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venerdì 23 giugno 2017

"A ciascuno il suo": un delitto tra corruzione, calunnie ed omertà nella Sicilia di Sciascia



Ho sempre visto  il “giallo” come un libro poco gradevole, con quella sua trama ricca di omicidi e di colpi di scena, di innocenti e di colpevoli, di commissari di polizia e di indagini giudiziarie. Non c’è stata mai attrazione tra me e lui, sebbene la nostra letteratura sia piena di romanzi gialli, da cui spesso vengono tratti film e sceneggiati televisivi. Leggendo “A ciascuno il suo” di Leonardo Sciascia (Adelphi editore), mi sono dovuto ricredere – almeno in parte – circa il giudizio negativo che avevo nei confronti di questo genere letterario, anche se è un giallo sui generis. E poi è stato scritto da un autore che si chiama Sciascia e non da uno dei tanti “noti pennivendoli” che imperversano oggigiorno in libreria, i quali - in virtù della loro popolarità televisiva - più che fare letteratura “gialla” hanno trovato il modo e il sistema per fare soldi, sostenuti da editori, anche importanti, che hanno ormai abdicato al loro ruolo di divulgatori culturali.

Il romanzo di Sciascia, ambientato in un paese della Sicilia negli anni sessanta, dipinge personaggi e situazioni, vizi e virtù di quella terra sempre presente nei racconti dello scrittore siciliano. Partendo da un duplice omicidio, che vede come vittime due persone apparentemente oneste, benvolute e di ragguardevole posizione sociale (un farmacista ed il suo amico dottore), Sciascia ci parla della sua Sicilia e delle sue ataviche contraddizioni, attraverso una carrellata di personaggi, rappresentativi di una società opportunista e corrotta che sembra immutabile nel tempo. Sono i notabili, quelli che maggiormente contano agli occhi del paese, quelli che anche di fronte ad un delitto, sembrano condannati a recitare un copione: il prete, l’avvocato, il notaio, il professore, il medico, il maresciallo dei Carabinieri. Pur mancando ogni indizio su quel duplice omicidio consumato alle porte di Palermo (tranne una lettera anonima fatta pervenire al farmacista, che gli annunciava la sua morte ) non c’era uno nel paese - scrive Sciascia “che non avesse già, per conto suo, segretamente, risolto o quasi il mistero, o che si ritenesse in possesso di una chiave per risolverlo”. Tra questi, il professor Laurana, insegnante di Italiano e Latino nel liceo classico del Capoluogo, personaggio chiave del romanzo il quale riteneva che, per risolvere il caso, fosse necessario partire da quella frase in latino “unicuique suum” (a ciascuno il suo) che era affiorata dal rovescio della lettera anonima, composta con parole ritagliate dall’Osservatore Romano.

La Sicilia raccontata da Sciascia sembra non credere alla giustizia, appare poco fiduciosa nei confronti dello Stato e dei suoi rappresentanti; è una Sicilia diffidente e fatalista che invece di affidarsi agli organi inquirenti, si adopera per risolvere diversamente il caso. Assistiamo, così, al pettegolezzo strisciante, al chiacchiericcio da bar, alle calunnie, alle ipotesi dei pezzi grossi del paese, che diventano i veri inquirenti che accusano ed emettono sentenze inappellabili. E’ una Sicilia, questa che ritroviamo nel libro di Sciascia,  molto diversa da quella rappresentata dal suo conterraneo Camilleri nei suoi racconti, dove lo Stato è sempre presente nell’isola nelle vesti di quel Commissario Montalbano, a cui tutti fanno riferimento ed a cui tutti si rivolgono ogni qualvolta se ne presenta la necessità e l’urgenza. Il libro di Sciascia riprende - sotto certi aspetti - la vita di provincia raccontata da un altro illustre scrittore siciliano, Vitaliano Brancati, i cui bizzarri e indolenti personaggi trascorrono il loro tempo in piazza o al bar, tra una chiacchiera ed una malignità. E anche un delitto perpetrato nei confronti di due persone appartenenti al loro mondo, diventa una buona occasione per fare pettegolezzi e allusioni sul loro passato e sulle rispettive famiglie. Ma quale colpa aveva commesso il farmacista, per meritare la morte insieme al suo amico, durante una battuta di caccia? Ma era proprio il farmacista il vero bersaglio, e non il suo amico medico? E se il farmacista fosse stato ucciso, solo per depistare le indagini? Qual era il movente del delitto? Si susseguono le ipotesi più fantasiose, ma prende poi piede quella passionale.

Con una prosa colta e raffinata e con punte di sottile e pungente ironia – caratteristiche, queste, quasi inusuali per un romanzo giallo – Sciascia più che creare suspense e colpi di scena, come ci si aspetterebbe da un tale genere di letteratura, appare interessato principalmente a scrutare la psicologia dei suoi personaggi, quali cinici spettatori attratti morbosamente da un tragico evento.

10 commenti:

  1. Sono d'accordo con te, il giallo dovrebbe essere un'occasione per descrivere un ambiente, un tessuto sociale che può essere omertoso o pettegolo o più raramente seriamente collaborativo. Invece troppo spesso il giallo è solo una palestra dove i salti mortali si sprecano ben oltre il limite del credibile e la soluzione è un coniglio cavato dal cilindro.
    massimolegnani

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    1. ..."salti mortali" per stupire il lettore. E tu ne sai qualcosa perché, se non sbaglio, sei un cultore di romanzi gialli. Un saluto :-)

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    2. sì, ne leggo spesso e non sempre i finali mi soddisfano, per il motivo che ti ho detto.
      un saluto a te
      ml

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  2. Quando si è veri scrittori, qualsiasi sia il tema o il genere letterario, l'ambiente, la società, l'antropologia dei luoghi e sopratutto dell'uomo che li abita, viene fuori con naturalezza ed è lo scheletro che, con preponderanza, dà collocazione letteraria al racconto.IO da ragazza ho molto amato Sciascia, e la mia prima lettura di lui è stato il suo coinvolgente Il giorno della Civetta.
    Gradevolissimo venirti a trovare

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    1. E' vero: il vero scrittore sarebbe capace di rendere gradevole anche la lista della spesa. Il giorno della civetta: un grande libro. Grazie per i tuoi commenti, che apprezzo moltissimo

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  3. sono più che mai d'accordo con te sul triste ruolo assunto oggi dalle grandi case editrici. Io i thriller non li leggo ma li vado a vedere al cinema se mi interessano. Credo che sia un genere forse, come tu ed altri avete in parte già scritto, che non viene sfruttato al meglio per ampliarne gli orizzonti letterari e culturali, e sarà sempre più difficile che accada dato che oggi in giro ci sono molti "pennivendoli" e pochi autori veri.

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  4. Più che la trama potè l'atmosfera, così mi sento di riassumere la tua descrizione, che ho apprezzato anche per quel parallelo con Brancati, un altro descrittore di atmosfere, prima che scrittore di trame (e pazienza se le sue non erano gialle, anche se, forse, nel caso de "La governante" un pizzico di trama pseudo-gialla c'è).
    Molti scrittori di rango hanno avuto il metodo della descrizione scenografica, del fondale di scena, prima che dell'attore/protagonista. I più bravi fra questi hanno saputo far nascere il/i personaggio/i direttamente dalle atmosfere, creando trame di romanzo nelle quali i protagonisti sono inscindibili dal contesto nel quale si muovono.
    Io la chiamerei magia narrativa.

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    1. Sono d'accordo con te: per alcuni grandi scrittori. la trama è solo un pretesto narrativo. Loro puntano alle "atmosfere", alla caratterizzazione psicologica dei personaggi, ai contesti sociali in cui si svolge la storia. E certamente, Brancati come Sciascia sono maestri di questo genere.

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