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mercoledì 6 settembre 2017

Ceronetti e il suo viaggio nell'Italia invisibile



“Quella che vedo e vado percorrendo è un’Italia ormai completamente stravolta, sfigurata e priva di senso”

“La gamba ancora inferma, e troppi libri nella valigia. Il bagaglio mi pesa, qualcuno dovrebbe portarmelo, apparendo e sparendo al momento giusto. Prenderò treni, corriere, taxi; andrò a piedi”. Questo l’incipit di “Un viaggio in Italia”, intrapreso da Guido Ceronetti oltre 30 anni fa (tra il 1981 e il 1983), su richiesta dell’Editore Giulio Einaudi - che di recente ha ristampato il libro – il quale conosceva molto bene lo stile pungente del suo conterraneo. Quello di Ceronetti, è un vagabondaggio senza una meta precisa in lungo e in largo per l’Italia degli anni ‘80, attraverso grandi città e piccoli paesi di provincia, alla scoperta di piazze, monumenti, chiese, musei, con un’attenzione particolare a quei luoghi marginali come i cimiteri e gli ospedali, le case di cura e le carceri, le stazioni ferroviarie e i manicomi, i locali pubblici e le zone industriali. E’ soprattutto il racconto di quell’Italia non riportata nelle guide turistiche, che non appare nelle cartoline illustrate; quel Paese invisibile, poco conosciuto, che esiste ma che a volte viene nascosto oppure visto diversamente da come si presenta. Questo suo reportage è una sorta di diario sui generis affollato di pensieri, riflessioni corrosive sui costumi degli italiani, epitaffi funerari intravisti nei cimiteri, scritte rilevate sui muri dei luoghi visitati, sui manifesti pubblicitari, nelle sale d’aspetto delle stazioni. E’ una lunga e graffiante denuncia di brutture urbanistiche, di degrado e devastazioni ambientali susseguenti al boom economico, ma è anche un elenco di volgarità comportamentali che feriscono e indignano l’autore.
Ceronetti  inizia questo suo originale viaggio da Trieste “che non ha voglia di riprodursi, abortisce molto…e che di notte è un po’ Calcutta, sommersa dalla carta sporca” per colpa soprattutto degli Slavi. Vede, poi, una Genova “tristemente sfigurata…e quella che stanno progettando sarà bruttezza infinita”. Fino a Voltri “tutto è incubo industriale”. A Pavia trova una città deserta e resta sbigottito nel conoscere il motivo che la svuota: sono tutti davanti al televisore a guardare una partita di calcio della nazionale. A Milano “niente è bello, eccetto il castello. Questo simbolo della pura forza è l’unica immagine di gentilezza che la città conservi. Antenati bruti, ma spirituali”. Assiste a comportamenti di “bestialità pura” in Piazza della Scala dove una banda di giovinastri “tra gli sghignazzamenti” prende a calci un povero piccione che non riesce a volare. Nota che a Firenze “il rumore di motori è sempre più intollerabile, la sua escandescenza più persecutrice”. Ma Firenze è anche “un luogo arcano, un’arcana conca spirituale”. Trova delizioso il vecchio albergo Universo di Lucca, dove lui si può abbandonare “al piacere di essere triste”. E, sempre a Lucca, visita il vecchio ospedale in abbandono dove gli sarebbe piaciuto fare il medico “tra i busti e le crepe, avviluppato nel grande lenzuolo della sofferenza umana, prescrivendo pochissimo, tisane e qualche cardiotonico, aiutando a morire bene, con poco dolore, gli incurabili, chiudendo finestroni, rincalzando coperte, leggendo poesie ai più intelligenti”. Palladio, a Vicenza, non gli piace perché “privo di anima” e poi “gli raggela il cuore”. Esplora poco il Mezzogiorno perché – scrive – “non mi adattavo al suo vivere, lo scempio era già troppo avanti”. Però trova tempo, modo e parole per farsi sentire e, forse…per farsi odiare. Scrive, infatti, che Napoli “è uno dei peggiori luoghi d’Italia”. Ma, tanto per capirsi, lui non ce l’ha solo col meridione d’Italia perché “tutta intera questa nazione non è più che uno sbubbonare di tante Napoli, che se anche non sanguinano come Napoli, ne riproducono sintomi, crolli, abbrutimento”. Visita Salerno, la cui bruttezza “è deprimente”. Invece la bruttezza di Messina è “diffusa bene, come un cancro”. E mentre a Catania “la gente usa le strade con inciviltà spaventosa, dove non c’è di bello che quel che è in sfacelo”, i paese etnei “sono orribili aggressioni di geometri deliranti, incrostazioni di rogna sulle pendici sublimi”. Annota, nel suo peregrinare per la Sicilia, che il paesaggio dell’isola “velato dalla pioggia è di un’irraggiungibile bellezza; perde con il sole”. Si consola con la bellezza di Noto che è “accecante”. Aci Trezza, invece, è “un lebbrosario edilizio, un luogo sciagurato”. E scappa a precipizio da Taormina, soffocata dal turismo di massa “che non è la presenza di qualcosa, ma la privazione a pagamento di tutto”. Nei pressi di Augusta resta affascinato da una visione bucolica: “un solitario aratore affondava l’erpice tirato da due magnifici cavalli bruni in un piccolo campo. Era certamente conscio – scrive Ceronetti – di essere, col suo campetto e i suoi cavalli da Iliade, condannato a sparire, eppure arava, con pazienza, con disprezzo, con umiltà, con sapienza. Un Dio in incognito, un Dalai Lama in esilio, un simbolo, o semplicemente un uomo forte e tranquillo. Non sapeva che quel suo erpice è una spada, che il luogo dove arava ha il segreto nome di Termopili”. Visitando Reggio Calabria, non riesce a sopportare la bruttezza delle sue strade “la via centrale, interminabile, americana, non arriva in nessun posto”. E non poteva mancare la visita ai Bronzi di Riace “che sono divorati da una folla insaziabile” che non si stanca mai di ammirare quei glutei “sublimi” capaci di ridestare “anche le nostre vecchie chiappe malaticce…Un’industria prospera su di loro, se ne vendono le immagini a migliaia di migliaia”. E che dire, poi, dei calabresi: a suo dire hanno tutti una faccia concentrata e “sembrano, anche non pensando, una nazione di filosofi”.

Ha parole durissime nei confronti del suo prossimo e delle persone che incontra durante il suo girovagare. “Vorrei non avere più niente in comune con l’uomo – afferma - essere un puro pensiero che ne ignora la miseria e la figura. Vendicarsi di lui col silenzio, col rifiutargli la parola”. E ancora: “Sto su un bel tappeto di muschio, tra le cicale, di qua e di là ho soltanto montagne. La felicità è di non vedere esseri umani, una tregua al bisogno di servirsene e di servirli”. Sostiene che il popolo italiano “dopo tanta storia, è più che mai rincretinito…non c’è un vero cittadino in queste città, come non c’è un vero spirituale in questo paese cristiano”. Se la prende anche con la cucina italiana “fatta di scarti, senza più idee, misurata sul gusto indecente del turista-di-massa”. Pensate: lo dice uno che è vegetariano. Per la cena di San Silvestro, si trova a Siena, mangia nella camera d’albergo: “miglio e zucca, finocchio crudo, ricotta con confetture di castagne, cavallucci di Siena, olive, poi tisana di eucalipto, mentre fuori tutti addosso ai ravioli e alle povere bestie massacrate per festeggiare, tra nuvolaglie di fumo e stappamenti di micidiali bottiglie”.
“Mio Dio – scrive Ceronetti, evidentemente in un momento di sconforto - quant’è brutta l’Italia! Di bellezza restano poche, assurde tracce: beato chi le ritrova e le segue, fuori di questo mondo”.

Un libro cinico e appassionato con cui riflettere, con pagine memorabili di sferzante ironia, scritto con intelligenza da un grande intellettuale dei nostri tempi, che probabilmente fa storcere il naso a tante persone. E’ una sorta di excursus nel variegato pensiero dello scrittore piemontese, che ho imparato a conoscere attraverso la lettura di qualche suo precedente libro; è, per finire, il solito controverso Ceronetti - oggi novantenne - senza peli sulla lingua, sempre disorientante e catastrofico, colto e divertente, pungente e arguto, che usa la penna come fosse una frusta. Tanto da apparire irriverente, razzista, irritante, provocatorio, antipatico.

10 commenti:

  1. deve essere davvero affascinante questo libro di un personaggio solitario, cinico e amorevole (il passaggio che citi sull'ospedale in abbandono e sui suoi pensieri che ne scaturiscono è qualcosa di sublime) rabbioso, scorretto e libero.
    massimolegnani
    (me lo segno)

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    1. Quel passo sull'ospedale, che aveva colpito anche me (e per questo l'ho riportato), nessuno può apprezzarlo meglio di te... Ho usato molti aggettivi per definire la complessa personalità di Ceronetti, dimenticando quello che meglio lo interpreta e che, forse, li contiene tutti: "libero". Una persona libera da lacci e lacciuoli, chiese e partiti: questo è Ceronetti. Mi farai sapere, se poi dovessi leggere il libro. Sappi, però - e l'ho ribadito nel post - che non è il classico e romantico libro di viaggi, alla grand tours. Tanto per intenderci. Ciao Carlo, un caro saluto

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  2. Con tutto il rispetto per Ceronetti, ma quest'Italia non mi sembra tutta da buttare via.
    Antonio

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    1. Caro Antonio, l'Italia non è da buttare ma da salvaguardare. Abbiamo ereditato da una natura benevola, ma anche da geniali artisti del passato, tantissime bellezze. Il problema è che spesso non sappiamo custodirle e le lasciamo morire. E' pur vero che le bruttezze, in questo nostro bel paese, non scarseggiano. Ceronetti, nel suo viaggio di 30 anni fa, qualcuno di questi obbrobri l'ha visto e l'ha descritto. A modo suo, naturalmente. Come solo un grande osservatore sa fare. Devo dire che - dagli anni '80 ad oggi - le bruttezze sono pure aumentate, mentre le bellezze (quelle che non siamo stati capaci di mandare in rovina) sono ancora lì, che sfidano i secoli e l'incuria degli uomini. Un saluto a te.

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    1. Ceronetti non ama i principi del "politicamente corretto". E' uno che disturba e i suoi libri sono, appunto, disturbanti. Si può anche non essere d'accordo con lui, resta il fatto però che a volte il suo pensiero fa vacillare le tue certezze.

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  4. Per quanto controverso, Ceronetti è stilisticamente un maestro. Ho letto molti suoi libri, questo mi manca. Grazie per averne parlato. Condivido soprattutto il suo giudizio su Milano, città in cui sono nato, città senz’anima ormai.

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    1. Si, Un maestro illuminante. Non conosco Milano come te e mi par di capire che un tempo avesse un'anima. Consolati perché Roma, la città in cui vivo, sta peggio. L'anima dei luoghi, l'identità profonda tra natura e cultura come la interpretava J. Hillman, è sparita dalle città.

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  5. Le parole degli spiriti liberi dai conformismi di pensiero, capaci di rendersi antipatici con le loro verità nude e, a volte, fin troppo tragiche, costituiscono sempre una grande risorsa/stimolo di riflessione.
    Diverso è quel genere di bastian contrario a prescindere, che blatera contro il mondo mettendoselo sotto i piedi, convinto di essere sempre un po' più in alto di chiunque altro.
    Lo voglio leggere, dalle tue parole ricavo l'impressione di un libro che sfiora la preveggenza sull'evoluzione dei nostri mali.

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    1. Sono d'accordo con te e credo che Ceronetti sia davvero uno spirito libero, senza falsi infingimenti che, a volte, ti disorienta con le sue idee "fin troppo tragiche", comunque discutibili. Nessuno è portatore di verità assolute. Buona lettura...poi mi farai sapere.

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