certo tipo di ascolto interiore un po forzato ...e il mio sentire mi fa avvertire la paura di chi non si è mai trovato davvero solo con se stesso e di non poter o saper accettare quel "vuoto interiore,imbalsamato" e colmato dai rumori e dalle routine da tutto quel che era un esistenza fuori da se stessi!
Forse sulla tecnologia si avrà una nuova consapevolezza che magari può portare ad un più corretto uso e non abuso della stessa !Come se da questa situazione di disagio e sconforto ognuno deve fare la sua parte e in un certo senso la natura delle cose e delle persone avrà la sua forma di riscatto ...Credo sia il momento in cui esce la vera nostra essenza in bene e in male ...ma di certo porterà ad una nuova forma di consapevolezza !
Ho brividi a pensare quante persone in pochi giorni sono venute a mancare ,perdonami ma approfitto come da altre parti di questo tuo spazio, esprimendo un pensiero di solidarietà ai loro cari ...avrà di certo un senso tutto questo a cui non è dato sapere in questa esistenza terrena .Ecco si volta pagina in fretta in questi giorni,alternando il conteggio fra numeri di morti e numeri per il ripristino economico.
Perdonami ,temo di essere ricaduta in quella retorica su cui cerchi anche tu stesso di evitare .
Grazie e buona serata!
L.
Grazie per le tue parole, che io condivido. Ricordo che mio nonno, ed in seguito anche mio padre, dicevano sempre quando affrontavano qualche discorso: "prima della guerra" oppure "dopo la guerra". La propria esistenza, nel bene e nel male, era contraddistinta da questi due diversi momenti esistenziali: il prima che inglobata anche il "durante" - fatto di ristrettezze economiche, di sacrifici, di miseria, di morti, ed il dopo che annunciava invece una sorta di rinascita economico-sociale. Oggi anche noi - cittadini di un mondo ricco e globalizzato - che fino ad ieri credevamo di essere onnipotenti e inattaccabili, abbiamo la nostra guerra, molto più subdola e ci ritroviamo a dover parlare di un "dopo il coronavirus" che non potrà più essere come il "prima" perche ne usciremo totalmente cambiati nel modo di agire, segnati profondamente nel corpo e nella mente. Buona giornata, L.
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