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venerdì 26 gennaio 2018

Un altare per la madre



“Non si può pensare a lungo alla morte senza impazzire un poco. Dunque tutti siamo un poco pazzi. Questa leggera pazzia è la normalità, chi non ce l’ha non è normale”  

Un altare per la madre -  F. Camon

 
“La bara avanzava ondeggiando”, accompagnata da un piccolo corteo che “percorreva un sentiero stretto e polveroso, di terra sabbiosa, fra spianate di frumento infestato di papaveri: intorno si vedeva più rosso che giallo, e si sentiva un forte odore di erbaglia verde fermentata al sole…”. Si apre così, con questa malinconica scena immersa in un profluvio di colori e profumi di campagna, il romanzo di Ferdinando Camon “Un altare per la madre”, edito da Garzanti nel 1978. Dietro la voce narrante del libro si cela, molto probabilmente, il suo autore che vuole onorare la persona a lui più cara, sua madre, ma vuole anche celebrare una società, una filosofia di vita, un mondo arcaico ormai scomparso, quel mondo rurale e contadino a cui appartiene e si sente legato, che “non aveva nulla a che fare col resto del mondo”. Era un mondo, quello evocato da Camon, dove il legame alla terra, la vita semplice scandita dalle stagioni e dai suoi riti immutabili, la solidarietà tra le persone, il rapporto quotidiano con la fede cristiana, erano valori fondamentali.
Teatro della narrazione è un piccolo paese della campagna veneta (lo scrittore è nato a Padova) e in quella casa di contadini - da cui è partito il corteo funebre - è venuta a mancare all’improvviso una madre, il riferimento più importante del nucleo domestico, la cui vita è stata spesa tra il lavoro dei campi e la famiglia. Ma è venuta a mancare anche un legame importante per l’intera comunità, perché in un paese ci si conosce tutti e quando muore una persona è come se morisse una parte di ognuno di loro. Per giorni non si parla che del morto “che quindi non è mai stato così vivo”.
Quella gente semplice non sa cosa sia la morte e ne è terrorizzata, come lo è di tutte le cose misteriose, fino a quando non bussa alla porta di qualcuno di loro. E allora la paura sembra svanire. Se ne può finalmente parlare: la morte diventa una parte dell’esistenza. Ma con la scomparsa della madre fa irruzione, anche nella vita del figlio, il pensiero della morte. Della sua morte. All’improvviso si sente messo quasi allo scoperto, per la prima volta. E’ come se la generazione precedente, quella a cui apparteneva la madre che lo aveva partorito, facesse da garanzia e lo nascondesse alla morte: non poteva temerla, perché toccava prima a sua madre, secondo un ordine naturale.
E ora che la madre non c’è più, affiorano nella mente del figlio i ricordi di una vita. Dolore e commozione sono i sentimenti che traspaiono dal libro, la cui scrittura presenta uno stile lineare, asciutto, privo di inutili orpelli, che ci rimanda ad una filosofia di vita molto più semplice, legata a valori e tradizioni propri di quella civiltà contadina in via di estinzione.

6 commenti:

  1. Mi hai fatto venire voglia di leggerlo, forse perché mi specchio in una vicenda simile: mia madre che muore precocemente e torna al suo paese, accolta dalla comunità che le viene incontro fin sulla strada di fuori.
    Avevo scritto un post per raccontarlo, ma non so se ce la farei a ripubblicarlo.
    Grazie comunque della segnalazione.

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    1. La morte di una madre costituisce sempre un momento di grande dolore, che difficilmente si dimentica. Riuscire a scrivere un ricordo di questo triste avvenimento, in versi o in prosa, è una cosa bella e toccante. Un saluto.

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  2. Con un incipit così, direi che è da leggere.
    La morte di un genitore ti mette in prima linea.

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  3. Tema spigoloso, sofferto, difficile. Per quanto non dubito sia un ottimo libro, non so quanto sia attirato a leggerlo.

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  4. Eh, lo so. E' un libro che parla della morte. E noi ne abbiamo paura. Anche solo a nominarla.

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