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giovedì 20 dicembre 2018

"Un'anima persa" di G. Arpino: mistero e verità nascoste



Sono tanti gli scrittori bravi e dimenticati che hanno fatto la storia della letteratura italiana del Novecento. Giovanni Arpino, morto nella sua Torino nel 1987 a soli 60 anni, è uno di questi. Grande appassionato di calcio (scriveva anche articoli sportivi per “La Stampa”) è autore di molti romanzi alcuni dei quali hanno vinto premi letterari importanti quali lo Strega  con “L’ombra delle colline” e il Campiello con “Randagio è l’eroe”.

“Un’anima persa” - il romanzo che ho appena finito di leggere - fu pubblicato nel 1966. L’ho scovato sui banchetti di un mercatino dell’usato (Oscar Mondadori edizione del 1974) e credo che il libro oggi sia fuori catalogo. La vicenda narrata si manifesta al lettore tra inquietudine e mistero avvolgendolo in un’atmosfera carica di apprensione. Non saprei come definire questo libro, in quale ambito collocarlo: certamente non è un horror - nell’accezione classica del termine – né un thriller, generi questi che non mi affascinano più di tanto e che io difficilmente leggo. Forse potrebbe essere catalogato come una sorta di giallo psicologico, incentrato com’è sulla doppiezza dei comportamenti umani, sullo squilibrio mentale e la forza attrattiva del male. In ogni caso, posso dire che il racconto - che si presenta sotto forma di diario condensato in soli cinque giorni - si legge tutto d’un fiato grazie all’abilità narrativa dello scrittore torinese che riesce a far emergere, tra le righe, le forti tensioni emotive che vivono i pochi personaggi della storia.

La trama: ci troviamo negli anni ’60 del secolo scorso in una Torino spettrale nell’afa di luglio. Direi che la città è solo sfiorata, perché la vicenda si svolge in gran parte nella casa di due persone alquanto strane (Serafino Calandra “l’ingegnere” e sua moglie Galla) gli zii del protagonista diciassettenne (Tino), voce narrante del libro. Costui - che vive in un orfanotrofio da quando i suoi genitori sono morti in un incidente stradale - arriva nel capoluogo piemontese per sostenere gli esami di maturità classica, ospite di questi suoi parenti che non vede da molto tempo. E’ da sempre prigioniero di oscure ed inspiegabili paure che non riesce “ a soffocare con le sole forze della ragione”, e che si manifestano ancor di più da quando è arrivato nella casa degli zii. Queste paure, che gli procurano un vero scompiglio, sono generate soprattutto da strani fruscii e scricchiolii che lui avverte soprattutto quando si trova a letto. A questa sua instabilità emotiva si aggiunge – ora che si trova a Torino - una nuova preoccupazione: la casa che lo ospita nasconde un doloroso dramma familiare ed umano. Lo zio, infatti, ha un fratello pazzo - “il professore” - relegato in una stanza della casa dove non entra mai nessuno da vent’anni, tranne lo zio che provvede personalmente a tutti i suoi bisogni. Il nostro giovane protagonista, impaurito e digiuno di vita reale, si ritrova suo malgrado coinvolto in una storia più grande di lui, suggestionato dagli eventi che si susseguono rapidi e impietosi e dai quali viene inghiottito “come un boa inghiotte un coniglio”.
Intorno a queste inquietudini l’autore inizia a tessere magistralmente la sua tela narrativa, facendo crescere le tensioni e introducendo improvvisi colpi di scena, legati alla contrapposizione tra la vita apparentemente normale che lo zio fornisce agli altri e la follia latente che alberga nel suo animo. Ci si domanda: chi è l’anima persa? Il giovane Tino avvolto dalle sue paure irrazionali o sua zia Galla succube del marito? Lo zio Serafino schiavo della sua doppiezza o il fratello pazzo che nessuno ha mai visto? Sembra quasi che l’autore, con questo libro, voglia dirci che a volte la normalità che mostriamo altro non è che una maschera di comodo che serve a nascondere quell’identità malata che ci divora dentro.

10 commenti:

  1. non conosco per nulla questo autore ma sull’identità malata che ci divora dentro potrei scrivere un trattato.
    bellissima recensione

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  2. Beh...se proprio dobbiamo essere sinceri, in ognuno di noi c è uno spiritello maligno che ci divora. Grazie per le tue parole

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  3. Arpino è stato un grande del novecento anche se poco celebrato.

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  4. E' vero, basta leggere i suoi libri per apprezzarlo. Non ho visto il film, se non sbaglio interpretato da Vittorio Gassman. Ciao Daniele

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  5. Non conoscevo Arpino se non per sentito dire e quindi non ho letto questo suo libro che da come lo descrivi, appare molto interessante. Il suo titolo, però, mi rimanda alle tante "anime perse" dei nostri tempi. Sono anime perse quegli uomini imbottiti di tritolo che si fanno saltare tra la folla o che sparano all'impazzata tra i banchi di un mercatino di Natale o in un locale pubblico; sono anime perse quegli uomini che conducono una vita apparentemente normale e poi ammazzano le proprie donne (mogli, figlie, fidanzate, amiche...); sono purtroppo già anime perse quegli adolescenti che "bullizzano" i propri compagni di scuola più deboli, per riprendere poi la scena con i telefonini e mandarla in rete; sono anime perse gli spacciatori di droga, i politici collusi con le organizzazioni criminali...anime perse che, come uno dei personaggi del libro, hanno tutti una doppia identità. E vivono la loro doppiezza senza scrupoli etici e morali.
    Paolo

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  6. Grazie Paolo, condivido e apprezzo molto le tue parole. Quando le "anime perse " abbandonano la finzione letteraria e si materializzano tra di noi, c'è di che preoccuparsi.

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  7. Una bella recensione. Anch'io conosco Arpino solo di nome e non ne ho mai letto niente.
    Ti seguo con interesse!

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  8. Grazie per le tue parole. Se ti capita un libro di Arpino, leggilo. Non te ne pentirai!

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