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lunedì 6 novembre 2017

L'unità d'Italia, dalla parte dei vinti e dei traditori



Nonostante la prosa sia influenzata da leggeri rigurgiti retorici tipicamente ottocenteschi e sia impregnata di un eccessivo lirismo religioso - che apparentemente potrebbero appesantirne la lettura - devo dire che nel suo insieme il romanzo storico “L’alfiere” di Carlo Alianello (pubblicato la prima volta nel 1942), presenta interessanti spunti di riflessione, che potrebbero incuriosire quei lettori interessati all’approfondimento delle innumerevoli tematiche risorgimentali.

Attraverso le vicende dei due protagonisti del romanzo - quali l’Alfiere Pino Lancia (di origini lucane), un giovane ed aristocratico ufficiale dell’esercito del Regno delle due Sicilie, pervaso da una salda e indiscussa fede borbonica ed il monaco siciliano Frà Carmelo, sostenitore della lotta garibaldina e, successivamente, cappellano delle truppe borboniche, messaggero di una forte e popolaresca fede religiosa - Alianello ci racconta, in maniera appassionata, la guerra fratricida combattuta fra le truppe borboniche e quelle garibaldine. Ma ci racconta anche la “storia” dalla parte dei vinti e dei traditori che, forti dei loro ideali di libertà - i primi - e delle loro meschine opportunità - i secondi - combatterono fino all’ultimo la stessa battaglia.

Nella prima parte del libro – che io ho trovato alquanto lenta ed a tratti anche noiosa, tant’è che mi sono trovato più volte sul punto di abbandonare la lettura - Alianello si sofferma in modo particolare sui dettagli dei numerosi scontri in territorio siciliano; e lo fa attraverso la descrizione di una variegata umanità povera e sofferente, per lo più appartenente alle classi più umili e disagiate del regno borbonico, la quale si trova a dover combattere una guerra già perduta in partenza e che fa da contorno ai due personaggi principali sopra citati, i quali si alternano nelle pagine del romanzo attraverso le loro personali e parallele vicende umane e cristiane. I due protagonisti del romanzo (che si incontreranno solo nei pressi di Gaeta, ultima roccaforte del Regno di Francesco II di Borbone), contribuiscono in maniera diversa e complementare a disegnare uno spaccato di un periodo storico molto controverso come quello risorgimentale. Pino Lancia, simbolo dell’onore militare, della fedeltà alla bandiera e degli ideali incorruttibili, è il fedele servitore di un regno in disfacimento, quello borbonico, attaccato dai Piemontesi, in nome dell’unità d’Italia; Frate Carmelo, invece, “con la camicia rossa e il cordone di S. Francesco”, emblema universale della pace e della cristianità nel mondo, è il servitore devoto di una chiesa che ha come compito spirituale quello di dare conforto e redimere dal peccato tutti gli uomini in guerra, sia quelli fedeli alla monarchia borbonica, che quelli avversi.

Il libro è pervaso da una sorta di sconsolata rassegnazione sull’esito di una guerra che appare irrimediabilmente perduta dall’esercito borbonico, guidato da generali corrotti e incompetenti, un esercito che sebbene fosse integro e ben armato, nonostante fosse molto più numeroso delle truppe garibaldine “...capitolava ignobilmente disponendosi a uscir da Palermo con armi e bagaglio”. Avvertiamo, inoltre, tra la descrizione di una battaglia e l’altra, tra una delusione ed una sconfitta, anche il tormento sentimentale di Pino Lancia per i suoi vagheggiamenti amorosi, a volte platonici ed a volte passionali, incarnati da tre donne molto diverse l’una dall’altra, che vogliono rappresentare tre differenti stati d’animo nei confronti del sentimento universale dell’amore.

Il libro vuole anche essere un’amara testimonianza sul comune sentire di un popolo, quello meridionale, che non crede più agli uomini che lo rappresentano nelle istituzioni, “perché sono tutte facce dello stesso Pulcinella”. Dietro le parole astratte di Stato e Patria, spesso si nascondono gli uomini peggiori, che si manifestano con gli imbrogli, la corruzione, i traffici illeciti, le truffe. Ma “chi è il nemico vero del mio paese?” si chiedeva Pino Lancia, “Garibaldi e i Piemontesi che vengono di fuori e a tutti i costi ci vogliono regalare questa benedetta libertà, che chi sa che gli pare e il mondo resterà sempre quello che è, o quelli che ci hanno governati sino ad ora, che hanno voluto ed hanno tollerato, per i loro fini, il sopruso, il raggiro, la corruzione?”

Insomma, tutto cambia affinché nulla cambi, sembra essere l’amara conclusione; lo stesso spirito che ritroviamo in seguito anche nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, e che sembra accompagnare da sempre la storia e le sorti del nostro Paese.

9 commenti:

  1. Il Regno delle due Sicilie, governato dai Borbone, era uno stato ricco e progredito. Per questa ragione fu attaccato e conquistato dai Piemontesi, che ai quei tempi era uno stato pieno di debiti. Da allora - e cioè dall'Unità d'Italia - il meridione non si è più ripreso, mentre il nord è diventato sempre più ricco. Ma la storia ufficiale, quella che ci viene raccontata nei libri, porta avanti un'altra verità.
    Piero, meridionalista convinto

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    1. Carlo Alianello era, appunto, un revisionista del Risorgimento italiano. Egli non rinnegò mai l’Unità d’Italia, però, attraverso i suoi libri, si adoperò per far conoscere come si svolsero realmente i fatti dell’unificazione italiana. Sosteneva, infatti, che una potenza straniera (il Piemonte) aveva invaso uno stato sovrano (il Regno delle due Sicilie), con tutte le drammatiche conseguenze che ne derivarono. L’accusa di filoborbonismo fu la causa della sua emarginazione dal mondo letterario. Il romanzo “l’Alfiere” è una delle sue opere controcorrente che mette, appunto, in discussione la verità “ufficiale” della guerra tra garibaldini e truppe borboniche.

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  2. Interessante, senza dubbio, ma mi frena dall'acquisto il fatto che tu sia stato sul punto di abbandonarlo. Io sono meno paziente di te, e in quello stesso punto sono certo che mi arenerei irrimediabilmente.
    In compenso ho terminato il viaggio di Ceronetti, da te suggerito. Lettura ostica ma necessaria, scrittura non sempre agile e riflessioni non sempre condivise, ma e' stato il mio un viaggio affascinante tra i pensieri e i comportamenti di un uomo colto

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  3. (mi e' partito l'invio)
    ..acuto e indubbiamente originale (incredibile quanti diminutivi usa, ma, riconosco, mai a sproposito)
    massimolegnani

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    1. Caro Carlo, mi fa piacere che tu sia riuscito a portare a termine il "viaggio" di Ceronetti. E se hai superato una lettura così "ostica", sono sicuro che non avresti difficoltà a leggere Alianello, a prescindere dalla tua minore pazienza. L'unico problema è che "l'alfiere" rientra tra i romanzi storici e, se non sbaglio, tu non prediligi molto questo genere di lettura. A tal proposito, devo dirti che mi sono avventurato tra le storie di Simenon - il tuo autore preferito, che mi hai consigliato - iniziando a leggere "l'uomo che guardava passare i treni". Ebbene, se il prosieguo della lettura rispecchia le impressioni delle prime trenta pagine già lette, posso dirti, fin da ora, che il libro è un autentico capolavoro: per intensità di narrazione e scavo psicologico dei personaggi. Un caro saluto.

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  4. sempre interessanti e professionali le tue recensioni, è un genere che mi affascina senza incantarmi, in fondo, tutte le cartine geografiche sono state tracciate da guerre e invasioni. Forse si salva solo la scissione della ex Cecoslovacchia.
    In un mondo avvezzo a leggere la storia scritta dai vincitori, il punto di vista dei vinti diventa illuminante

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    1. Grazie davvero per le tue parole, Tads. E' vero quello che dici: la storia la scrivono sempre i vincitori, mai i vinti. E i vincitori, naturalmente, non si creano problemi nel nascondere documenti e testimonianze che, invece, raccontano un'altra verità...un'altra storia...altre vicende. Qualcosa del genere è successo anche in occasione dell'unità d'Italia. Pochi libri, per esempio, ci dicono che i Borbone (e il sottoscritto non è un simpatizzante borbonico), erano molto attenti al benessere del popolo, tant'è che in oltre cento anni di regno, non avevano mai aumentato le tasse, che erano poche e di facile riscossione. Napoli, la capitale del regno, a quei tempi, era la terza d'Europa per modernità e cultura. La Calabria possedeva le più grandi e moderne acciaierie d'Italia...ma queste cose non sono state scritte nei libri scolastici. Così va il mondo, caro Tads. Un caro saluto

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  5. Concordo con l'ultimo passaggio di TADS, per questa ragione questo libro diventa particolarmente interessante.

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    1. E' vero, Daniele: bisognerebbe sempre conoscere le ragioni dell'altro.

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