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lunedì 29 aprile 2019

Passeggiare da soli



Tra le piccole gioie della vita, la passeggiata è senz’altro quella che meglio soddisfa il bisogno di stare all’aria aperta e a contatto con la natura. Ma la passeggiata celebra anche il piacere del pensare, invita al rilassamento e permette di godere del lento scorrere del tempo.  Robert L. Stevenson - lo scrittore scozzese de “L’isola del tesoro”  e “Lo strano caso del dr. Jekyll e mr. Hyde”, era un accanito sostenitore delle passeggiate solitarie. “Per godere veramente di una passeggiata – egli scriveva – bisogna essere soli. In gruppo, o anche in coppia, non è più una passeggiata; si tratta di un’altra cosa che assomiglia più ad una gita. La passeggiata va fatta da soli, perché la sua essenza è la libertà: si deve essere liberi di fermarsi o proseguire, di andare da una parte o dall’altra, secondo come detta la fantasia; si deve mantenere la propria andatura, senza dover trottare a fianco di un campione podista o camminare a passettini in compagnia di una fanciulla”. Lo confesso: io sono un seguace di questa “teoria”. Amo fare lunghe e piacevoli passeggiate per il centro storico di Roma. Naturalmente da solo. E’ un rilassante bighellonare che si addice al mio spirito meditativo, e credo che qualsiasi compagnia al mio fianco finirebbe per ostacolare quel desiderio di dolce contemplazione, che nasce proprio quando ci si trova da soli.

Durante la passeggiata la vicinanza di una persona - anche la più gradevole - ti costringe a parlare, ti distoglie dalle tue osservazioni, dalle tue riflessioni, dal tuo modo di guardare. Sei costretto ad assecondare i comportamenti dell’altro ed a seguirlo nei suoi ragionamenti. Naturalmente ciò non vuol dire che chi ama le passeggiate solitarie, disdegni la compagnia e che non provi piacere nel camminare con un amico. No. Sono semplicemente due modi diversi di vivere questi momenti di distensione: nel primo caso si desidera, esclusivamente, dare spazio alla propria libertà ed alla propria fantasia, si vuole andare di qua e di là senza dipendere da nessuno, mettendo al centro della propria attenzione il luogo in cui ci si trova; nel secondo caso, invece, si cerca un rapporto affettivo per “fare quattro chiacchiere”, a scapito del contesto che sembra non avere più alcuna importanza. Ci si vede per un caffè (come suol dirsi). Si gode del piacere di stare in compagnia ma si perde di vista la contemplazione, quell’immedesimarsi nelle cose che si osservano.

Lo possiamo ben dire: quando camminiamo da soli il nostro sguardo verso le cose che osserviamo è diverso, direi quasi che si affina ed è più attento a cogliere i particolari che altrimenti ci sfuggirebbero. Sono le occasioni, queste, in cui lo sguardo ha la supremazia sulla parola, che appare inadeguata a esprimere la forza del momento e la magnificenza del luogo in cui ci troviamo. Le nostre reazioni emotive al mondo esterno non patiscono l’influenza, a volte decisiva, di chi ci sta vicino, perché non dobbiamo contenere la curiosità che ci appartiene per favorire le aspettative altrui. E poi, sapere di essere giudicati potrebbe limitare il nostro modo di osservare e finiremmo per adattarci ai punti di vista di chi abbiamo accanto, pur di apparire in sintonia con il suo pensiero. Insomma, un nostro eventuale accompagnatore ci allontanerebbe dalla realtà circostante. Mentre noi – magari proprio in tale particolare occasione - vorremmo passare tutto il tempo, per esempio, in quella deliziosa piazzetta, per godere del suo silenzio; gradiremmo perderci in fantasticherie di fronte alla facciata barocca di quell’antico palazzo; vorremmo fermarci ad ammirare una bellissima fontana del Settecento e lasciarci cullare dal gorgoglio dell’acqua; ci andrebbe di stare seduti finché ci va su quella scalinata di travertino, a prendere il sole e ad osservare la gente che passa; ci farebbe tanto piacere entrare in quella chiesa per un momento di raccoglimento e di preghiera. Così, in piena libertà, senza dover chiedere niente a nessuno e senza dover scendere a compromessi con qualcuno.

mercoledì 24 aprile 2019

Viaggiare senza partire



Tutta l’infelicità degli uomini – diceva Pascal – viene da una sola cosa, e cioè dal non saper starsene da soli in una stanza. Il desiderio di viaggiare... di andare... di muoversi, ha sempre spinto gli uomini ad uscire dal proprio ambito quotidiano e familiare, dalla propria “stanza”. Nel passato i giovani artisti e gli aristocratici dei ricchi paesi del nord Europa (Inghilterra, Germania, Francia),  intraprendevano un lungo viaggio alla scoperta dell’ Italia – il cosiddetto grand tour – il cui obiettivo era soprattutto quello di affinare la propria cultura. Queste esperienze di viaggio le ritroviamo in alcuni bellissimi libri: mi viene in mente il “Viaggio in Italia” di Goethe o quello di John Ruskin descritto in “Mattinate fiorentine”. C’è stato, invece, uno scrittore francese di nome Xavier De Maistre, il quale - intorno al 1790 – all’età di ventisette anni, senza spostarsi dal modesto alloggio in cui si trovava recluso (per quarantadue giorni), e quindi senza fare bagagli e senza prendere alcun mezzo di trasporto (praticamente a costo zero), intraprese un viaggio esplorativo nella sua stessa camera da letto. La cronaca di questa sua singolare e bizzarra impresa  la raccontò in un libro che si intitola “Viaggio intorno alla mia stanza”, libro che alla sua pubblicazione venne salutato come un piccolo capolavoro letterario. Nella prefazione il fratello Joseph De Maistre (famoso filosofo e politico) mise in evidenza che l’autore non intendeva affatto screditare i grandi viaggiatori del passato, ma che desiderava solo consigliare, ai poveri e a coloro che temevano un furto in casa, un modo di viaggiare molto più pratico e conveniente.

Le 42 giornate trascorse in quella camera – pari ad altrettanti capitoletti in cui è suddiviso il libro – sono raccontate con una grazia ed una raffinatezza davvero encomiabili. All’autore basta poco per descrivere una sensazione o un’emozione, per rivelare un’indagine psicologica o per creare un personaggio immaginario: un quadro appeso alla parete, un oggetto apparentemente insignificante, un mobile. Tutto è utile alle sue descrizioni e al suo intimo modo di sentire e di guardare. Come quando si trova di fronte al suo letto che “ci vede nascere e ci vede morire; è il mutevole teatro nel quale il genere umano rappresenta a turno drammi interessanti, farse ridicole e tragedie spaventose. E’ una culla adorna di fiori; è il trono dell’amore; è un sepolcro”. Non avevo mai letto una riflessione così profonda su un mobile presente in ogni casa e di cui tutti ci serviamo quotidianamente.

“Coraggio, dunque, si parte – scrive l’autore – Seguitemi voi tutti, che per una delusione amorosa o per un malinteso tra amici, ve ne state chiusi nel vostro appartamento, lungi dalla piccineria e dalla perfidia degli uomini. Mi seguano tutti gli sventurati, tutti gli ammalati, tutti gli annoiati del mondo! Si levino in massa tutti gli indolenti!... voi che in un salottino rinunziate per sempre al mondo, amabili anacoreti d’una serata venite anche voi; datemi ascolto, lasciate quei vostri tetri pensieri; voi sottraete un attimo al piacere senza guadagnarne uno alla saggezza; degnatevi di accompagnarmi nel mio viaggio; marceremo pian pianino, ridendo, lungo il cammino dei viaggiatori che hanno visitato Roma e Parigi…”.
E ancora, in una delle sue peregrinazioni. “…quando viaggio nella mia camera, raramente percorro una linea retta; vado dalla tavola verso un quadro situato nell’angolo: di là mi muovo obliquamente per andare verso la porta; ma sebbene alla partenza la mia intenzione sia quella di recarmi là, se incontro il mio seggiolone sul cammino non sto a pensarci e mi ci sdraio senza complimenti. Il seggiolone è un eccellente mobile, ed è di estrema utilità per un meditativo. Nelle lunghe serate invernali, talvolta è dolce, e sempre prudente, distendervisi mollemente, lungi dal fracasso delle assemblee affollate. Un focherello, alcuni libri, una penna: che risorse contro la noia! E che piacere dimenticare i propri libri e la penna per attizzare il fuoco, abbandonandosi a qualche dolce meditazione, oppure buttando giù alla meglio dei versi per divertire gli amici! Allora le ore scorrono e piombano silenziosamente nell’eternità, senza far sentire il loro triste passaggio”

Ma qual è il messaggio di questo libro delizioso? Secondo me non può essere che uno solo: il piacere del viaggio deriva non tanto dal luogo prescelto quanto dall’atteggiamento interiore con cui si affronta il viaggio stesso. Si può viaggiare anche stando nel chiuso di una stanza, cioè in quel “bugigattolo” dove ci rifugiamo e ci nascondiamo agli occhi del mondo, collegati intimamente solo con la nostra anima, che vede, sente e descrive paesaggi, avventure ed emozioni. Sembra quasi che De Maistre voglia invitarci a guardare con occhi diversi la realtà quotidiana che ci circonda. E se noi riuscissimo a farlo, a scrutare luoghi e cose con uno spirito di osservazione immune dall’abitudine e dall’indifferenza, forse ci accorgeremmo che le cose degne di interesse si trovano anche accanto a noi e che non sempre è necessario partire verso mete lontane ed esotiche per scoprirle.

lunedì 15 aprile 2019

Siamo tutti "gretini"



Per dare voce ai nostri bisogni, qualunque essi siano, oggi ci aggrappiamo ai personaggi mediatici, alle icone del web. Nella società iperconnessa in cui viviamo questi nuovi “miti” della modernità, osannati e idolatrati dalle folle planetarie grazie anche alla esaltata attenzione che i mass media dedicano loro, si elevano all’improvviso come eroi e paladini rassicuranti, in cui tutti ci identifichiamo. L’ultimo esempio è rappresentato da Greta Thunberg, la 16enne svedese che “striglia i potenti del mondo” con il suo impegno ecologista. Sia ben chiaro: la sua lotta ambientalista è senz’altro lodevole e merita rispetto e attenzione.  Tuttavia, una domanda sorge spontanea: ma che fine hanno fatto le tante battaglie portate avanti, negli anni passati, dai Verdi, dagli ecologisti di tutti i paesi, dagli scienziati e da milioni di semplici cittadini che per difendere la terra dalla catastrofe e dall’inquinamento, si mobilitavano e scendevano in piazza? A leggere i giornali di questi giorni e a guardare i dibattiti televisivi, che si sprecano su tutti i canali, sembra quasi che il problema dell’inquinamento del pianeta e il riscaldamento globale siano cose di cui non sapevamo nulla fino all’altro ieri; e che doveva arrivare questa ragazzina con le treccine - che mobilita altri adolescenti come lei in tutto il mondo e detta l’agenda ai politici – per aprirci gli occhi su un’emergenza che può avere effetti catastrofici su tutto il pianeta se non verranno presi provvedimenti adeguati.

Constatare che la protesta di una ragazzina (chissà poi da chi è manovrata…) possa avere così tanta risonanza su tutti i mezzi di informazione, mentre chi con competenza si batte da anni per un mondo migliore è visto quasi come un pazzo che vuole destabilizzare l’economia mondiale, è una cosa che appare alquanto bizzarra. Ma perché gli scienziati e gli esperti del clima e dell’effetto serra non sono ascoltati e vengono da sempre emarginati, mentre ora una bambina - già candidata al premio Nobel per la pace - è stata eletta paladina dell’ambientalismo universale? La risposta, secondo me, è una sola: non si vuole risolvere il problema in maniera seria. Si preferisce il solito spettacolo mediatico basato sull’emotività… “i bambini salveranno il mondo”, anziché dare spazio a soluzioni davvero efficaci. E tutto ciò non può che far piacere ai cosiddetti “potenti della terra”, ai politici e ai responsabili delle grandi multinazionali, che sono i primi a battere le mani a Greta Thunberg, salvo poi continuare a inquinare e a distruggere il mondo.

mercoledì 10 aprile 2019

Viaggio col padre



Quando ho intravisto il libro su un banchetto di una libreria dell’usato, sono rimasto subito attratto dal suo titolo così semplice e suggestivo, “Viaggio col padre” , e poi da quella sua bella copertina che riproduce un dipinto di Mario Sironi, copertina così pertinente e inconsueta se confrontata con quelle che dominano oggi nelle librerie. L’autore è ancora una volta uno scrittore dimenticato, Carlo Castellaneta, che fino a quel momento io non conoscevo (se non per sentito dire) e che ha legato il suo nome alla città di Milano, dove era nato nel 1930 da padre pugliese. “Viaggio col padre” è il suo libro di esordio nel mondo letterario. Un bel romanzo di formazione con risvolti autobiografici, la cui vicenda è legata ad un periodo storico difficile, ma anche di grande speranza per il nostro Paese: la fine del Fascismo ed in particolare la liberazione di Milano da parte dei partigiani e delle truppe alleate.

Il romanzo inizia con un viaggio in treno, da Milano a Foggia. Il giovane protagonista - nonché voce narrante del libro - si sta recando insieme al padre nella cittadina pugliese per partecipare ai funerali del nonno, che lui da vivo non aveva mai conosciuto e che il padre avrebbe continuato a ignorare se “non l’avessero illuso vecchie lettere dei fratelli che dicevano di terre e vigneti”. Quel viaggio di tredici ore rappresenta anche l’occasione in cui i due, padre e figlio, si ritrovano: possono dirsi tutto quello che non hanno voluto o saputo raccontarsi durante gli anni della loro difficile convivenza. Ma è il figlio che cerca di ricucire il rapporto incrinato dal tempo e dagli eventi, e questo viaggio in treno verso il Sud sembra la migliore opportunità per rompere un silenzio che dura ormai da molti anni. Il ragazzo vorrebbe chiarire con il padre molte cose del passato. Vorrebbe parlargli, da uomo a uomo, della sua esistenza sbagliata, chiedergli le ragioni della sua fede politica all’interno del partito fascista, dei suoi errori che non ha mai voluto confessare, di quella sua sciagurata decisione di abbandonare la famiglia per seguire una donna più giovane, del dolore che tale scelta aveva provocato alla madre, a lui e ai suoi fratelli. Insomma, vorrebbe accusarlo, metterlo al muro...ma le cose non vanno proprio così.

Il libro è anche un viaggio a ritroso sui binari della memoria che il giovane ripercorre facendo rivivere gli episodi della sua vita familiare sullo sfondo della grande guerra, della campagna d’Africa fino alla liberazione ad opera degli alleati. E’ un racconto molto intenso, umano e storico nello stesso tempo, che si svolge su due piani temporali legati da un rapporto di relazione e dipendenza reciproca, attraverso il quale Castellaneta fa rivivere un periodo storico molto travagliato, quello legato al Fascismo e alla sua caduta, vissuto secondo due diverse prospettive: quella del padre, fascista convinto che assiste incredulo alla disfatta, e quella del figlio che vacilla tra una blanda complicità agli eventi e la negazione della fede fascista in cui crede ciecamente il padre. C’è poi, nel libro, una figura molto rilevante che è quella del “comunista” Ottavio, il quale, con le sue idee contribuisce alla maturazione politica e sociale del giovane narratore attraverso consigli e insegnamenti, come quando gli dice: “Di politica ne vedrai fin che campi, e anche tu un giorno sarai costretto a farne…non possiamo farne a meno, capisci. Ogni atto della giornata è politico. Anche quando vai al cinema o comperi un libero. Ogni momento siamo costretti a scegliere e la scelta che facciamo ha sempre un valore politico”.

venerdì 5 aprile 2019

Camera d'albergo



Provo una certa insofferenza per gli alberghi. Forse perché mi manca un pizzico di spirito nomade che penso sia necessario per accettare un luogo spaesante come una camera di un hotel. Evidentemente sono un animale che ha bisogno della sua cuccia e che non sa adattarsi facilmente ad una diversa collocazione. Tuttavia, anch’io mi servo di un hotel quando vado in vacanza, perché dormire sotto una tenda in un sacco a pelo sarebbe per me ancora più complicato e disagevole.

Il primo impatto avviene con la reception, il vero biglietto da visita di ogni struttura alberghiera. E’ una sorta di “luogo non luogo”, uno spazio di passaggio e di sosta, dove si compiono i consueti rituali del check-in e del check-out, come accade in un qualsiasi aeroporto. Il proprietario della struttura ricettiva ti dà il benvenuto con la stessa professionale gentilezza con cui dà l’addio al cliente in partenza; ti fornisce informazioni utili al tuo soggiorno, ti chiede i documenti. La camera che ti viene assegnata si distingue per la sua asettica razionalità, arredata con il solito mobilio essenziale, in stile anonimo: un armadio, uno scrittoio, un piccolo frigorifero con l’immancabile  bottiglietta di acqua minerale, una sedia (anche se si è in due), un letto matrimoniale, la televisione. Si, c’è anche la televisione, che ti viene “venduta” come un accessorio importante, fondamentale. Deve essere davvero una goduria incomparabile guardare la televisione dopo aver pagato una stanza d’albergo. De gustibus…

Osservi la tua “camera comfort”: chissà quante vite ha conosciuto prima che arrivassi tu! Chissà quante storie custodiscono quelle quattro mura! Se potessero parlare, ne racconterebbero delle belle! Ti soffermi, con una certa apprensione, su quel letto matrimoniale che risalta al centro della stanza, ne verifichi la morbidezza, ma non somiglia affatto a quello che hai lasciato a casa. Ti passano per la testa pensieri strani e inquietanti: devi dormire nello stesso letto dove, forse, si è consumato un atroce delitto…dove probabilmente hanno amoreggiato degli amanti diabolici…dove si è coricato qualcuno che aveva un difficile rapporto con l’igiene personale…sposti un po’ le lenzuola, quasi alla ricerca di qualche traccia che possa confermare le tue bizzarre supposizioni. Abbandoni questi pensieri e ti affacci alla finestra con “vista mare” per ammirare quel panorama per il quale hai pagato un lauto supplemento; ma con grande sorpresa ti accorgi che la vista non è proprio quella desiderata. Entri poi nel bagno, minuscolo, che non può contenere più di una persona alla volta. La prova che si tratti di un bagno d’albergo ti viene data da quelle due microscopiche saponette prive di odore e di colore che campeggiano sulla mensola. Ti guardi allo specchio: devi evitare di fare quella faccia sconsolata; non sei forse in vacanza? Te lo ha imposto qualcuno l’albergo? E poi devi convincerti che una settimana passerà in fretta, visto che la tua autonomia di permanenza in luoghi simili non va oltre i sei/sette giorni. Allora ti scrolli di dosso quella lieve insoddisfazione, ti dai una rinfrescata con una “saponetta alla fragolina di bosco” e scendi giù nella sala da pranzo, dove generalmente prendi posto due volte al giorno: all’una e alle otto di sera. Pranzo e cena. Intorno a te venti/trenta tavoli numerati, intorno ai quali siede una variegata umanità, una miscela di esistenze (di cui anche tu fai parte), che sarebbe fonte di ispirazione per un romanziere dell’Ottocento e che farebbe felici sia un sociologo che uno psicologo: famigliole con bambini, persone sole, giovani coppie (forse in viaggio di nozze), fidanzati con genitori al seguito, anziani soli o in compagnia, gruppi di amici…. Ti guardi intorno incuriosito e puoi vagare con la fantasia accanto a quegli ospiti che ti siedono accanto, ne scruti i volti, il comportamento, cerchi di immaginarne la provenienza, il carattere di ciascuno, il mestiere, intuisci amori e gelosie, ti accorgi di vite logorate dall’abitudine, percepisci gli screzi che nascono da rapporti conflittuali tra genitori e figli, noti i gesti affettuosi tra marito e moglie.

Ecco le due anziane signore che ti passano accanto e ti salutano garbatamente: mostrano un’aria di svanita bellezza, forse sono due ex professoresse, due amiche vedove, ma forse anche due sorelle che non si sono mai sposate. Ti fanno tenerezza, arrivano sempre all’ultimo momento, come fossero delle ospiti attese, vestite con abiti di vecchia forgia sartoriale, che le rendono comunque eleganti, felici di essere lì. Ti colpiscono, poi, quei due fidanzatini che, anziché tenersi per mano e guardarsi negli occhi tra un piatto e l’altro, magari sussurrandosi dolci parole – come avrebbero fatto solo qualche anno fa – hanno mani e occhi e attenzione solo per i rispettivi smartphone. La tecnologia è riuscita finanche a cambiare i modi di stare a tavola.

Ti si stringe poi il cuore quando osservi quel vecchio signore che mangia sempre da solo. Non parla con nessuno. Ha un’aria triste e mite. E’ sempre il primo a lasciare la sala, dopo aver salutato i vicini. Ad un tavolo più grande noti una bella famigliola con quattro bambini. I genitori li lasciano liberi, non li opprimono. Parlano a bassa voce. I bambini sono educati, non piangono, non strillano, non fanno capricci, non mettono le mani nei piatti o nei bicchieri o le dita nel naso. Sono stranieri. C’è poi una coppia di mezza età che siede all’angolo e non passa inosservata. Lui avrà una cinquantina di anni, lei sembra molto più giovane ed è alquanto appariscente. Lui parla poco e guarda solo nel piatto, lei è logorroica e si guarda in giro come se cercasse di attirare l’attenzione su di sé. Lui mangia tutto e di più, lei assaggia solo qualcosa e fa la schizzinosa. Sono vite che tu non conosci, che come te stanno in quell’albergo a mezza pensione o pensione completa, che per una/due settimane partecipano al rito delle vacanze, condividono con te i pasti, la piscina, la spiaggia nel rispetto delle buone maniere, dettate dall’educazione e dal senso civico, e poi spariscono per sempre dalla tua vita.