“E’ in atto un gigantesco esodo,
il più grande della storia. Non mi riferisco al dramma delle migrazioni dal Sud
al Nord del mondo, non mi riferisco al dramma silenzioso causato dai sessanta
milioni di persone che ogni anno si trasferiscono verso le metropoli. L’esodo a
cui mi riferisco è insieme serissimo e frivolo, e forse più che un esodo
dovremmo chiamarlo trasloco. Si cambia casa, si va a vivere in Rete, dal
condominio reale al condominio digitale. Pure io sto traslocando e mentre
scrivo faccio un pezzo di trasloco, come se impacchettassi un lampadario da
accendere nella nuova casa. Il trasloco avviene nei bar, per strada, nei treni,
ovunque si vede un essere umano con un cellulare in mano: li chiamiamo ancora
telefonini, ma sono dei tir dentro i quali ci sono tutte le nostre masserizie.
Dove andiamo? L’umanità in
trasloco è composta da pensionati e avvocati, da operai e governanti da
casalinghe e intellettuali. Si procede alla spicciolata, ognuno avanza per la
sua strada, le rotte dell’isolamento corale sono infinite….
Nessuno è in grado di dire dove
stiamo andando. Si sa che siamo in movimento, dopo tante tecnologie al servizio
della vita ne abbiamo inventata una per andarcene dal mondo pur rimanendo qui.
E ora siamo solitari senza solitudini, allegri senza allegria, disperati senza
disperazione.
E’ in corso un esodo dal reale
all’irreale, dal sacro di essere sulla Terra al profano di essere sulla Rete.
La questione digitale diventa una questione teologica: Dio è morto ma ci ha
lasciato il mouse, la tastiera, la password. L’enormità di questo trasloco che
impegna per molte ore al giorno miliardi di persone ci impedisce di ragionare
come facevamo un tempo: la modernità è stata liquidata velocemente da questo
trasloco, le vecchie categorie di spazio e tempo si sono sgretolate. Anche la
domanda sul che fare appare un ferro vecchio. Siamo davanti a un evento che in
qualche modo non avviene. E così finiscono amori che non sono mai nati,
formiamo associazioni che non associano niente, raccontiamo battaglie che non
stiamo combattendo e mostriamo ferite che non ci fanno buttare sangue ma parole”.
Franco
Arminio
“La
grazia della fragilità”

