Luciano Bianciardi può essere di
sicuro considerato uno dei più accesi fustigatori dei mali della società dei
consumi e della modernità. Di lui hanno scritto che è stato il primo arrabbiato
che si incontri nella letteratura italiana del dopoguerra ed anche uno dei pochi scrittori italiani ad avere intuito
in quale burrone stesse precipitando il Paese, frastornato dal cosiddetto boom
economico.
Di idee anarchico-socialiste, mi
ricorda in qualche modo lo scrittore e filosofo francese Albert Caraco, morto
suicida lo stesso anno in cui morì Bianciardi; anche il pensatore transalpino,
in un suo celebre libro intitolato “Breviario del caos” – in una maniera molto
più dura e nichilista - muoveva una
feroce critica alla civiltà consumistica dell’Occidente, con tutte le sue
contraddizioni, le sue ingiustizie, i suoi falsi idoli e si scagliava con
parole violente contro le città, sempre più disordinate e invivibili, diventate
i nostri incubi quotidiani, soffocate dal frastuono e dal tanfo.
Il libro di Bianciardi prende lo spunto da una
vicenda realmente accaduta negli anni 50 in un paesino della provincia di Grosseto
(lo scrittore era appunto di Grosseto), dove 43 operai di un’industria chimica
trovarono la morte all’interno di una miniera di lignite, a seguito di una
esplosione causata dal mancato rispetto delle norme di sicurezza. Il
protagonista, deciso a vendicare le vittime del grave incidente, si trasferisce
a Milano con l’intento di far saltare con la dinamite il palazzo dove ha sede
la dirigenza dell’industria. Consegue un lavoro come traduttore in una casa
editrice (nel frattempo dovrà pur vivere) e accarezza l’idea di poter trovare
anche degli alleati - tra gli operai e gli impiegati che abitano la grande
città - per portare a termine il suo
progetto dinamitardo contro il potere. Ma presto dovrà arrendersi a quest’idea
rivoluzionaria perché anche lui verrà ingabbiato nei ritmi alienanti della metropoli,
come già era successo ai suoi abitanti. Attraverso questo suo fallimento
riconosce che l’epoca degli anarchici è storicamente superata e che i colpi di
mano isolati non hanno mai avuto seguito; la lotta è delle masse, ma le masse
che abitano la città sono interessate ad altro, sono attratte dalle facili
illusioni del nascente consumismo.
In questo libro - scritto con
sferzante ironia, ma anche con piacevole eleganza - ritroviamo tutti quei temi
che verranno poi ripresi dai giovani contestatori della società borghese e
consumistica degli anni successivi al boom economico, quali l’alienazione e la
solitudine delle folle metropolitane, il caos del traffico automobilistico, la
ripetitività sconsolante del lavoro d’ufficio, il rifiuto del “sistema città”.
E' un libro che ho letto tanti anni fa. Dovrei rileggerlo. S.
RispondiEliminaI libri buoni hanno lunga vita e non si abbandonano mai.
EliminaLetto tanti anni fa.
RispondiEliminaLo hai forse letto negli anni delle contestazioni giovanili?
EliminaLa mia giovinezza (che risale agli anni '90) non è stata particolarmente contestata.
Elimina...quindi, una giovinezza fortunata (sorrido)
EliminaInteressante, ma di questi tempi leggere mi è assai faticoso.
RispondiEliminaA volte, proprio attraverso la lettura, si riescono a superare i momenti di difficoltà
Eliminanon conosco il libro e in verità nemmeno Bianciardi. Ma da quello che racconti trovo qualche assonanza con il romanzo che sto leggendo ora (Meccanica celeste di Maggiani): ambientato appena più a nord, sull'entroterra di Carrara, anche lì anarchici che vorrebbero attentare ai re ma poi finiscono per far fortuna in Argentina e a Londra, pur non rinnegando i loro ideali.
RispondiEliminaCurioso, non ti pare?
massimolegnani
Conosco Maggiani, anche se non ho letto Meccanica celeste. E se ci sono delle assonanze tra i due libri è probabilmente perché i due autori (Bianciardi e Maggiani), anche se diversi, in qualche maniera si somigliano: per la loro fede anarcoide e per la loro particolare visione del mondo e della vita. Ciao Carlo
EliminaHai fatto bene a ricordare questo scrittore che, come tanti altri grandi degli anni 60/70, è stato un po' dimenticato. Facevo l'università quando lessi La vita Agra e credo che questo libro sia ancora nella mia biblioteca. Dunque significa che mi era piaciuto.
RispondiEliminaCiao Remigio.
Nicola
Nel suo genere è un libro fondamentale, che occupa il suo giusto spazio anche nella mia libreria. Ciao Nicola
EliminaPer certi versi Bianciardi mi ricorda Pasolini: sembra quasi averlo preceduto di un decennio in certe tematiche sul corrompimento e sulla morte della speranza.
RispondiEliminaLo sguardo dei due scrittori si è posato su tempi e ambienti diversi, (benché sempre proletari per dirla con una parolaccia ormai impronunciabile...) e sono stati gli anni 50 e l'ambiente operaio per Bianciardi, il decennio successivo e l'ambiente delle periferie-baraccopoli romane per Pasolini (ovviamente sto prendendo a riferimento per quest'ultimo il periodo di "Ragazzi di vita").
Entrambi hanno osservato il disfacimento rapidissimo di realtà e di speranze, nonché di certe forme di innocenza mai più recuperabili.
Ad accomunarli nelle loro osservazioni sembra esserci la stessa intuizione: l'approssimarsi della sconfitta e la perdita della speranza (e qui speranza vale come innocenza, capacità di credere in un cambiamento possibile, coscienza civile...ops! ho detto un'altra parolaccia!).
Tante volte ho pensato a quanto amara ed insopportabile dev'essere stata la delusione e il senso di sconfitta irreversibile per quanti, usciti dalla guerra e dal fascismo con tutte le speranze possibili, si sono visti disfare sotto agli occhi ogni cosa.
Ai due citati aggiungerei anche, e proprio ricollegandomi al tema della "delusione civile",Beppe Fenoglio, che della storia partigiana fu diretto testimone e attore.
La tua analisi è davvero interessante e stimolante. Ti ringrazio per questo tuo contributo. Si, in qualche modo Bianciardi può essere accostato a Pasolini; credo addirittura che abbia anticipato lo scrittore friulano quando sosteneva che il consumismo e il conformismo, legati appunto alla modernità, avrebbero ingabbiato negativamente le masse metropolitane. Due giganti della letteratura che hanno saputo raccontare, con anticipo, quello che siamo oggi.
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