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martedì 20 novembre 2018

"Cristo si è fermato a Eboli": le annose questioni del Sud



Per la tematica trattata, oggi potrebbe essere definito un libro-denuncia il romanzo di Carlo Levi “Cristo si è fermato a Eboli”, che  io ho letto per la prima volta negli anni scolastici. L’ho voluto rileggere perché bisogna sempre ritornare sui grandi libri; e poi volevo ritornare a riflettere su quei problemi riguardanti il territorio a sud di Eboli che comunemente vengono associati alla “questione meridionale”.

Il romanzo rappresenta un duro e amaro “dipinto” sulle condizioni di vita disumane delle popolazioni del Sud Italia - e della Lucania in particolare - negli anni del ventennio fascista, popolazioni abbandonate da Dio e dallo Stato alle quali – scrive Levi - “neppure la parola di Cristo sembra mai essere giunta”. Si, perché Cristo, fermandosi ad Eboli non sarebbe mai arrivato in quella terra che era stata il regno dei banditi, dove il contadino viveva la propria esistenza nella miseria, eternamente paziente e rassegnato. Dove anche la natura, fatta di lande desolate e incolte, sembrava più matrigna che madre. Carlo Levi, antifascista di Torino, laureato in medicina, venne confinato in Lucania nel 1935 dove rimase per 3 anni. Assegnato prima a Grassano venne poi trasferito a Gagliano (l’attuale Aliano), dove si trovò immerso in una realtà per lui completamente sconosciuta, in un mondo arcaico, chiuso, feudale dove “gli odi e le guerre dei signori sono il solo avvenimento quotidiano”. E sono proprio i signori ed i contadini i protagonisti di questo libro. Da una parte, quindi, i cosiddetti galantuomini, rappresentati dal podestà, dal brigadiere dei carabinieri, dal medico condotto, dal farmacista, dal prete e così via, uomini  pieni di sussiego e supponenza, sempre diffidenti tra di loro “che trasformano la propria delusione e la propria noia mortale in un furore generico, in un odio senza soste, in un perenne risorgere di sentimenti antichi e in una lotta continua per affermare, contro tutti, il loro potere nel piccolo angolo di terra dove sono costretti a vivere”.  Dall’altra parte i contadini, che non erano considerati uomini ma bestie, rassegnati alla loro sorte, che vivevano miseramente in catapecchie fatte di una sola stanza che serviva da cucina, da camera da letto e quasi sempre anche da stalla per le bestie. I signori erano quasi tutti iscritti al “Partito”, perché il “Partito” ai loro occhi rappresentava il Governo, lo Stato, il Potere: essi naturalmente si sentivano partecipi di quel potere. I contadini invece, per la ragione opposta, non erano iscritti a nessun movimento politico, non potevano essere né fascisti, né socialisti, né liberali, perché erano faccende che non li riguardavano, appartenevano ad un altro mondo, non avevano una coscienza politica. Per loro, lo Stato era un’entità sconosciuta e astratta, da cui non si aspettavano nulla; per la gente della Lucania, Roma era la capitale dei signori, il centro di uno stato in cui non si sentivano di appartenere. La vera capitale era stata Napoli, al tempo dei Borboni; ora poteva essere New York, la città dove i contadini emigravano in cerca di lavoro e di fortuna. Ed infatti nelle loro case si potevano trovare due sole immagini appese alle pareti: il Presidente Roosevelt e la Madonna di Viggiano. Quindi né il Re, né il Duce vegliavano su di loro, ma il capo di uno stato estero e la Madonna. L’arrivo del forestiero Carlo Levi a Gagliano venne salutato dai signori con diffidenza: soprattutto i due medici del posto vedevano in lui (laureato in medicina anche se non aveva mai esercitato la professione) un possibile rivale. I contadini invece lo accolsero molto bene, si affidavano alle sue cure, ai suoi consigli, lo vedevano come un vero medico, molto più preparato dei “medicaciucci” del paese, di cui non si fidavano.

L’autore si dilunga in descrizioni molto intense sulle condizioni di vita di questa povera gente, alle prese con la fatica quotidiana del vivere in una terra senza risorse, completamente abbandonata dallo Stato e in continua lotta con una malattia che non lasciava scampo e mieteva vittime: la malaria. Attraverso quell’amara esperienza di vita, Carlo Levi maturò una convinzione: non poteva essere lo Stato a risolvere la questione meridionale, perché lo Stato era il vero ostacolo a che si facesse qualcosa di propositivo verso quella terra. Lo scrittore piemontese era convinto che esistesse un abisso fra lo statalismo fascista allora imperante e l’antistatalismo dei contadini, abisso che si sarebbe potuto colmare solo se i contadini si fossero sentiti parte integrante dello Stato. E poi c’era la borghesia di paese  - un vero nemico per quella terra - che impediva ogni libertà e ogni possibilità di esistenza civile ai contadini “una classe degenerata fisicamente e moralmente  - così scrive Carlo Levi - incapace di adempiere la sua funzione, e che solo vive di piccole rapine e della tradizione imbastardita di un diritto feudale. Finché questa classe non sarà soppressa e sostituita non si potrà pensare di risolvere il problema meridionale”. Cristo si è fermato a Eboli costituisce la rappresentazione letteraria di un dramma umano e sociale, le cui molteplici sfaccettature, a distanza di 80 anni, non sembrano del tutto risolte.

4 commenti:

  1. anche la mia è stata una lettura dei tempi del liceo che andrebbe ripresa ora perchè certe sue pagine non perdono mai di attualità e di potenza.
    massimolegnani

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  2. Riprendere tra le mani un libro già letto, magari in età giovanile, è come rivedere un film già visto, che amiamo in maniera particolare. Già conosciamo la storia e le battute, eppure ogni volta il piacere si rinnova, nel primo come nel secondo caso. E poi i grandi libri, come dici bene tu "non perdono mai di attualità e di potenza". Cristo si è fermato a Eboli è uno di questi, dalle cui pagine è stato tratto anche il film di Rosi interpretato da un grandissimo Gian Maria Volontè.

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  3. L'ho appena letto e soprattutto nell'analisi finale sul mezzogiorno l'ho trovato ancora molto attuale. Merita decisamente di essere considerato un classico.

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  4. Grazie. Sono pienamente d'accordo con te

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