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martedì 26 gennaio 2016

Da Sapri con dolore



Può capitare che un libro – su cui avevi riposto interesse ed aspettative, anche in forza dei giudizi positivi espressi dalla critica – ti lasci, a lettura terminata, una sorta di amaro in bocca. E non ti sai spiegare il perché, nonostante lo stile della scrittura sia altissimo. Arrivi quasi con fatica all’ultima pagina, magari saltandone anche qualcuna, e ti accorgi che la storia che hai appena finito di leggere non ti ha soddisfatto del tutto. Hai come la sensazione di non averlo letto con la dovuta attenzione, di non essere riuscito ad immedesimarti nella psicologia dei personaggi, interrompendo troppe volte la lettura oppure di avere scelto il momento forse meno adatto per interiorizzarlo. E quell’amaro in bocca ti fa quasi pensare ad una tua evidente sconfitta, ad una tua incapacità di comprenderlo nella sua intima essenza. E allora – quasi a voler confermare la qualità letteraria del romanzo – ti assale e ti tormenta un strano pensiero che ti spinge a rileggere il libro. Tali sono state le sensazioni di fronte a “Il dolore perfetto” di Ugo Riccarelli, uno scrittore piemontese (era nato a Ciriè in provincia di Torino), morto a Roma nel 2013 a soli 58 anni. Ma sinceramente non so se avrò di nuovo la voglia di riprenderlo tra le mani, per recuperare ciò che in questa prima lettura non ho saputo cogliere.
La storia prende le mosse da un paese del Sud, Sapri. Ci troviamo negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia. I “trecento” di Carlo Pisacane erano stati massacrati proprio da quei contadini che volevano liberare dal dominio borbonico, mentre il nuovo stato italiano era nato nel nord ma nelle campagne di Sapri - incontrastato feudo di una classe di notabili avida e prepotente, pronta a saltare sul carro del vincitore - si manifestava soltanto con i suoi soldati violenti e con la consueta ingiustizia e sopraffazione. E da questo Sud antico, arretrato e sfruttato, da questa civiltà contadina arcaica e immobile, emigra verso il Centro-Nord un giovane maestro, con le sue idee anarchiche che non riconoscevano autorità né allo Stato, né al Re, né alla Chiesa; un idealista animato da un utopistico progetto rivoluzionario di rivalsa sociale, convinto che “anche i cafoni hanno un cervello”. Approda in Toscana in un piccolo paese (Colle) che apparentemente gli ricorda la sua Sapri, seppure con le dovute differenze: “i contadini e la povera gente – scrive l’autore - erano povera gente qui come dalle sue parti, ma i volti erano meno spigolosi, le facce più aperte al sorriso, quasi che la bellezza del paesaggio (…) avesse mitigato anche i suoi abitanti (…) e fu colpito dalla gentilezza delle donne. Non che quelle delle sue parti non fossero gentili, ma mantenevano sempre, in ogni circostanza, un riserbo, quasi una scontrosità che le isolava in una sorta di mondo a parte…”.  Il “Maestro” – verrà chiamato così durante tutta la narrazione – si innamorerà, in questo ambiente descritto quasi in maniera fiabesca e idilliaca, di una vedova del posto da cui avrà 5 figli ed ai quali darà nomi assai simbolici, in linea con le sue idee: Ideale, Mikhail, Libertà, Bartolo, Cafiero. La vedova Bartoli, con amore e dedizione, asseconderà le idee del maestro e lo sosterrà anche nei momenti di grande difficoltà in cui verrà a trovarsi, a seguito delle sue battaglie politiche che lo costringeranno alla fuga ed all’esilio.
Nel corso degli anni le vicende della famiglia Bartoli si intrecciano, attraverso amori e matrimoni, con quelle della famiglia Bertorelli, commercianti di maiali i quali - appassionati di epica e di Omero - amavano leggere, nelle sere d’inverno accanto al camino, l’Iliade e l’Odissea e si tramandavano, di generazione in generazione, i nomi degli eroi dei poemi omerici: Ulisse e Telemaco, Paride e Ganimede, Enea e Didone... Due famiglie, due modi diversi di vedere la realtà e la vita: idealisti gli appartenenti alla famiglia del “maestro”, materialisti i commercianti di maiali. Eppure, nonostante le differenze, i due gruppi familiari riusciranno a trovare punti d’incontro e di condivisione. E le vicende umane e spirituali di questo microcosmo, che racchiude matrimoni e nascite, amori struggenti e divisioni laceranti, si sovrappongono ai drammatici avvenimenti della Storia che vanno dalla tragica spedizione di Sapri condotta dal Pisacane, fino al secondo dopoguerra, con le sue rivolte, le sue epidemie, i suoi morti, le sue speranze. Il dolore è sempre presente nelle pagine del libro; è un sentimento ricorrente, forte e perfetto, come dice il titolo, un aspetto predominante del racconto che si esplica nei momenti drammatici dell’esistenza ma anche negli attimi di gioia del quotidiano. Un dolore perfetto, che abbaglia e che si percepisce non solo quando la vita lascia il posto alla morte, ma anche quando la vita fa nascere una nuova vita. Ed è ciò che intuisce Annina, uno dei tanti personaggi del romanzo, mentre passa dalla vita alla morte: “Appena qualche attimo prima di morire, appoggiata al nocciolo del giardino, l’Annina emerse dall’ombra in cui la sua mente si era nascosta da molti anni e, all’improvviso, in quei brevi istanti che la morte ancora le concesse (…) vide sua madre partorirla urlando di un dolore che le sembrò perfetto, e solo alla fine, quasi spiando, scorse la propria testa uscire da quel corpo rosso e gonfio dallo sforzo, e sentì per l’ultima volta l’odore di viole del suo fratello gemello che da dentro la pancia la spingeva nel mondo”.

2 commenti:

  1. a volte non basta la bella scrittura e l'intensità della narrazione, se manca la disponibilità del lettore, se il momento della lettura è sbagliato.
    capita e mi capita: ho bocciato libri che anche durante la lettura giudicavo buoni ma contemopraneamente sentivo freddi, come morti e distanti. viene a mancare il ponte, l'incontro tra scrittore e lettore e non è colpa di nessuno :)
    massimolegnani

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    1. E' vero quello che dici:l'incontro tra scrittore e lettore e ' fondamentale. Il guaio e' che a volte lo scrittore ce la mette tutta, pero' manca la disponibilità' del lettore :-). Ciao Carlo e ciao massimo

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