Cerca nel blog

venerdì 2 marzo 2018

Lo scopo dell’arte: non fare soldi ma educare



“Oggi il novanta per cento delle mostre d’arte figurativa non è un’impresa intellettuale, ma è solo un’impresa commerciale, il prodotto di una fiorentissima fabbrica degli eventi, che non ha lo scopo di educare, ma quello di far soldi”.
Lo afferma il prof. Tomaso Montanari, storico dell’arte tra i migliori in Italia (che io vedrei molto bene come Ministro per i Beni Culturali in un futuro governo), in un suo recente saggio che si intitola “Le pietre e il popolo”, con sottotitolo “Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane”. Secondo il prof. Montanari questo strano sistema di far conoscere l’arte in Italia attraverso “la fabbrica degli eventi” è sponsorizzato, in primis, da soprintendenti e politici poco corretti e poi da sedicenti associazioni pseudo-culturali, in cerca di visibilità, che gravitano intorno ai musei più importanti del nostro Paese. Ma per sostenere realmente il patrimonio storico-artistico (che sempre più spesso cade a pezzi sotto i nostri occhi) non sono tanto necessari i soldi e le leggi – sostiene ancora Montanari – quanto le competenze e le capacità di chi è preposto a custodire e valorizzare tale patrimonio. Patrimonio, poi, che dovrebbe stare alla larga dalle invadenze politiche, mentre oggi viene soggiogato da una classe politica, sempre più avida e incolta. L’arte, con i suoi monumenti, i suoi dipinti, le sue sculture, le sue bellezze deve essere – scrive Montanari nel suo libro -  “uno strumento di educazione alla cittadinanza e di innalzamento spirituale” e pertanto appare assurdo far pagare un biglietto a chi vuole entrare in una chiesa (vedi Santa Croce e Battistero di Firenze), oppure ridurre un museo ad una sorta di mercato affittandolo a dei privati per organizzarvi una sfilata di moda. Il museo, che è il luogo della memoria storica di un paese, ha il compito di educare alla bellezza ed alla civiltà e dovrebbe, quindi, essere sottratto al potere del mercato. La messa in scena di eventi a getto continuo nelle principali città d’arte, spesso con la rappresentazione di soggetti artistici non legati storicamente tra di loro, è diventato il principale obiettivo delle soprintendenze e degli enti locali, che celebrano la retorica menzognera delle “emozioni”, illudendo così i cittadini e facendo loro credere che si possa godere dell’arte, senza conoscenza e senza nessuno sforzo intellettuale. Questa è l’industria culturale che “sta trasformando il patrimonio storico e artistico della nazione italiana in una Disneyland che forma non cittadini consapevoli, ma spettatori passivi e clienti fedeli”.

L’arte - ci ricorda infine il prof. Montanari - non deve trasformarci in turisti ma deve renderci cittadini, migliori e responsabili. E ciò può avvenire a condizione che le nostre città d’arte, i nostri musei non diventino “templi del mercato” dove poter vendere prodotti slegati dal contesto storico, ma siano luoghi di conoscenza, di riflessione, di approfondimento. E luoghi di cittadinanza.

4 commenti:

  1. onestamente sono perplesso. da una parte condivido la maggior parte delle considerazioni del professor Montanari, dall'altra percepisco nelle sue parole un certo assolutismo utopico. Vorrebbe un'arte incontaminata dal denaro e dal "provincialismo culturale" delle masse. Un'arte arroccata nella correttezza dei percorsi culturali privi di scorciatoie e di facili richiami per le folle.
    massimolegnani

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non credo che Montanari sia un sostenitore dell'arte per le elites in contrapposizione all'arte per le masse. No. E' proprio il contrario. Per lui l'arte è di tutti. E proprio perché è un bene comune, non può e non deve diventare un bene di mercato; il mercato forma clienti, non cittadini informati. A volte si costruisce un "evento", gestito da privati (che si arricchiscono), intorno ad un artista i cui dipinti potrebbero essere facilmente ammirati, senza pagare un biglietto, se la gente sapesse dove trovarli e fosse leggermente informata. A Roma, per esempio, esiste un ciclo pittorico del Caravaggio nella chiesa di San Luigi dei Francesi, che non tutti conoscono. Se, invece, viene allestita a Roma una mostra su Caravaggio, subito parte la grancassa mediatica per far conoscere "l'evento". E la gente corre a fare la fila. Ma può anche succedere che una star come Madonna venga in Italia (giugno 2012) e per poter visitare gli Uffizi, gli stessi vengano chiusi al pubblico affinché la "divina" non abbia tra i piedi "il popolo italiano" a cui appartengono. Ecco, il prof. Montanari mette in discussione questo modo di fare arte che non ci aiuta a diventare cittadini, ma ci rende clienti passivi. Ciao Carlo. Un caro saluto.

      Elimina
  2. Concordo sul principio che sanscice l'autore, non penso però che ci siano così tante mostre "nazional-popolari" ma forse solo strutturate in maniera più moderna. Al Ducale di Genova ci sono state tante mostre importanti (Munch, la Kahlo, Picasso al momento) e non mi pare siano state o siano "imprese commerciali".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il problema è che se la gente corre alla mostra e fa la fila per partecipare all'evento mediatico, e poi non entra mai in un museo - dove magari potrebbe trovare gli stessi capolavori - una riflessione certamente si pone. Hanno recentemente fatto una mostra sul "ritorno al barocco" spendendo molti soldi, mentre i tanti capolavori barocchi che si trovano nelle chiese o l'architettura barocca di tante nostre città d'arte cadono letteralmente a pezzi. Questo, per dire, che preferiamo gli "eventi commerciali" alla manutenzione del patrimonio. Così come preferiamo - ma questo è un altro discorso - le grandi opere alla manutenzione del territorio. Grazie per il tuo commento, Daniele.

      Elimina