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venerdì 21 marzo 2014

Telefono ergo sum



Ve la ricordate quella locuzione latina “cogito ergo sum” che letteralmente significa “penso dunque sono”? La pronunciò Cartesio più di 400 anni fa. Il filosofo francese sosteneva che l’uomo è sicuro di esistere in quanto è un soggetto che dubita e quindi, avendo la capacità di dubitare, egli pensa. Se fosse vissuto nella nostra epoca ed avesse avuto la possibilità di osservare come si comporta oggi la gente per strada, avrebbe sicuramente affermato: “telefono, ergo sum”.

Ai nostri giorni l’uomo esiste in quanto telefona, non in quanto pensa. Se uno non ha nulla da dire, dovrebbe stare zitto, dovrebbe osservare il silenzio: invece no. Telefona.

Mi viene da pensare che quando il cellulare non esisteva (solo una ventina di anni fa) l’idiota non era facilmente riconoscibile: si, perché non avendo la possibilità di esternare pubblicamente il suo pensiero, il silenzio lo copriva, lo rendeva non facilmente identificabile.

Il telefonino l’ha smascherato, l’ha reso visibile.

Lui telefona per appartenere al mondo e per sentirsi vivo. Telefona per esprimere il suo amore alla sua donna, attento però che intorno a sé abbia molti ascoltatori. Urla per riferire il suo sdegno contro quell’arbitro cornuto che non ha concesso “un rigore netto” alla sua squadra del cuore e per avvertire la moglie che sta arrivando, si trova a pochi metri da casa, e che buttasse pure la pasta. Telefona sempre con un occhio al suo uditorio, per affermare la sua autorevolezza e per richiamare l’attenzione su di sé, come se fosse un diritto/dovere farsi sentire. La sua enfasi è in funzione degli ascoltatori: se è colpito da una bella ragazza, diventa una modalità per conquistarla, dicendo magari che ha appena comprato una Ferrari; se vuole darsi una certa importanza, dice che si farà sentire al prossimo consiglio di amministrazione. Ho sentito uno dire che non andava di corpo neanche con il clistere (giuro! ) e che detestava la pizza alle quattro stagioni. Telefona sempre a chi sta lontano, ma le sue parole sono rivolte soprattutto a chi sta vicino.

E chi gli sta vicino è costretto ad ascoltare queste memorabili conversazioni, a subire senza possibilità di scampo un supplizio senza fine. Ma la cosa buffa è che, chi appare seccato per la telefonata del vicino, appena squilla il suo apparecchio telefonico si comporta allo stesso modo, dimenticando il fastidio che aveva provato prima ed incurante del disturbo che a sua volta arreca. Vittime e carnefici, controllati e controllori si scambiano i ruoli. Quelli che prima subivano la telefonata dell’altro, si vendicano telefonando, anzi urlando.

L’uomo oggi ama farsi sentire perché altrimenti ha l’impressione di non esistere. Con un telefonino in mano si è vivi, si è in contatto con il mondo e si può comunicare, contemporaneamente, con un interlocutore lontano e con tanti vicini, si può andare su internet, si possono inviare e ricevere e-mail, si può fare tutto. E’ una protesi che si indossa ogni mattina, appena si esce di casa. E’ la droga del terzo millennio: smartphone, iphone, tablet e chi più ne ha più ne metta. E come tutte le droghe, genera dipendenza. Si ha paura di essere tagliati fuori da questa comunicazione continua e incessante, si va in fibrillazione quando si dimentica il cellulare o si teme di averlo perso. E poi quella smania di controllarlo continuamente in cerca di notizie, messaggi, chiamate perse, pagine facebook.

E’ uno strumento rivoluzionario che è entrato in noi, ci condiziona, ci modifica, ci rende diversi. Da esseri umani ci ha reso esseri digitali. Non escludo che nel futuro venga impiantato sotto pelle ai nascituri. E allora chissà se – nell’ascoltare il vagito di un bambino appena nato – non sorga un dubbio: ma sarà la sua prima manifestazione di gioia alla vita, o la suoneria del suo telefonino che annuncia il primo messaggino di auguri del gestore di telefonia mobile?

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