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mercoledì 21 febbraio 2018

La felicità si può incontrare in una capanna, nel bosco



“noi siamo più soli quando usciamo tra gli uomini che quando restiamo in camera nostra”

“Walden o vita nei boschi” di Henry David Thoreau da sempre viene considerato libro-culto da intere generazioni, in cui si rispecchiano i fautori dell’ecologia, i pacifisti di ogni paese, gli anticonformisti ed i sostenitori di un modello di sviluppo e di vita alternativi a quello vigente. Ricordo di averlo letto, la prima volta, una ventina di anni fa (ed. Biblioteca Ideale Tascabile del 1995) e mi prefiggevo di rileggerlo, perché i grandi libri hanno sempre qualcosa di nuovo da raccontare, soprattutto a distanza di tempo. Appare come un’opera controcorrente se l’accostiamo al genere letterario che esprime la società in cui viviamo, società ossessionata dalla velocità, dal consumismo sfrenato e indisciplinato e dalla tecnologia sempre più invasiva; e chissà se la lettura di questo libro possa mai interessare un ragazzo dei nostri giorni che dà tutto per scontato, disabituato com’è al senso vero delle cose.
Thoreau era il figlio ribelle ed anticonformista dell’America dei primi anni dell’Ottocento, quell’America che si stava appena affacciando al progresso tecnologico ed ai consumi. Venne etichettato “disubbidiente civile” perché disapprovava gli ideali mercantili della sua epoca, tant’è che inseguiva un ideale di vita più umano ed equilibrato, a stretto contatto con la natura ed in sintonia con le stagioni; desiderava “vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita” e voleva dimostrare che l’uomo, rifuggendo la civiltà industriale e consumistica, con poche e semplici cose poteva condurre un’esistenza in armonia con se stesso e con il mondo circostante. Perché, diceva, “un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno”. Forte di queste sue convinzioni, tra la primavera del 1845 e l’estate del 1847, Thoreau abbandonò il consorzio civile e si rifugiò sulla sponda del piccolo lago di Walden, nei pressi di Concord (nel Massachusetts), dove era nato nel 1817. Qui, in mezzo al bosco “a un miglio di distanza dal più prossimo vicino” si costruì, con le proprie mani, una capanna con rozze tavole di legno, contenente poche cose, tra cui: un giaciglio che gli faceva da letto, un tavolo e tre sedie, “una per la solitudine, due per l’amicizia, tre per la compagnia”. E in questo luogo isolato visse per due anni e due mesi, zappando la terra e coltivando fagioli, pescando nel lago, leggendo, ricevendo ospiti nella sua capanna, dedicandosi alla meditazione ed alla contemplazione della natura ed interrogandosi sulle ragioni più profonde dell’esistenza. La solitudine era la sua fidata compagna: una condizione, questa, che vissuta in mezzo alla natura - secondo lo scrittore americano - non creava alcun senso di oppressione e “nessuna oscura malinconia”, come invece può accadere quando ci troviamo da soli in una strada affollata di una grande città. Grazie alla sua esperienza di vita tra le piante e gli animali, tra la terra e il cielo, l’autore ci dice che a contatto diretto con la natura “anche il povero misantropo e l’uomo più malinconico possono trovare la più dolce, tenera, innocente e incoraggiante compagnia”.

“Walden o vita nei boschi” - una via di mezzo tra il diario intimistico e il saggio antropologico – si presta a molteplici chiavi di lettura. Innanzitutto vi scorgiamo una forte contestazione alla logica del potere e del profitto, una logica nefasta che per Thoreau si manifesta sempre con la sopraffazione da parte di chi possiede tali leve. Il tempo che scandisce le sue giornate solitarie sembra poi essere il protagonista occulto di questo libro. Ma non è il “tempo” stabilito da quelle rigide regole della società industriale, il tempo simile ad una merce che esige un prezzo come quando si dice “il tempo è denaro”. No! è invece un tempo a misura d’uomo, legato alle stagioni, alle effettive esigenze naturali ed alle sue più autentiche dimensioni. Il messaggio che Thoreau sembra volerci trasmettere è quello di vivere con lentezza, appropriandoci dei nostri ritmi naturali a discapito della frenesia imperante, lottando contro chi vuole rubarci la cosa più preziosa che abbiamo e che non ha prezzo: il tempo. E, poi, di aspirare ad una migliore qualità della vita e non ad una crescita illimitata, incompatibile in un pianeta dove le risorse sono destinate a finire. Thoreau, vivendo in una capanna in mezzo al bosco, aveva dato un senso alla propria esistenza eleggendo quel luogo a centro dell’universo. E sembra volerci suggerire – quando lui coltiva il suo orticello sulle rive del lago - che bisogna rilocalizzare, ossia produrre la maggior parte dei prodotti necessari alla soddisfazione dei nostri bisogni, laddove si vive. Quel “ribelle” americano dell’Ottocento sembra ancora esortarci a modificare il nostro stile di vita, spendendo e consumando meno in risposta all’ideologia dominante che è quella di produrre e consumare sempre di più.
Da quel punto estremo di osservazione, forse nessuno meglio di Thoreau poteva analizzare, con saggezza e lucidità, la condizione umana nelle sue variegate sfaccettature, tra contraddizioni e falsi bisogni, spingendoci a meditare sulla follia di certi nostri quotidiani comportamenti ed aiutandoci a riconoscere l’essenzialità delle cose. Mi viene da pensare che oggi, chi non sa rapportarsi con la natura e la distrugge con colate di cemento, chi preferisce i rumori di sottofondo al silenzio, chi sceglie sempre la velocità alla lentezza, chi non sa più vivere senza smartphone e non conosce l’attesa, chi non sa fare a meno della macchina e vuole mangiare le fragole a gennaio… ebbene, dovrebbe riflettere sul profondo messaggio che emerge da questo libro e cioè: lo sviluppo illimitato e senza controllo che tutto ingoia e tutto assorbe, non sempre genera felicità.

10 commenti:

  1. mi sorprende una piccola coincidenza: premesso che non ho mai letto Thoreau, pur conoscendone il pensiero, proprio oggi ho pubblicato (su creandoutopie,wordpress.com) un pezzo dal titolo "i luoghi dell'anima: la baita" dove descrivo un luogo ideale tra i boschi con una baita priva di ogni confort ma immersa nella natura.
    A questo punto dovrò procurarmi il libro :)
    massimolegnani

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    1. Evidentemente ci "imboschiamo" negli stessi luoghi :-). Uno come te che ama la natura deve leggere il libro di Thoreau, libro che presenta alcune pagine un po' "pesantucce", diciamo, però nel complesso la lettura rimane piacevole. Ciao carlo

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  2. ti riporto il link
    https://creandoutopie.wordpress.com/2018/02/21/i-luoghi-dellanima-la-baita/

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  3. E' vero, Daniele. Un libro che dovrebbero leggere soprattutto i ragazzi di oggi. Ma quelli preferiscono solo i libri di Fabio Volo...sono più facili e non ti fanno pensare.

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  4. Mi piacciono le comodità e una capanna non me le può offrire. Il silenzio mi mette angoscia e poi nel bosco il mio smartphone non prende. E' un libro che non fa per me. Francesca :-)

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    1. Non so che dirti, Francesca. De gustibus...Grazie comunque per essere qui

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  5. Non ho letto Thoreau, ma, come Carlo, ne conosco il pensiero, decisamente anticipatore nelle tematiche oggi così diffuse sul bisogno di essenzialità.
    E' un tema che sento molto, che mi gira dentro, perché cerco anch'io di placare le insoddisfazioni allontanandomi dall'essenzialità e in questa contraddizione non mi riconosco.

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  6. E' vero quello che dici: a volte cerchiamo di nascondere le nostre delusioni o le nostre insoddisfazioni con dei comportamenti che finiscono, poi, per aggravare la situazione. Come quando ci circondiamo di cose e di oggetti di cui non abbiamo assolutamente bisogno. Thoreau è stato l'anticipatore di tematiche ambientaliste e non solo. Credo che anche i sostenitori della "decrescita felice" abbiano attinto dal suo pensiero

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