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mercoledì 9 gennaio 2019

Sull'ignoranza delle persone colte



“Il più istruito di tutti è colui che conosce meglio tutto ciò che vi è di più lontano dalla vita quotidiana, dall’osservazione immediata, che non è di alcuna utilità pratica…”


Noi che leggiamo ogni tanto qualche libro e scriviamo sui nostri blog cercando di non fare errori grossolani; noi che andiamo a teatro e frequentiamo i musei e non guardiamo “il grande fratello”; insomma, noi che “voliamo alto” e mangiamo cultura a pranzo e a cena – diciamocelo, ma senza farci sentire – siamo convinti di essere più intelligenti di coloro che non hanno mai aperto un libro, non sanno scrivere neanche la lista della spesa e credono che Socrate sia un calciatore del Brasile. Poi capita di imbattersi in un provocatorio e paradossale libricino, di poco più di cento pagine, che si intitola “Sull’ignoranza delle persone colte” (Fazi Editore), la cui lettura improvvisamente fa vacillare le nostre certezze, scardina la nostra supponenza e mette in dubbio la nostra presunta superiorità culturale nei confronti delle persone poco acculturate. Già l’incipit del libro dà un assaggio di quanto dissacrante sia questo scrittore inglese: “Le persone che hanno meno idee di tutti sono gli scrittori e i lettori. E’ meglio non sapere né leggere né scrivere, che non saper fare altro che questo. Quando si vede un fannullone con un libro in mano, si può essere quasi certi che si tratta di una persona senza né forza, né voglia di stare attenta a ciò che gli accade intorno, o dentro la testa”.
William Hazlitt - questo il nome dell’autore del piccolo e godibile saggio (che comprende sette diverse tematiche tra le quali quella che dà il titolo al testo) - era un pensatore inglese nato nella seconda metà del Settecento, amico di Coleridge e di Keats e grande ammiratore di Napoleone, il quale riteneva che chi ha sempre la testa tra i libri non ha successo nella vita pratica, è negato per gli affari e fallisce pietosamente con le donne. “Il divoratore di libri - scrive con convinzione – si avvolge nella sua rete di astrazioni verbali, e vede solo la pallida ombra delle cose riflessa dalla mente altrui”. E poi rincarando la dose “non ha idee proprie e deve quindi vivere di quelle altrui…non pensa e non s’interessa ai suoi vicini di casa, ma è al corrente degli usi e costumi delle tribù e delle caste degli indù e dei tartari calmucchi”.

Aveva 42 anni quando – separato dalla prima moglie – Hazlitt si innamorò perdutamente di una ragazzina di sedici anni, figlia del suo sarto che gli aveva affittato una camera ammobiliata. Questa giovinetta, senza cultura e di scarsa intelligenza, non ne volle sapere dell’erudito e brillante pretendente, tant’è che lui cadde in una gravissima depressione che lo stava portando alla follia. Non riusciva a farsene una ragione, faceva fatica a capire come una sedicenne qualunque, senza arte né parte, potesse respingere un uomo di successo e di conoscenze. Lui che sapeva di arte, che leggeva e scriveva libri e dipingeva quadri, appariva come l’emblema del fallimento della cultura, di fronte a quella ragazzina che - pur non avendo alcuna dimestichezza con i libri e con il sapere – simboleggiava tuttavia la vita, l’amore, il desiderio. E lo ridicolizzava. Arrivò, allora, alla conclusione che la superiorità intellettuale non è un trampolino di lancio verso la felicità né può rappresentare un segno di distinzione per gli altri. La gente comune vive bene anche senza istruzione, non è interessata alla cultura, è insensibile all’arte e non legge libri perché questi non hanno alcuna utilità pratica. In altre parole i libri non aiutano ma condannano l’individuo alla solitudine e all’incomprensione. “Il principale svantaggio di sapere di più, e di vedere più lontano degli altri, in genere è di non essere compresi. Chi è intellettualmente dotato tende a esprimersi per paradossi, e questo lo colloca subito fuori la portata del lettore comune.  La forza intellettuale – dice ancora Hazlitt – non è come la forza fisica…sapere tanto di più su un argomento non ti dà superiorità, cioè potere sugli altri, ma anzi ti rende ancora più impossibile il fare la minima impressione su di loro…”  Ora noi non sappiamo realmente quanto Hazlitt credesse a queste sue parole. Forse lui voleva essere un provocatore a tutti i costi, visto che era una persona molto colta, amante dei libri, che non gradiva la gente rozza e ignorante. E forse subiva questa sua condizione che in qualche maniera lo emarginava e lo portava a pensare che il mondo, da sempre, vive in una contraddizione irreparabile tra come è e come invece dovrebbe essere. Che dire? Noi, alla fine, “per non saper né leggere né scrivere” continueremo ad amare i libri, infischiandocene di chi, invece, li considera una cosa inutile e dannosa.

10 commenti:

  1. ma se mi hai preso!
    continuerò a leggere anche io e a cercare il
    senso della vita nella vita stessa (e le braccia del mio uomo)

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    1. I libri possono migliorare la vita di una persona ma nessun libro può mai prendere il posto della vita

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  2. No, non mi ha convinto.
    Continuerò a leggere e molto.
    E poi temo che chi si ostina a rimanere una capra non può giudicare chi sa molto.

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  3. però c'è del vero nel suo assunto, a restare zotici e ignoranti ci si fa meno domande esistenziali, sì più pratici e meno sensibili.
    ma nonostante questo non farei cambio con loro :)
    massimolegnani

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  4. Libri, sapere, studio sono certamente auspicabili, arricchenti, tuttavia ciò che in ultima analisi conta davvero è la saggezza, la sapienza, la capacità di discernimento e questo non sempre si acquisisce solo con i libri... Buona serata.
    sinforosa

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    1. E' vero, conta la saggezza, però io credo che se fosse in vendita nella nostra società non troverebbe compratori. Grazie per essere passata da queste parti.

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  5. Un paradosso con degli assunti interessanti, tanto che leggerò il libro, continuando quindi a far parte di quelli che si guardano non troppo attorno, perdendosi tra le pagine di un sogno...

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    1. Guardarsi troppo attorno e farsi accalappiare dal canto delle "sirene" a volte è fuorviante e controproducente; meglio farsi guidare da qualche buon libro.

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