Il treno è una visione laterale della vita; non
fai in tempo a vederla ed è già passata.
(Paolo Rumiz)
(Paolo Rumiz)
Mi servo abitualmente del treno
per i miei viaggi più lunghi: è il mezzo di trasporto a me più congeniale. Meglio
della macchina: stando alla guida, mi snerva e non mi permette di fare altro; meglio
del pullman: lo trovo troppo angusto; meglio dell’aereo, su cui non ho mai
messo piede: al solo pensiero che un simile mostro, con un carico di diverse
centinaia di persone, possa volare a diecimila metri di altezza ad una velocità
di ottocento Kmh, mi provoca angoscia e inquietudine.
Allora, cosa c’è di più bello,
di più romantico, di più affascinante di un treno, che procede nel paesaggio
senza inquinare, mentre noi seduti comodamente in uno scompartimento facciamo vagabondare
i nostri pensieri e la nostra immaginazione. E penso che nessun altro mezzo di
trasporto, meglio del treno, sia così adeguato a quel dialogo interiore che intraprendiamo
con noi stessi, proprio nel momento in cui saliamo a bordo; dialogo che trae sostegno
ed impulso anche dal paesaggio che scorre davanti ai nostri occhi, come lo
scorrere di una sequenza di diapositive. Il treno, con quel suo sferragliare cadenzato
sui binari, ha la straordinaria capacità di elevarci in uno stato di magica suggestione,
che ci allontana dai nostri affanni quotidiani e ci indirizza verso riflessioni
ed immagini che non potrebbero mai affiorare in circostanze diverse. Soli, con
i nostri pensieri, con un libro da leggere e magari con qualche genere di
conforto alimentare da utilizzare all’occorrenza, iniziamo il viaggio
consapevoli di avere davanti a noi un lungo spazio vuoto da riempire a nostro
piacimento, senza che nessuno possa disturbarci. Certo, dobbiamo fare i conti
con i nostri compagni di viaggio i quali non sempre sanno condividere ed
apprezzare quella dimensione intimistica che sembra ormai sparita dalla nostra
vita: il silenzio. Lo ammetto: io sul treno difficilmente amo attaccare bottone
con i miei dirimpettai. Anzi, se vedo che lo scompartimento in cui mi trovo è troppo
“rumoroso” per i miei gusti - potendolo fare - cambio immediatamente posto. So
di infrangere quell’antica convinzione secondo la quale il treno è un mezzo che
favorisce la socializzazione tra gli individui. E’ pur vero, però, che non
sempre si ha la fortuna di incontrare persone stimolanti con cui poter fare una
piacevole conversazione. E allora, meglio il silenzio: per poter pensare
osservando il panorama, per poter leggere o dormire, per poter lavorare al
computer o guardare un film. Che il treno abbia un fascino particolare è
innegabile: quanta letteratura corre sui binari! Quante immagini di treni e di
stazioni sono entrate nell’arte! E quanto cinema si è servito del treno per la
ripresa dei suoi film.
Facevo queste riflessioni
mentre mi trovavo su un treno Intercity di Trenitalia - uno dei pochi ancora in
circolazione, non soppresso in favore dell’alta velocità – in partenza dalla
stazione di Roma Termini alle ore
9.26. Mi stavo recando nel Cilento, nel mio paese d’origine: l’ennesimo
“viaggio non viaggio” che faccio su questa tratta con una cadenza quasi mensile,
e che si ripete ormai da tantissimi anni sempre con rinnovato piacere. Sono miei
compagni di viaggio, nello scompartimento: una ragazza che non alzerà mai gli
occhi dal suo smartphone ultimo modello; poi un signore sulla cinquantina che,
dopo aver acceso il suo telefonino - come un accanito fumatore accende la sua sigaretta
– esordisce con la sua prima telefonata ad alta voce, facendo sapere che è
arrivato in stazione e sta già sul treno; e infine due turisti giapponesi che
parlano piano una lingua a me incomprensibile, i quali iniziano immediatamente
a “selfarsi”. Partiamo. Il treno inizia la sua corsa parallela alle arcate di
un antico acquedotto romano, prima di insinuarsi nella splendida campagna
romana tappezzata di vigneti. E’ quì che nasce l’ottimo vino dei castelli
romani. La vista è piacevole e rilassante ed invita alla meditazione. Alla
lettura. In lontananza si scorge un gregge di pecore: fino a quando vedremo
ancora questi docili animali, si potrà ben sperare sulle sorti di questo nostro
pianeta, sempre più oltraggiato. Devo dire che pur percorrendo questa linea da
tanti anni, mi capita ancora di notare – per la prima volta – nuovi scorci panoramici.
Come quella villetta isolata sulle pendici di un monte, simile ad un eremo, che
mi fa pensare al suo proprietario il quale, probabilmente, non è per niente attratto
dalla vicinanza degli uomini. Arriviamo a Latina:
dalla stazione è ben visibile, su uno
sperone roccioso, il suggestivo borgo medioevale di Sermoneta, incastonato tra i monti Lepini ammantati di verde, con il suo maestoso castello Caetani. Panorama
suggestivo, ma non interessa granché ai miei compagni di viaggio che continuano
a smanettare sui loro cellulari. Solo i turisti giapponesi – che ogni tanto mi
guardano sorridenti e felici - filmano tutto attraverso il finestrino. Di tanto
in tanto interrompo la mia lettura e mi lascio conquistare dal mondo esterno che mi arriva dal
finestrino e che cambia in continuazione. Da questa comoda prospettiva posso divagare
e riflettere su brevi spaccati di vita quotidiana che mi scorrono davanti, e spariscono:
delle donne che raccolgono verdura in un campo; un contadino che lavora con il
suo trattore e al passaggio del treno alza la mano in segno di saluto; il
traffico lungo una strada che si snoda affiancata ai binari; un ciclista che
percorre un sentiero di campagna; un uomo che zappetta nell’orto; uno spicchio
di terreno sottratto ad una boscaglia e coltivato a olivi; e poi case isolate,
ponti, piccoli borghi arroccati sui monti, ancora vigneti e uliveti, passaggi a
livello dismessi lungo la linea, piccole stazioni… tutto si alterna e sembra
sfuggire allo sguardo. Ma il treno si muove con la velocità sufficiente ad
evitare la mia irritazione e con la lentezza adeguata per consentirmi di
riconoscere e catturare ogni cosa, ogni particolare di vita che lascio alle
spalle.
Attraversiamo l’agro Pontino,
un tempo regno delle paludi bonificato dal regime fascista, con le stazioni di Priverno, Fondi-Sperlonga e Minturno. L’arrivo
nella stazione di Formia l’apprendo
dall’immancabile telefonata del signore cinquantenne: mi tiene aggiornato, è
come ascoltare “tutto il viaggio minuto per minuto”. Intanto sbircio sullo
smartphone della ragazza che mi siede accanto: è impegnata in una sorta di
battaglia navale dove delle figure mostruose vengono abbattute a cannonate
(almeno così pare). Intanto i turisti giapponesi, sempre sorridenti e felici,
continuano a filmare il paesaggio esterno. Si, perché sulla nostra destra si
può ora ammirare lo splendido Golfo di
Gaeta con l’omonima cittadina adagiata sul mare. Quella vista mi riporta
alla vacanza fatta la scorsa estate proprio a Gaeta, sulla bella spiaggia di Serapo.
Dopo circa un’ora di viaggio, la sagoma del Vesuvio
che si staglia dinanzi ai nostri occhi ci fa capire che stiamo per arrivare a Napoli. La comodità del treno, rispetto
agli altri mezzi di trasporto, è che arriva sempre nel centro cittadino. A
Napoli c’è tempo per un caffè e una sfogliatella. Intanto la ragazza, sempre
china sullo smartphone è scesa, come pure i turisti giapponesi, sempre sorridenti.
Ripartiamo. Il signore cinquantenne fa l’ennesima telefonata per avvertire (la
moglie?) che il treno è in perfetto orario. Mi tranquillizzo. Arriviamo a Salerno in poco più di mezz’ora, dopo
aver percorso la galleria di Santa Lucia,
che da Nocera sbuca proprio in
stazione dopo oltre dieci chilometri: si intravedono scorci del suo bellissimo
lungomare. Riprendiamo la corsa verso Battipaglia
percorrendo la piana del fiume Sele -
delimitata a nord dalle propaggini dei monti Picentini - costellata di serre sotto le quali si coltivano
pomodori, zucchine, peperoni e altri ortaggi. Superiamo il fiume Sele attraverso un ponte di ferro (inaugurato
sul finire dell’800), nei pressi di Ponte
Barizzo e ci dirigiamo verso Paestum,
l’antica e potente città della Magna Grecia, racchiusa tra le sue ciclopiche mura
di travertino. Non lontano dalla stazione si intravedono i suoi famosi templi
dedicati a Nettuno, Hera e Cerere. Riaffiorano
in me lontane reminiscenze scolastiche. Guardando a sinistra della stazione, si
può scorgere la sagoma dell’antica basilica della Madonna del Granato che sorge sul promontorio del monte Calpazio, dalla cui vetta si lanciano
gli appassionati di parapendio. Bastano soli pochi minuti per arrivare ad Agropoli - una delle perle del Cilento -
che si rivela in anticipo alla nostra vista con il suo mare cristallino e le
sue ampie spiagge di sabbia fine che si distendono fin sul lungomare di San Marco. E’ la mia stazione di arrivo
che mi fa rientrare - dopo circa 3 ore e trenta minuti di incantamento
ferroviario e fuga dalla realtà - nei miei consueti abiti mentali. Raggiungo in
macchina, in dieci minuti circa, il mio paesello che sta su in collina, “disteso
come un vecchio addormentato”. Come recitava una vecchia canzone del passato.
Prendo poco il treno, preferisco la macchina. Però ho apprezzato il tuo elogio appassionato. Mi è piaciuto questo “viaggio non viaggio”, durante il quale hai lasciato scorrere lo sguardo tra il mondo esterno, visto di sfuggita attraverso il finestrino, e quello interno racchiuso in quel microcosmo che è lo scompartimento di un treno. Ed hai fatto viaggiare i pensieri e l’immaginazione in un susseguirsi di immagini e sensazioni, che toccano certamente la tua sensibilità e la tua visione del mondo. Piero
RispondiEliminaGrazie, Piero, per le tue belle parole di apprezzamento. E grazie per aver colto l’essenza di questo mio post.
EliminaInteressanti e romantiche riflessioni queste sul viaggiare in treno, riflessioni che mi troverebbero molto più concorde se non ci fossero spesso disagi e ritardi.
RispondiEliminaConcordo con te: quando si viaggia in treno spesso ci sono disagi e ritardi. Però questa volta, volutamente, l'ho tenuti fuori altrimenti le "romantiche riflessioni" sarebbero state poco romantiche. :-) Devo dire, comunque, che quel treno arriva quasi sempre in orario. Ed è pulitissimo.
Eliminasei un Viaggiatore autentico, anzichè uno che si sposta nel più breve tempo possibile e tra partenza e arrivo non vede nulla.
RispondiEliminastupendo questo brano, incantevole questo viaggio.
masimolegnani
Le tue parole, Carlo, mi procurano un grande piacere. Grazie davvero! Vedi, il “viaggiatore” del passato che percorreva la sua strada quasi sempre in solitudine e si deliziava delle cose che incontrava in itinere, oggi si è trasformato in “turista” che aspira a riunirsi in gruppo, ad essere guidato da una guida turistica e portato in giro come un pacco; e soprattutto desidera arrivare alla meta il prima possibile, senza soste intermedie. Così facendo, rincorrendo la velocità anziché farsi condurre dalla lentezza, rinuncia a tutte quelle belle cose che si trovano lungo quel segmento di viaggio delimitato dai due punti estremi: la partenza e l’arrivo. Siamo interessati all’arrivo e non ci interessano più le emozioni e le sorprese che potremmo incontrare lungo il percorso. Un caro saluto e buona serata
EliminaGrazie Pino!
RispondiEliminaAdesso,attraverso questo tuo viaggio fuori e dentro ... ho la certezza di cosa sia una pianta grazie alle sue radici!
Capisco molto bene quel tuo "sentire"...
Se vai qualche post indietro ,trovi il "vuoto"... In quel vuoto c'è una piccolissima parte di verità!
P.s
So cosa è un abbacchiatore :-)
L.
Diceva Tolstoj che noi moriamo soltanto quando non riusciamo più a mettere radici negli altri...ma l'abbacchiatore non è una radice :-) :-)
EliminaTolstoj vedeva giusto e se fosse oggi presente a dire la sua ,in questo post ,si accingerebbe a scrivere un altra sua opera sugli incontri tra anime con le stesse radici !
RispondiEliminaL'abbacchiatore non è una radice :-) è uno smartphone che tortura la pianta,è un invenzione umana per velocizzare il lavoro e il tempo,oppure per dimenticarsi dell'uno e dell'altro :-)...insomma un buon sistema per non pensare di essere un
"automa"!
A parte gli scherzi ed il sorriso bello,perché spontaneo...hai scritto un post che rapisce l'anima in chi ti siede accanto e viaggia nel tuo mondo interiore.Per questo ti ringraziavo e ti ringrazio ancora...ciao
L.
Grazie a te, L., per le tue belle parole, sei troppo gentile. Buona serata
EliminaAmo anch'io il viaggio in treno, fatto di passaggi ed attraversamenti, mai di ingressi a catapulta, fatto di successioni di luoghi e di ambienti, che scorrono senza urtarsi tra loro. E i pensieri dietro al finestrino, mentre il paesaggio scorre, sono spesso frutti da cogliere...
RispondiEliminaMentre i luoghi scorrono "senza urtarsi tra loro", viaggiano leggeri i nostri pensieri. Un saluto e un sorriso...
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