La sorella di Sàndor Màrai è un lungo e doloroso viaggio introspettivo
nell’universo delle sofferenze umane. La prosa è sempre quella che
contraddistingue lo scrittore ungherese: sontuosa, elegante, bella da leggere e
da gustare. E nonostante la tematica possa in qualche misura allontanare piuttosto
che avvicinare il lettore (la malattia terrorizza l’uomo
più della morte), io credo che il libro si presti comunque ad una lettura molto
coinvolgente. La malattia, quale condizione dell’umana esistenza, viene sempre vissuta
come un trauma da chi la subisce, è vista come una specie di frattura che rompe
un equilibrio consolidato generando ansia e angoscia. Quando ci si trova in un
letto d’ospedale a combattere contro un male, quando si ha la sfortuna di avere
questa sorta di incontro ravvicinato con la morte - perché la vita in certe
situazioni è legata veramente ad un filo - allora, in quelle occasioni, quando
tutto sembra irrimediabilmente perduto, la vita che abbiamo sempre conosciuto
acquista un sapore strano e passa quasi in secondo ordine.
La prima parte del libro racconta
l’incontro, in un alberghetto di montagna in mezzo ai monti della Transilvania,
tra uno scrittore (che potrebbe essere l’alter ego dell’autore ungherese, voce
narrante del romanzo) ed il celebre musicista chiamato Z., osannato dalle
platee dei più importanti teatri del mondo, un uomo colto e raffinato, attratto
da tutto ciò che avesse a che fare con l’arte e la bellezza. I due uomini si
rivedono dopo tanti anni e sembra quasi che l’incontro riparatore e tardivo,
suggellato dalla lunga attesa, sia un tema molto caro all’autore, tant’è che
già nel suo primo e più importante romanzo “Le
braci” i due protagonisti principali si rivedono dopo oltre 40 anni, per
cercare di ricucire un’antica amicizia bruscamente interrotta.
Attraverso l’esperienza di vita
comunitaria vissuta dagli ospiti di quella pensione di montagna, lontana dai
clamori e dalla realtà, affiorano gli aspetti più nascosti della personalità
umana. Succede che quando gli uomini si trovano a convivere in una situazione
di isolamento, perfettamente estranei gli uni agli altri, oppressi dalla noia e
dall’insofferenza, non possono fare a meno di mostrare i lati più deprecabili
del loro carattere. Il libro presenta pagine di straordinaria bellezza
stilistica, ci consegna atmosfere e
riflessioni sulla condizione dell’umana esistenza, soffermandosi su quella
forza che muove il mondo degli uomini, che è la forza del sentimento dell’amore
e della passione. “Non posso credere”
– dice la voce narrante del libro “che
delle persone sane di mente, dotate di autocontrollo, possano cedere alla
tirannia della passione. Non posso rassegnarmi al fatto che esistano sentimenti
capaci di travalicare la ragione”.
Nella seconda parte del romanzo
irrompe nella narrazione la malattia. Ricoverato in un ospedale di Firenze,
quella Firenze che al solo pronunciare il suo nome gli faceva battere il cuore,
il grande musicista Z., privato ormai della sua arte, si ritrova a combattere
la sua personale battaglia contro la sofferenza, amorevolmente assistito da
quattro suore, “depositarie del segreto
di mille e mille tormenti, umiliazioni, miserie umane”. E in questa
condizione di estrema debolezza, completamente dipendente da quelle quattro
creature femminili, “che non parlavano di
nulla, ma sorridevano, tacevano e assistevano”, il protagonista, attraverso
un disperato monologo interiore, s’interroga sulla sua esistenza. Era stato un
uomo che aveva frequentato i migliori salotti e che nelle sale di concerto “aveva vinto il temibile mostro della
musica”. Ora, disteso in quel letto d’ospedale, sapeva di assomigliare a
quella figura soltanto in maniera approssimativa ed ambigua, perché non era
mutato solo il suo corpo, divorato dal male, ma la sua stessa anima.
condivido l'aggettivo che hai usato a proposito della prosa di Marai: sontuosa. Però aggiungerei, a volte estenuante, che ti tiene sul filo di un dettaglio finchè non l'ha sviscerato in tutti gli aspetti.
RispondiEliminamassimolegnani
(questo suo titolo non lo conosco, lo tengo presente)
E' vero : a volte la sua prosa è estenuante. C'è da dire però che è una tecnica narrativa che solo i grandi sanno usare. Ciao Carlo
EliminaL'ho letto. Un libro molto intenso, scritto benissimo. S.
RispondiEliminaSono d'accordo. Grazie S.
EliminaQuesto libro di Marai mi manca.
RispondiElimina...e allora corri subito in libreria :-)
EliminaDi Marai ho letto solo "L'isola" e, se non ricordo male, mi era piaciuto il suo modo di scrivere, molto evocativo e in grado di creare un'atmosfera di mistero e di attesa.
RispondiEliminaNicola
"L'isola" non l'ho letto. L'attesa è un tema ricorrente dei suoi libri
EliminaDi questo scrittore ho letto tutto, credo, senza mai restare delusa.
RispondiEliminaQuesto libro lo vorrei rileggere, ricordo che mi era piaciuto molto.
E ti credo Silvia: per me Sandor Marai è uno dei più grandi scrittori del Novecento.
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaMi permetto di fare una critica a questo tuo passaggio:
RispondiElimina"quando si ha la sfortuna di avere questa sorta di incontro ravvicinato con la morte - perché la vita in certe situazioni è legata veramente ad un filo - allora, in quelle occasioni, quando tutto sembra irrimediabilmente perduto, la vita che abbiamo sempre conosciuto acquista un sapore strano e passa quasi in secondo ordine"
Me la permetto perché io in quella condizione ci sono passata e posso dirti che la vita non passa affatto in second'ordine, anzi, e che le considerazioni esistenziali grandi e importanti, che nascono spontaneamente in quel tipo di situazione, ti riconducono solo all'importanza della vita stessa, alla necessità di riconoscerle il valore che, forse per distrazione o per "troppo benessere", non le hai riconosciuto prima. E' come una chiamata alla armi e la guerra è la tua, per te soltanto, non puoi sottrarti o delegare e, tranne in alcuni disperati casi, non pensi neanche lontanamente di sottrarti...per quale alternativa mai?
Venendo a Marai, del quale ho letto diversi titoli, ma non questo del tuo post, anch'io ne ho ammirato sempre la scrittura, e l'aggettivo "sontuosa" mi sembra davvero azzeccatissimo.
Tuttavia, per quanto mi riguarda, dopo l'entusiasmo provato leggendo i primi titoli ("Le braci" e "L'eredità di Ezster"), ho iniziato ad avvertire una certa stanchezza e ne ho rintracciato i motivi nella ripetizione, a mio avviso eccessiva, di certi temi, di un certo percorso narrativo, nel quale il re-incontrarsi dei personaggi ad anni di distanza per chiarire e svelare il passato e i sentimenti diventa un leit-motiv un po' ossessivo...e anche in questo titolo da te presentato vedo che torna lo stesso spunto...
Tuttavia, un bel po' di tempo dopo aver abbandonato Marai per i motivi che ho detto, ho avuto la fortuna e la pazienza di riaccostarmi a quest'autore attraverso il romanzo "La donna giusta". E ho avuto di che ricredermi.
Una rivelazione, finalmente un romanzo originale, giocato su di un genere di intreccio forse difficile, ma molto molto attraente : il romanzo dei romanzi. La vicenda narrata è originalissima e ben strutturata per varietà e complessità di temi e di contesti storici, ma la particolarità assoluta di questo romanzo sta nel fatto che la stessa vicenda viene raccontata quattro volte, in quattro versioni diverse, da quattro persone diverse: come dire quattro diverse visioni della realtà, tutte con uguale dignità e credibilità.
Ogni volta che cito "La donna giusta" non posso far a meno di ripensare allo schema narrativo di "Se una notte d'inverno un viaggiatore" di Calvino, e mi si perdoni l'azzardo, se di azzardo si tratta.
Vorrei innanzitutto ringraziarti per questo tuo bel commento che migliora e arricchisce notevolmente il mio post. Relativamente alla tua prima osservazione, io ho scritto che in certe situazioni di difficoltà e di malattia “la vita che abbiamo sempre conosciuto acquista un sapore strano e passa quasi in secondo ordine”. Forse mi sono espresso male, ma volevo dire che passa in secondo ordine non la vita, ma quell’errato “modus vivendi” che, per distrazione o altro, non ti permette di apprezzare la bellezza della vita insita nelle piccole cose. Quindi sono d’accordo con te. E poi è vero quello che scrivi circa le ripetizioni delle tematiche che incontriamo nei libri di Marai. E’ pur vero, però, che ogni autore ha le sue piccole o grandi ossessioni. Infine devo dirti che ho sentito parlare molto bene del romanzo “La donna giusta”: e tu me lo confermi. Ecco, se dovessi leggere un altro romanzo di Marai, credo proprio che quest’ultimo sarebbe quello giusto. Ciao :-)
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