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sabato 4 gennaio 2014

Paese mio che stai sulla collina...


Quanta malinconia mi suscitano le persone che non hanno un paese a cui aggrapparsi!

Non mi riferisco agli apolidi, ossia a coloro che nessuno stato riconosce come propri cittadini. No. Sto parlando, invece, degli abitanti delle grandi città, che non hanno mai conosciuto un paese di origine, che non hanno avuto la fortuna di nascere in un piccolo borgo, in uno di quei tanti minuscoli e pittoreschi comuni dell’Italia che rappresentano, secondo me, la vera anima di un territorio.

Cesare Pavese nel suo romanzo “La luna e i falò” scriveva che “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

Quanta verità in queste semplici parole.

Anche Piero Chiara, lo scrittore nato a Luino, in provincia di Varese, in quasi tutti i suoi libri raccontò quella provincia lombarda, un po’ sonnacchiosa e oziosa, affacciata sulle rive del Lago Maggiore. Anche lui si sentiva parte integrante di quel territorio perché “portava indosso, come tutti quelli cresciuti in un paese, una crosta di rustichezza”. Ed ogni volta che usciva fuori del paese, era invogliato a ritornare su quelle sponde del lago dove era nato, dove il tempo stagnava, dove anche la noia era sopportabile e dove non sarebbe stato mai solo, perché ad ogni passo avrebbe incontrato un amico con cui andare in barca, giocare a carte o a biliardo.

Confesso che questo sentimento del “ritorno” mi assale sempre più spesso.

Si, perché anch’io ho un paese che mi aspetta, da cui sono andato via, sperimentando quel “gusto di andarsene”, come scriveva Pavese. Se ne sta lì adagiato su una collina che si affaccia sul mare, contornato da ulivi secolari    e da querce, da castagni e da viti, come immobile nel tempo. E’ un paese del Cilento, terra di miti e di bellezze naturali, in cui si realizza sapientemente l’incontro tra il mare e la montagna.

I più “vecchi” ricorderanno senz’altro quella bella canzone degli anni 70, cantata da José Feliciano:

“Paese mio che stai sulla collina
disteso come un vecchio addormentato
la noia l'abbandono il niente
son la tua malattia
paese mio ti lascio e vado via”

Soprattutto dalle giovani generazioni il paese, a volte, viene visto così, un po’ sonnacchioso, noioso, dove non succede mai niente, da cui si vorrebbe scappare. Poi si ritorna, inevitabilmente.

Perché “paese” vuol dire equilibrio tra passato e presente, tra una razionalizzazione a volte spinta agli eccessi ed un modo di vivere più naturale, vuol dire sforzarsi di trovare un modo di essere se stessi più genuino, libero da mode effimere e passeggere e da condizionamenti negativi, vuol dire scegliere ritmi di vita più lenti, lontani dal frastuono e dalle folle.

Io quando vedo due vecchietti che se ne stanno seduti su una panchina in un prato spelacchiato di periferia di una grande città come Roma – dove vivo abitualmente - mi rattrista il cuore. Quell’immagine sintetizza molto bene lo spaesamento e l’emarginazione che provoca la metropoli sui suoi abitanti. Ebbene, se io provo ad immaginare gli stessi vecchietti seduti su una panchina antistante il sagrato della chiesetta del paese, la reazione emotiva che ne traggo è totalmente diversa. Non vedo più la solitudine, ma un quadro familiare di grande serenità. Quei due vecchietti, che in quel contesto urbano sembrano aspettare la morte, portati i un ambiente più naturale, come può essere il paesello che li ha visti nascere, evocano sentimenti di pace, di tranquillità, di longevità.

Il paese, quindi, come medicina del corpo e dell’anima.
Un’ancora di salvezza.

4 commenti:

  1. Belle e condivisibili parole.
    Franco M.

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    1. Grazie...poter condividere un pensiero fa sempre piacere

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  2. Il suo pensiero può essere condivisibile, ma è senz'altro legato al suo modo di essere: lei, avendo avuto le radici in un piccolo paese da cui si è staccato da giovane, in seguito col passare degli anni e della vita ha sentito sempre più pressante il desiderio di farvi ritorno per ritrovare quel sano amore per la campagna che certo in una grande città come Roma, ad esempio, che è la città dove io, invece, sono nata e cresciuta e dove sono nati i miei genitori è più difficile trovare. Ricordo che alcuni anni fa ad un collega amante della campagna io cittadina scrivevo così: “Come si fa a non amare Roma? E dici bene, proprio come i grandi amori, le grandi passioni, i grandi sentimenti si può arrivare ad odiarla, anche. Perché? Perché la invadono orde di gente da tutte le parti del mondo, da tutti i paesi della terra, la insozzano e la maltrattano davvero come una puttana che accoglie quasi senza dire nulla con la scusa che è il centro della cristianità, la città dove risiede il Papa. Ma ti rendi conto chi è il Papa e quanti ce ne sono stati prima di questo? Oltre 300. Insomma, è una città sacra che ammalia con il suo fascino antico e moderno allo stesso tempo, dove si può trovare davvero di tutto e di più, dove basta allontanarsi dalle periferie verso quel centro che fu la culla dell’Impero Romano e sentire che quei nostri avi sono ancora lì, quasi immortali. Io non solo amo Roma, ma essendo vissuta sempre qui e, a differenza di te, poco a contatto con la campagna, sento di avere in questa città le mie radici e se anche un giorno, quando sarò più anziana decidessi di ritirarmi in campagna perché a una certa età la quiete attira di più del caos, non c’è dubbio, ogni tanto vi tornerei per rivivere attraverso i ricordi la mia storia, il mio vissuto. Certo, non ti nascondo quanto alle volte mi senta urtata dal traffico, dall’odore nauseabondo di smog, dalla violenza delle persone che ti urtano senza neanche chiederti scusa, dal fatto che mai andrei in giro di sera da sola per paura che mi accada qualcosa di male, mentre per farti un esempio, vado tranquillamente da sola di sera nel paesino abruzzese dove mio padre ha casa. Cosa ci vuoi fare, ogni medaglia ha il suo rovescio, non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo. Per fronteggiare queste situazioni, secondo me, è necessario imparare a gestirle, ovvero alternare il vivere in città con periodi in campagna. ..Più passano gli anni e più io non ho paura a stare anche da sola. Ho imparato a stare bene con me stessa, mi accetto molto di più, spesso mi amo anche molto e quindi figurati se non saprei starmene a guardare le stelle con un libro in mano davanti al fuoco di una casa in campagna o seduta in un giardino coltivando fiori e rose come una vecchia signora inglese! Insomma, caro collega, apprezziamo quello che abbiamo che non è poco, perché purtroppo, se ci pensi bene, ci sono persone che abbiamo conosciuto, anche della nostra età, che non sono più tra noi. E allora? Vogliamo spaventarci per un po’ di caos, per lo smog, per il cambiamento di struttura del posto di lavoro? No, non mi pare il caso, affidiamoci al destino e viviamo alla giornata, del doman non v’è certezza, torno a ripetere con il raffinato Lorenzo de’ Medici”.
    Questa lettera che scrissi allora è ancora valida, oggi vorrei aggiungere solo che per ognuno di noi c’è un luogo dell’anima dove ci si sente a proprio agio e dove ogni volta che vi si torna ci si sente a casa propria. Per me come luogo dell’anima c’è Parigi, che non è certo un piccolo paese, come saprà bene ma una megalopoli anche rispetto a Roma. Non saprei per qual motivo la ville luniere rappresenta per me questo, è sempre stato così da quando vi andai molto giovane (avevo 21 anni), vi sono tornata almeno 20 volte e negli ultimi tempi almeno una volta l’anno. E’ la mia città di adozione e spero ancora di tornarvi o starvi per qualche tempo. Insomma, per quanto mi riguarda, per il mio modo di essere credo che non vi sarà un luogo stabile dove rimanere, ma sarà un variare tra mare, città natale, campagna, qualche volta, e voilà Paris!!
    Isabella


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    1. Grazie per la visita e per il bel commento. E’ vero, il luogo dell’anima è sempre legato al nostro particolare “modo di essere”. Mi par di capire che il tuo insegue più l’istinto che non le origini, più i sogni che non la realtà; e questo ti spinge a scegliere Parigi piuttosto che Roma, quale possibile luogo dell’anima, forse i due “paesi del mondo” in assoluto i più belli

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