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giovedì 13 dicembre 2018

Un libro sull'infelicità...e il piacere è assicurato



Facciamo di tutto per essere infelici: è forse la cosa che ci riesce meglio. D’altra parte i motivi non mancano mai: le ipocrisie della classe politica, gli effetti deleteri del tran tran quotidiano, il traffico della grande città, la spazzatura che ci sommerge, la crisi economica, gli anni che avanzano inesorabilmente, il lento disfacimento del corpo, ecc.

Facevo queste amare riflessioni mentre mi trovavo a gironzolare tra i banchi di un mercatino dell’usato, illudendomi di trovare qualcosa che potesse scacciare dalla mente quel mio temporaneo malumore. All’improvviso la mia attenzione è rivolta ad un libro, dal titolo tutt’altro che appetibile: “L’infelicità – Storia di una passione”. Considerato anche il mio stato d’animo, non sembrava affatto il balsamo della situazione. E’ pur vero che se dovessimo soffermarci solo sul titolo, certi libri apparirebbero autentici “mattoni” che non invogliano alla lettura. A volte può capitare, infatti, che per una serie di motivazioni psicologiche difficili da spiegare, o di pregiudizi duri a morire - che probabilmente nascono dal tema trattato, ma anche dalla dimensione del volume - almeno inizialmente si avverta una strana sensazione che ti fa pensare di non riuscire a portare a termine certe letture. Nonostante queste premesse, l’ho comprato senza indugi e a lettura ultimata mi viene da pensare che un libro ti può dare felicità anche se parla di infelicità. E’ un po’ come leggere una poesia di Leopardi, che sebbene contenga tutto il dolore di questo mondo, riesce tuttavia a trasmettere gioia in chi la legge (almeno al sottoscritto), grazie alla bellezza ed alla profondità dei versi e alla ricchezza delle immagini che sa creare. E poi, se proprio vogliamo fare un discorso leggermente egoistico: non esiste forse un sottile e cinico legame tra l’infelicità degli altri e il nostro personale piacere? Tutte le tragedie familiari che vengono trasmesse a puntate dai programmi televisivi, che generano angoscia e dolore in chi le subisce, non sono forse liberatorie per chi le guarda con eccessivo e morboso interesse?

“L’infelicità”, con quel suo sottotitolo che rimanda ad una passione, è un libro godibile, delicato e accattivante, scritto con leggerezza ed ironia da Armando Torno, giornalista e scrittore. Ci tiene a sottolineare l’autore che con questo testo non intende approdare ad alcun risultato, né a dare consigli per debellare le sofferenze che attanagliano  l’umanità; tanto meno è sua intenzione competere con i grandi del passato che si sono cimentati in dotte dissertazioni su tale tematica. Perché l’infelicità, scrive Torno, “la proviamo, la viviamo, la subiamo, ma non riusciamo però a conoscerla razionalmente”. E’ uno strano e impenetrabile sentimento che tutti i giorni “si incontra con gli uomini, frequenta le loro case, indugia nei loro pensieri”. L’hanno cantata i poeti, l’hanno raccontata gli scrittori, ne hanno discusso i sommi filosofi dell’antichità. Tutti i grandi animi hanno incontrato l’infelicità, chiamandola con nomi diversi e cercando di sconfiggerla, con le loro opere e con il loro esempio, senza però riuscirci.

E’ ormai risaputo, scrive l’autore, che l’infelicità aumenta di pari passo con la civiltà; ma pare che esista anche uno stretto rapporto tra l’intelligenza e l’infelicità. Nell’Ecclesiaste si legge “grande sapienza grande tormento, più intelligenza avrai, più soffrirai”. Anche Arthur Schopenhauer puntualizzava che “man mano che la conoscenza diviene più distinta e che la coscienza si eleva, cresce anche il tormento, che nell’uomo raggiunge quindi il grado più alto, e tanto più alto, quanto più l’uomo è intelligente; l’uomo di genio è quello che soffre di più”. Sembrerebbe, quindi, che la stupidità attenui l’infelicità e che non occorra particolare acume per essere felici. Davvero una magra consolazione: l’idiota non sa nulla ed è felice. Ma come si fa ad affievolire e combattere l’infelicità? Naturalmente non esiste un metodo preciso; l’uomo ha bisogno del piacere, uno dei pochi anestetici contro il dolore e le sofferenze che tanta infelicità gli procurano. Ma anche qui siamo dinanzi ad un enigma – afferma Armando Torno – perché ci si chiede cosa sia questo piacere che sa lenire i dolori dell’infelicità. A questo punto ci vengono in soccorso i filosofi: Aristotele, Epicuro. Montaigne e tanti altri. Ha scritto Eugenio Montale in Ossi di seppia che la nostra vita si svolge al di qua di “una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. Per Armando Torno quella muraglia si può chiamare con un nome più semplice: infelicità. Vale comunque la pena trarre giovamento da chi ha sofferto e ha conosciuto l’infelicità, perché nessuno meglio di chi è stato infelice può darci lezioni di quotidiana felicità.


8 commenti:

  1. L'infelicità va combattuta vivendo, perché è uno stato soprattutto mentale, più che fisico. Si può essere felici con molto poco, e tristi con tantissimo.
    Ad esempio leggerti con piacere procura felicità, di quella autentica. ;)

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    1. Grazie per le tue belle parole: ci siamo dati reciproca felicità :-)

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  2. Un post straordinario un vero mini saggio sul tema. Ho amato il tuo post tantissimo ed anche questo è stato un modo per godrete di un momento di felicità.

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    1. Sei troppo buono, Daniele. Grazie. Come diceva Franco, sopra, basta davvero poco per essere felici:un sorriso, una gentilezza, un commento positivo ad un post...

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  3. affascinanti le tue riflessioni nel presentare questo saggio.
    sono un cercatore di piccole felicità, le uniche che ci sono concesse e ogni volta che le trovo mi accorgo che queste sono rivestite da una patina di malinconia (perchè fugaci, perchè esterne alla vita quotidiana, perchè legate a una tristezza altrui) che le fanno assomigliare a piccole infelicità.
    massimolegnani

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  4. Grazie, Carlo. Apprezzo molto i tuoi commenti, perché aggiungono sempre qualcosa di nuovo alla riflessione e la rendono migliore. Quando parli di piccole felicità "legate a una tristezza altrui" - rimanendo nel campo artistico - mi vengono in mente alcuni dipinti di Hopper da cui traspare la solitudine dell'uomo (che poi è anche la nostra) celata dietro le cortine delle finestre, lungo una strada assolata di periferia o in una stazione ferroviaria. Ebbene, nonostante l'artista ci parli di tristezza e sveli quella patina di malinconia nascosta nelle pieghe della vita di tutti i giorni, noi osservatori (tu diresti noi cercatori di piccole felicità), ne traiamo conforto tant'è che quella "tristezza altrui" dipinta sulla tela, come per magia, diventa la nostra felicità. La nostra gioia momentanea.

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  5. forse perché sto vivendo un periodo particolarmente triste e infelice della mia vita, il tuo post mi ha accarezzato un po’ l’anima.
    grazie

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    1. Grazie a te, Nina, e benvenuta qui. Che dirti...se le mie parole sull'infelicità hanno sortito un effetto positivo sul tuo animo, non posso che esserne felice. Un sorriso

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